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lunedì, Set 09

Le fotocamere tradizionali non hanno più senso


In declino gli apparecchi classici per via dei cameraphone ma anche del fatto che la forma e l’idea stessa di fotocamera sono da rivedere

Smartphone o reflex a passeggio per il centro di Nizza?
(Foto: Milo Sciaky)

La fotografia così come la conosciamo, cioè come è stata congelata nell’immaginario della società da 150 anni di sviluppo tecnologico (fotocamera, pellicola, obiettivo, e una certa manualità per lo scatto) sta per scomparire. Non lo dicono solo i dati della Camera and Imaging Products Association (la giapponese Cipa) che mostra il crollo anche delle mirrorless e anche dei big (Sony, Fuji, Canon e Nikon) ma soprattutto la trasformazione che è sotto gli occhi di tutti dettata dalla rivoluzione software della fotografia computazionale che rende l’apparecchio tradizionale obsoleto come potrebbe oggi essere un computer mainframe nell’era del cloud.

E le case produttrici non aiutano, nella loro frenesia di lanciare sempre nuovi modelli con sempre più megapixel: alla fine la corsa ai 60-100 megapixel ha come solo effetto quello di farci comprare computer nuovi e più potenti per gestire le foto, non certo scattare buone foto.

Quello che succede adesso è che le foto si fanno sempre più con il drone, con la GoPro, con lo smartphone multiobiettivo (ancora di più) e con sensori che ritoccano nativamente le immagini per aggiungere focheggiature, bokeh, dettagli altrimenti invisibili, scatti ritardati o anticipati per cogliere l’espressione giusta in modo automatico, settaggi per il tipo di scena riconosciuta in maniera intelligente, braketing per le immagini notturne.

Come le auto elettriche a guida autonoma che non hanno più bisogno di un cofano per il motore e di una postazione di guida in evidenza, così gli apparecchi fotografici diventano un’altra cosa e non hanno più bisogno dell’impostazione tradizionale. Non è la prima volta che c’è questo cambiamento e, a meno che non creino delle lenti a contatto capaci di scattare foto, non sarà l’ultimo.

I primi apparecchi fotografici ottocenteschi infatti erano scatole montate su treppiedi e funzionavano in modo estremamente primitivo. Nei centocinquanta anni successivi la fotografia, che ha avuto prima un effetto dirompente sull’arte, poi è diventata anche tecnologia di massa prodotta in serie, e ha avuto un effetto dirompente sul giornalismo (creando il fotogiornalismo) e poi sulla società e le persone.

È stata anche una corsa alla miniaturizzazione e perfezionamento degli apparecchi. Dalla tedesca Leica, che tra le due guerre mondiali si inventa la fotocamera ultracompatta con pellicola 24×36, cioè il “nastro” di fotogrammi usato dal cinema ma messo per orizzontale, ai giapponesi che hanno fatto esplodere il formato delle reflex dagli anni sessanta. E poi un generoso mercato di apparecchi “punta-e-clicca”, sempre a pellicola, con mille variazioni legate sempre ad apparecchi a pellicola che necessitavano di un certo tipo di contenitore per funzionare.

La rivoluzione del digitale, che apparentemente avrebbe “ucciso” la fotografia tradizionale, inizia negli anni duemila e invece moltiplica per dieci il valore del settore. La fotografia digitale è più facile e si scatta molto di più a costi molto più bassi. Non serve più la pellicola, basta la memoria del computer. E inizia la prima grande crisi: l’immagine diventa digitale, eterea, immateriale. Viene catturata per essere stampata (come l’analogico con la pellicola) oppure può vivere semplicemente sui dischi rigidi dei computer?

snapchat

La risposta arriva più avanti. Alla moderna equazione infatti mancano ancora due elementi. Il primo sono i social network che amano e si nutrono di fotografie condivise. L’immagine digitale diventa così il pane e il companatico per Facebook e Twitter, ma nascono anche social dedicati alle solo foto, come Instagram e Snapchat. Tuttavia, i social prevedono una connessione per poter fruire e per poter condividere le immagini: quella arriva con lo smartphone, che è anche cameraphone. E così si chiude il circuito: la foto si fa, si condivide e si fruisce sul telefonino. Il cloud diventa l’hard disk tra le nuvole e non c’è più bisogno di altro.

Si scatta come non mai, oggi le foto sono tantissime, ma in proporzione non si stampa praticamente più niente, e la foto diventa un’altra cosa. Gli apparecchi digitali sconfiggono una legge della fotografia analogica: mentre per le fotocamere a pellicola quanto più grande era il fotogramma quanto migliore la qualità, nel digitale adesso la dimensione fisica del sensore conta sempre meno. Addirittura i sensori da cameraphone e da drone riescono a compensare con il software la minuscola geometria ottica.

Il futuro? Forse davvero gli occhiali intelligenti o magari un piccolo drone che ci segue e registra un flusso di immagini liquide, manipolabili, trasformabili dopo. Immagini che vengono organizzate da una intelligenza artificiale che ci proporrà caroselli e immagini iconiche delle nostre vite alle quali non avremmo mai pensato o fatto caso.

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