Donne assassine nella letteratura e al cinema. «I mariti muoiono, tutti i giorni, Dolores. È fatale. Ce n’è uno che magari sta morendo adesso, mentre stai seduta lì a piangere. Muoiono, e lasciano alle mogli il loro denaro. Io dovrei saperlo, non ti pare? Qualche volta stanno facendo ritorno dall’appartamento della loro amante e i freni a un tratto vengono meno. Un incidente, Dolores, per una donna infelice può essere il migliore amico». Vera Donovan pronuncia queste parole davanti a una sconvolta Dolores Claiborne. Il bellissimo film L’Ultima eclissi racconta (e ancor più dettagliatamente lo fa il meraviglioso romanzo di Stephen King da cui è tratto) la storia di una donna che non trova altra soluzione al suo dramma: deve uccidere il marito, alcolizzato, violento, colpevole di aver sottratto tutti i risparmi alla moglie, ma soprattutto di aver molestato la figlia. E allora Dolores uccide: perché le donne uccidono i mariti. Per odio, per vendetta, per esasperazione, per gelosia, per denaro. Per mille motivi. Libri e film hanno raccontato questi delitti che in italiano non hanno un nome: uxoricidio è l’assassinio della moglie. Ma non esiste una parola da usare quando la vittima è il marito (anche se uxoricidio può venire usato per estensione e in senso ampio come uccisione del coniuge): forse le mogli nella storia hanno ucciso meno di quanto abbiano fatto gli uomini…
Dolores, Clitemnestra e le altre donne assassine
Prima che Dolores Claiborne nascesse dalla mente e dalla penna di Stephen King, molte altre eroine letterarie hanno ucciso (o fatto il possibile per uccidere) i loro mariti. A partire dalla regina di Micene, Clitemnestra, moglie e assassina di Agamennone. Il suo primo marito, Tantalo, era stato ucciso dallo stesso Agamennone che la costrinse poi a sposarlo. La donna rimase per anni sola a governare Micene mentre il marito era assente, impegnato a combattere a Troia. Già rosa dal rancore, la regina giunse al culmine dell’odio quando Agamennone decise di offrire loro figlia Ifigenia in sacrificio per ottenere da Artemide il favore nella navigazione verso Troia. Mentre il marito era lontano, Clitemnestra si legò a Egisto, cugino di Agamennone: e con l’amante la donna pianificò la vendetta. Agamennone, appena tornato, fu ucciso dalla moglie nel bagno, con un colpo di spada o forse con una scure. La storia, raccontata da Eschilo nell’Orestea, è una storia di ribellione al dolore e all’umiliazione.
Una spinta molto meno tragica è stata quella che muoveva a tentare il delitto Messalina, la moglie dell’imperatore romano Claudio. Tacito racconta, non senza ironia, come la donna volesse far fuori il marito in modo da ottenere il potere e sposare il suo amante Gaio Silio. Non ci riuscì, anzi fu Claudio a farla uccidere. Ad avvelenare Claudio riuscì invece la seconda moglie, Agrippina, che lo voleva morto per vedere imperatore il figlio, Nerone.
Questa, come altre vere storie di donne assassine, è stata mediata dalla narrazione degli storici all’epoca dei fatti, e poi dall’eco di decine di riprese capaci di distorcere e amplificare la realtà. Così secoli dopo un gigante della letteratura come Dumas riprende e mette per iscritto la vicenda di Marie-Madeleine d’Aubray, nobildonna passata alle cronache come L’avvelenatrice: è questo il titolo del libro in cui Dumas racconta i delitti della donna, realmente vissuta, che nel XVII secolo uccise con un sofisticato campionario di veleni l’amante e diversi parenti. Non riuscì però, nonostante diversi tentativi, ad ammazzare il marito. Riuscirono invece nell’impresa le tante donne che ricevettero il veleno e le istruzioni per l’uso da Giulia Tofana, una “fattucchiera” che nel XVII secolo inventò l’acqua tofana, un letale intruglio incolore e insapore. Con questo eliminò il marito suo e quello di altre mogli che, imprigionate in matrimoni imposti e insopportabili, chiedevano il suo aiuto. Si raccontava che le sue arti avessero contribuito alla morte di seicento mariti.