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venerdì, Dic 13

Le 10 sconfitte politiche più rovinose del decennio


È tempo di bilanci anche per i grandi sconfitti degli anni Dieci. Da Matteo Renzi a Hillary Clinton, nulla meglio di una buona lista di Caporetto di ogni latitudine aiuta a mettersi il passato alle spalle

L’ultimo scorcio del 2019 è, come sempre, un momento di bilanci per tutti. Al consueto esame sull’anno che è stato, questa volta si affiancherà però una riflessione di più ampio respiro, una walk down memory lane, come dicono gli americani, lunga dieci anni fatta di gioie, dolori, momenti belli e un po’ meno belli.Un vero e proprio stillicidio delle buone intenzioni che furono, al quale non poteva di certo sottrarsi la politica, passata attraverso un decennio di cambiamenti radicali, vittorie insperate e soprattutto sconfitte molto rovinose. Abbiamo deciso di raccogliere proprio queste ultime, perché nulla meglio di una buona lista di delusioni – proprie o altrui che siano – aiuta a mettersi definitivamente il passato alle spalle.

10. Letizia Moratti contro Giuliano Pisapia (2011)

Una delle pagine più gloriose per i creatori di contenuti virali su internet, decisamente più modesta dal punto di vista squisitamente politico. L’intera eredità dei primi cinque anni di Letizia Moratti alla guida di Milano – esponente di un partito in pieno Ruby-gate e mal sopportata dalla Lega – spazzata via in un attimo dal maldestro attacco all’avversario Giuliano Pisapia, candidato del centro-sinistra espresso da Sinistra e Libertà.

Pisapia è stato giudicato responsabile del furto di un’auto poi utilizzata per il pestaggio di un giovane” era stata l’accusa di Moratti in chiusura di dibattito su Sky Tg24, ma Pisapia quell’auto non l’aveva rubata ed era anzi stato assolto con sentenza definitiva. Un vero e proprio boomerang per la candidata del centro-destra, l’inizio della scalata per il suo avversario, che di lì a qualche giorno sarebbe diventato il primo sindaco rosso a guidare Milano in 18 anni.

9. L’harakiri romano del Pd (2015)

O di come il Partito democratico ha preferito perdere Roma piuttosto che sostenere il suo sindaco Ignazio Marino. Non è ancora ben chiaro quale fosse la strategia di medio termine, ma il 30 ottobre 2015 Matteo Renzi e Matteo Orfini (rispettivamente segretario del partito e commissario straordinario per Roma) costrinsero alle dimissioni il proprio iscritto, al tempo coinvolto in una delicata indagine per peculato e falso.

Da quel momento sono passati oltre 4 anni, millecinquecento giorni nei quali la Capitale è stata amministrata dal Movimento 5 Stelle – che con la vittoria di Virginia Raggi iniziò la sua rincorsa alle politiche del 2018 – e che hanno visto Ignazio Marino definitivamente assolto in Cassazione per lo “scandalo scontrini” che gli costò la poltrona.

8. La terza via (2015)

Cos’hanno in comune Tony Blair, Bill Clinton, Gerhard Schröder e Matteo Renzi? Sono tutti leader politici di spessore, certo, uomini bianchi progressisti arrivati a guidare i governi dei rispettivi paesi. Ma sono anche quattro tra i principali esponenti della cosiddetta terza via, disciplina politica che nel tempo ha provato a conciliare istanze economiche particolarmente care alle destre, con un approccio di sinistra ai temi sociali.

Tra i suoi principali teorici troviamo Anthony Giddens, politologo britannico e parlamentare laburista, che nel 2015 ha decretato ufficialmente la morte della sua creatura: L’accelerazione data ai cambiamenti sociali ed economici dalle innovazioni tecnologiche ha scardinato anche la Terza via” ha confessato il professore a Repubblica, “non sono sicuro che i leader politici si rendano conto del livello di rivoluzione tecnologica che abbiamo imboccato”.

Il tramonto della terza via è rappresentato plasticamente dalla direzione imboccata da quei partiti progressisti che nel tempo l’hanno sperimentata: il Labour che fu di Blair si è consolidato su posizioni nettamente socialiste con Jeremy Corbyn alla guida, il vecchio Partito Democratico americano è stato letteralmente travolto dall’entusiasmo dell’era obamiana e oggi stenta a riconoscersi, mentre il Pd ha di recente eletto un segretario proveniente dalla tradizione del Pci.

7. Renzi e il referendum costituzionale (2016)

Per qualcuno la mossa che avrebbe rivoluzionato l’ per altri l’ultima trincea dalla quale scongiurare il rischio di una deriva autoritaria.

Molto probabilmente la riforma Renzi-Boschi non sarebbe stato nulla di tutto ciò, ma oggi la ricordiamo soprattutto come il momento più divisivo del renzismo, quello del referendum personalizzato e del 60% di no, che in pochi istanti ha spazzato via il quarto governo più longevo della storia repubblicana. Uno di quei momenti che, ne siamo certi, non potrà mancare nel bilancio decennale di Matteo Renzi.

6. Il Partito socialista francese (2017)

Non è stato un decennio esaltante nemmeno per la sinistra francese, che ha visto crollare i consensi del Partito socialista dal quasi 30% del 2012 al 6% del 2017. In mezzo, l’esperienza governativa di François Hollande, secondo socialista a salire all’Eliseo nella Quinta Repubblica – l’ultimo, almeno per un po’.

Le buone notizie per la gauche arrivano dal fronte repubblicano – unito per scongiurare la vittoria dell’estrema destra – ancora in discreta salute nonostante la defaillance del suo partito simbolo e che nel momento del bisogno ha scelto di affidarsi a Emmanuel Macron. Fuoriuscito, nemmeno a dirlo, proprio dalla formazione del socialismo francese.

5. Il processo di integrazione europea (2016)

Gli anni dieci del secolo in corso sono stati un duro bagno di realtà anche per l’Unione Europea e il suo ormai sessantennale sogno di progressiva integrazione, frenati dalla ricomparsa di sentimenti nazionalistici da tempo sopiti.

L’ultimo allargamento dei confini dell’Unione, votato nel 2011, sembrava procedere nella direzione di quella “federazione di stati nazioneauspicata dall’allora presidente della Commissione europea Manuel Barroso, ma già cinque anni più tardi la crisi migratoria siriana avrebbe riportato il dibattito su posizioni di retroguardia.

Il campo profughi di Idomeni, i confini serrati in Macedonia, il muro voluto da Orban, Brexit. Non importa cosa succederà da qui a dieci anni, difficilmente l’Unione Europea potrà cavarsela peggio di così.

4. La linea conservatrice e intransigente nella Chiesa cattolica (2013)

Tempo di grandi cambiamenti anche nella Chiesa cattolica. Da sei anni a questa parte è diventato veramente difficile non parlare di Jorge Mario Bergoglio, asceso al soglio pontificio con il nome di Francesco e che in pochissimo tempo ha scardinato alcune delle posizioni più antiquate tra quelle difese dai suoi predecessori, a partire da Joseph Ratzinger.

Eletto a nume tutelare da gran parte della sinistra italiana, Francesco è ben lungi dall’essere un campione di progressismo, ma rappresenta senza dubbio l’ala flessibile della Chiesa sui temi dell’aborto e del fine vita, contrapposta all’area conservatrice, che nel Conclave del 2013 era rappresentata da Angelo Scola.

3. Il piano Cameron sulla Brexit (2016)

Ci penso ogni singolo giorno: al referendum, alla sconfitta, alle conseguenze, e alle cose che si potevano fare diversamente. Sono preoccupatissimo per quello che succederà”. Il ritratto di David Cameron che emerge dalla lunga intervista rilasciata al Times è quello di un uomo tormentato dai sensi di colpa, uno sconfitto che ha rischiato tutto e che perso molto di più.

Perché l’attuale e persistente fase di instabilità politica porta la sua impronta, che nella campagna elettorale del 2015 promise di dare voce ai cittadini britannici sulla permanenza nell’Ue, nonostante fosse un fermo sostenitore del Remain. Cercava una conferma elettorale, ha ottenuto il più grande salto nel buio nella storia recente, difficile fare peggio di così.

2. La coalizione anti-Gheddafi (2011)

Spesso tendiamo a rimuoverlo dalla nostra memoria collettiva, ma molte delle sconfitte citate in questa classifica hanno una matrice comune: l’intervento militare in Libia del 2011.

La serie di eventi che portarono alla deposizione di Mu’ammar Gheddafi sono stati nel tempo interpretati in modi diversi, ma quasi tutti i protagonisti di allora concordano oggi nel dire che si trattò di un fallimento. L’aspetto più complesso di quell’operazione fu naturalmente la gestione della transizione democratica, esplosa in un vero e proprio caos istituzionale prima e in una guerra civile poi.

Ad oggi la Libia resta un territorio conteso, con almeno due fazioni in lotta e le milizie ad occuparsi dell’amministrazione diretta del territorio. La gestione della crisi resta un rebus dal quale gli Stati Uniti si sono tirati fuori, ma che influisce direttamente sulla politica estera di Italia e Francia.

1. Hillary Clinton contro Donald Trump (2016)

E alla fine, si ritorna sempre qui. Lo scontro per le presidenziali americane del 2016 è di quelli destinati a segnare un’era, con il suo carico di immagini e significati che ancora oggi stenta ad esaurirsi.

In pochi avrebbero immaginato una vittoria di Donald Trump – candidato sui generis e distante anni luce dalle dinamiche di partito – e quasi tutti i commentatori della vigilia prevedevano una vittoria agevole di Clinton, naturale prosieguo dell’esperienza obamiana.

E invece è arrivato The Donald, che si è preso la scena politica a suon di tweet sconclusionati, abbassando l’asticella di ciò che l’uomo più potente del mondo può dire e cosa no. Dall’altra parte invece c’è lei, Hillary Clinton, che forse non apparterrà mai a quella mitologia tutta americana del vincitore, ma che ci ha provato fino all’ultimo – due volte – e alla quale spetta almeno la palma di migliore sconfitta del decennio.

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