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giovedì, Feb 06

Le conseguenze di Brexit sull’ambiente



Da Wired :

Uscire dall’Unione Europea significa anche mettere a repentaglio diversi sforzi comunitari sul clima e l’ambiente: ci sono dubbi sul futuro delle politiche green del Regno Unito. Abbiamo chiesto agli esperti cosa può significare la Brexit in tema di policy ambientali

Il 2020 è un anno storico per l’Unione Europea e il Regno Unito, sia per la Brexit che per lo sviluppo di politiche climatiche come l’European Green Deal e la Net Zero Review in Uk, che si occuperà di stabilire gli sforzi economici possibili per migliorare la transizione green. Il clima non è qualcosa che può cambiare drasticamente in un giorno, ma la legislazione sì: e con l’avvento della Brexit, anche le leggi ambientali britanniche dovranno cambiare.

Nel giugno 2019 il Regno Unito è diventato la prima economia del G7 a legiferare per porre fine al suo contributo al riscaldamento globale entro il 2050. La Net Zero Review del governo – che prenderà forma nella seconda metà del 2020 – ha obiettivi ambiziosi, ma nonostante ciò tra le organizzazioni ambientaliste e nel contempo nel mondo della finanza e del commercio crescono i dubbi sulla futura protezione dell’ambiente del Regno Unito a seguito dell’uscita dall’Ue, e molti si chiedono se la Gran Bretagna riuscirà a raggiungere gli obiettivi che si è promessa.

Divergenze pericolose

Uscendo dall’Ue si esce dai suoi vincoli legali, entrando nel più profondo Far West legislativo dal momento che, come in un matrimonio, perdere lo status di membro europeo include perdere i diritti e gli obblighi ottenuti grazie al legame precedentemente instaurato, non solo nella sfera delle politiche ambientali.

Parlare di ambiente vuol dire parlare di politiche energetiche, cambiamento climatico, dell’agricoltura, accordi sulla pesca, protezione della biodiversità, gestione dei rifiuti, inquinamento atmosferico e politica industriale e di scambio commerciale, che dovranno essere rinegoziati in toto, visto che fino ad adesso la Gran Bretagna ha negoziato su questi temi da membro dell’Unione Europea.

Il nodo della questione rimane il dover decidere in che misura il futuro rapporto tra Regno Unito e Unione sarà guidato dall’allineamento o dalla divergenza normativa. La Gran Bretagna dovrà rivalutare tutte le politiche europee e creare delle politiche parallele interne. Un esempio su tutti è decidere come ridefinire gli standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque: se il governo della Regina decidesse di allentare i parametri di controllo per alcune sostanze nocive nelle acque britanniche, i fiumi che passano tra l’Irlanda del Nord (Gran Bretagna) e l’Irlanda (membro Ue), potrebbero quindi risultare puliti in Gran Bretagna, ma inquinati passando il confine irlandese.

Già quando i primi sentori della Brexit si erano manifestati circa tre anni fa, alcuni studiosi di scienze ambientali e diritto europeo avevano creato un gruppo di ricerca Brexit & Environment, rendendosi gradualmente conto delle minacce che le lacune politiche e di governance avrebbero aperto a livello nazionale.

Spesso il governo britannico ha definito le regolamentazioni dell’Unione Europea troppo restrittive: non rispecchiando le politiche all’avanguardia sul tema ambientale che la Gran Bretagna avrebbe voluto attuare, soprattutto nei riguardi della politica agricola comunitaria (Cap) e nella politica della pesca comunitaria (Cfp). Brexit & Environment ha analizzato questa istanza guardando a tutte le leggi europee e gli input presentati dalla Gran Bretagna nel processo normativo di ogni legge ambientale : “È vero che in alcune aree la Gran Bretagna ha sempre proposto misure più ambiziose a livello ambientale, come nel caso della politica agricola comunitaria (Cap)” ha detto Viviane Gravey, dottoressa dell’Università di Belfast nell’Irlanda del Nord e membro di Brexit & Environment, “ma il Regno Unito è stato al contempo leader e ritardatario all’interno dell’Ue, in quanto in molti altri settori i parlamentari britannici non hanno presentato emendamenti alle leggi proposte o hanno fatto richieste ben al di sotto delle ambizioni espresse dagli altri paesi europei”. La dottoressa Gravey coniando il termine di rivale emulatore per la Gran Bretagna ha affermato che essa persegue una strategia per cui non vuole vincoli legali definiti, ma preferisce prendere spunto da leggi proposte a livello europeo, legandole all’ambizione politica del momento.

Fuori e dentro l’Ue

Sebbene Il Regno Unito stia lasciando l’Ue, e quindi trovandosi sprovvista di leggi, sta convertendo la maggior parte del diritto comunitario in un nuovo tipo di diritto interno. Il Retained EU law, il diritto dell’Ue mantenuto, è stato creato dal EU (Withdrawal) Act 2018 ed entrerà in vigore il giorno della Brexit. Questo nuovo corpus legislativo replica e rispecchia diverse fonti del diritto dell’Ue come equivalenti nazionali: ciò vuol dire che le leggi e standard europei da cui la Gran Bretagna si accingeva a liberarsi, in realtà rimarranno lì. Tuttavia, le istituzioni europee non verranno riconosciute come garanti delle leggi, e ciò implica un problema enorme per le ong ambientaliste e la società civile britannica, che non potranno ricorrere alla Corte di giustizia dell’Ue per garantire che il governo attui la sua politica ambientale.

In più, in Gran Bretagna vige un sistema legislativo decentralizzato per le politiche ambientali: sono infatti le quattro amministrazioni di Galles, Scozia, Westminster e Irlanda del Nord che devono mettersi d’accordo su politiche interne legate all’ambiente – cosa non facile, nel momento in cui hanno espresso opinioni contrastanti su come intenderanno sviluppare queste regolamentazioni una volta che il Regno Unito lascerà l’Ue. 

Il timore, in parole povere, è che 40 anni di legislazione ambientale dell’Ue possano rimanere in standby all’indomani della Brexit.

Voci dal Parlamento europeo

La stessa confusione sarà visibile anche all’interno del Parlamento europeo, il cui regolare lavoro risulterà inevitabilmente compromesso. La Brexit colpirà la classe di esperti che negli anni hanno lavorato per contribuire al livello europeo di attenzione all’ambiente. I primi a farne le spese sono di fatto gli europarlamentari britannici, che dovranno lasciare le loro cariche e ritornare nel Regno Unito. Cornelia Ernst membro tedesco del partito della Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (Gue) si è rammaricata di questo fatto: “La parlamentare Theresa Griffin (del partito socialista Pes) durante il suo mandato ha lavorato duramente sui temi della povertà energetica ed il suo contributo ed esperienza su questo tema adesso verranno a mancare” ha affermato Ernst.

Tra i parlamentari del gruppo dei Verdi europei, i sette di origine britannica hanno votato contro alla votazione del 29 gennaio sull’accordo presentato tra l’Europa e Gran Bretagna. In una nota comune hanno spiegato che ritengono che i britannici pro-Ue abbiano “il diritto di contribuire a modellare le nostre future relazioni con l’Europa” anche e soprattutto in materia ambientale. I parlamentari verdi sono pronti a continuare a fare le loro richieste e a battersi sul fronte nazionale: “Perdiamo sicuramente alcuni diritti ambientali lasciando l’Unione europea, e dovremmo esigere un cambiamento. Dovremmo rivendicare questi diritti all’interno delle nostre comunità e alle autorità locali perché non possiamo aspettare che il nostro governo ce li restituisca” ha detto a Wired Magid Magid, ex sindaco di Sheffield e uno degli eurodeputati più giovani. “Anche noi britannici abbiamo bisogno del Green Deal dell’Unione europea, perché ha un approccio olistico e tiene in considerazione il clima a 360 gradi: non possiamo infatti avere giustizia climatica senza giustizia sociale”, ha continuato.

Questo lavoro dovrà però anche continuare guardando all’altro lato della Manica, per creare un ponte di relazioni con l’Europa a 27: “Noi inglesi, rimarremo sempre europei. Nei prossimi mesi dobbiamo trovare nuovi modi per rinnovare e rafforzare l’amicizia Regno Unito-Ue”, ha detto la parlamentare Ellie Chowns.

Collaborazione futura

Se la Gran Bretagna riuscisse effettivamente a dimostrarsi molto più ambiziosa , quale sarebbero i vantaggi? Secondo la professoressa Turner, del Centro di Politica Energetica dell’Università di Strathclyde a Glasgow, per attuare una politica di transizione verde equa e far s+ che la Gran Bretagna sia in grado di raggiungere i propri obiettivi ambientali c’è bisogno che il paese, pur distaccandosi dall’Unione Europea, gli si avvicini il più possibile: “La sfida chiave resta rimanere competitivi: se il Regno Unito fosse l’unico paese e first mover a fare delle scelte ambizione nel campo di politiche ambientali vi è il rischio di perdere entrambi i mercati domestici ed esportazionali,  la possibilità di offrire lavori, con ripercussioni sul nostro Pil. Pertanto, è necessario cooperare al di là dei confini nazionali per assicurarsi che anche altri paesi abbiamo gli stessi target e crescano alla stessa nostra andatura”, ha affermato. Quello che la Gran Bretagna si deve auspicare è dunque, se effettivamente vorrà essere più ambiziosa, che l’Unione Europea la segua di pari passo. A novembre di quest’anno i leader mondiali si riuniranno per discutere su come affrontare il cambiamento climatico su scala globale in occasione della 26a sessione della Conferenza delle Parti (Cop26) dell’Unfccc a Glasgow, Regno Unito. Messe da parte le diatribe interne, questo evento potrebbe essere il primo momento per formalizzare la futura cooperazione tra il Regno Unito e l’Ue e trovare dei denominatori per ambizioni climatiche non comunitarie, ma comuni.

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[Fonte Wired.it]