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giovedì, Dic 31

Le parole del 2020 – Wired



Da Wired.it :

Nuovi termini, nuovi usi, nuove espressioni – l’anno che chiude il primo ventennio del terzo millennio ci ha messo davanti a una nuova normalità. Così abbiamo dovuto fare i conti con un vocabolario rinnovato. Wired ha fatto il punto dei cambiamenti con tre linguisti

Metaforicamente, questo 2020 che giunge al termine ci ha lasciato senza parole. Di fatto, però, non è così: di parole nuove – e rinnovate – si è riempito il nostro vocabolario alle prese con una nuova normalità. La lingua, infatti, rispecchia la sua comunità di parlanti e quello che vi accade. Fra un presente scandito da scenari prima inediti e un futuro che si fa ancora fatica a definire, le parole fanno luce su cosa sta accadendo, cercano di definire ciò che ci circonda e, quindi, ci raccontano. Ma, ancor più, ci servono per capire dove stiamo andando. Da paziente zero fino a immunità di gregge passando per contagio, virologo, autocertificazione, Dpcm, il 2020 ha riscritto anche il nostro modo di parlare.

Mondo nuovo, parole (quasi) nuove

Proprio dalla necessità di comprendere un modo complesso, che ci sfugge, e una situazione estremamente difficile, con pochi precedenti, la società sta sviluppando un nuovo rapporto con le parole. “Stiamo imparando sulla nostra pelle che le parole sono decisive per la vita delle persone e delle comunità”, racconta a Wired Giuseppe Antonelli, linguista e docente all’università di Pavia. “Se non si fosse usata all’inizio la parola influenza” – prosegue – “forse ci saremmo resi conto prima di cosa ci stava minacciando e saremmo stati più prudenti”. Più in generale, “dall’interpretazione di una parola come congiunti o della sottile differenza tra attività motorie e sportive è dipesa in questi mesi la nostra libertà di muoverci, uscire, incontrare persone”.

Insomma, restando sul metaforico, si potrebbe dire che la pandemia ha contagiato la nostra lingua, che il suo lessico è stato infettato e che molte nuove parole sono divenute virali. Trattandosi di un fenomeno globale, i cambiamenti interessano in realtà in tutte le lingue. Ma i vocaboli che hanno descritto questo anno, almeno alle nostre latitudini, non sono poi del tutto nuovi. Sono prestiti linguistici da altre lingue (soprattutto l’inglese) o provengono da un lessico specializzato (come quello medico e scientifico) o ancora hanno assunto un nuovo valore semantico. Di questi neologismi, l’ultimo aggiornamento del Nuovo Devoto-Oli ne conta, nella versione elettronica, diverse decine proprio legati alla pandemia.

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Covid-19, lockdown, distanziamento sociale, spillover, droplet, autoquarantena, quarantenare, sono soltanto alcuni esempi. Tutti termini che ogni cittadino italiano ha dovuto imparare a conoscere durante questo anno così difficile e sospeso. Con una spiccata attenzione alla contemporaneità del linguaggio, il dizionario concepito da Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli nel lontano 1967 non poteva, quindi, non registrarli. Come autori si sono aggiunti nel tempo Luca Serianni e Maurizio Trifone che oggi sono alla guida dell’opera e ne hanno curato l’aggiornamento. Proprio il professor Serianni spiega a Wired che “alcune delle parole della pandemia sono del tutto nuove, altre sono parole che in realtà esistevano nel linguaggio specialistico degli scienziati che sono diventate di dominio generale, altre invece sono parole che si sono arricchite di significati nuovi”.

Il primo è il caso di lockdown, il secondo di coronavirus e il terzo di alcuni vocaboli come tamponare o mascherina. “Tamponare esisteva già prima, ma indicava l’urto di un veicolo che segue il nostro: ora come ora ci fa venire in mente la pratica di sottoporsi al tampone per diagnosticare la presenza del virus”, sottolinea Serianni. Allo stesso modo, prosegue, “mascherina non ci fa venire in mente il Carnevale, ma il presidio sanitario con cui tutti ci siamo abituati a fare i conti”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Antonelli: “La pandemia ci ha familiarizzato con molte parole ed espressioni che in alcuni casi erano finora in uso solo in contesti medico-scientifici, come il ricorso a positivo e negativo con una inversione di polarità”. Non solo, la crisi sanitaria, spiega il linguista “ha riportato alcune parole al loro significato originario come virale, ad esempio”.

Quindi, “ci stiamo abituando ad alcune parole del lessico medico che prima erano esclusivamente d’uso specialistico: anosmia, disgeusia, dispnea, morbilità… Forse non di tutte conosciamo esattamente il significato, ma è un fatto che ormai sono entrate prepotentemente nella nostra vita“, continua Antonelli. Va detto, ad ogni modo, “che gli specialisti sono stati molto attenti a spiegare al grande pubblico questi concetti usando parole o immagini molto più semplici e comprensibili”. Per Serianni proprio l’attenzione alla comunicazione è fondamentale: “gli scienziati devono essere accorti quando comunicano con il largo pubblico. Da osservatore posso dire che spesso non si tratta di contrapposizione sostanziale fra uno scienziato e l’altro, ma da un diverso modo di presentare le cose“. Fra l’altro proprio sulle parole usate dai virologi si sono generati online oltre 70mila contenuti, generando, per dirla con un altro vocabolo che ha caratterizzato il 2020, l’infodemia.

Oltre al lessico specializzato, si è fatto ricorso a vocaboli rimasti nella lingua da precedenti epidemie – come lazzaretto – oltre che a un lessico militare e bellico per descrivere la situazione:
in trincea contro il virus”, “i medici caduti al fronte”, “una guerra al nemico invisibile”. “La metafora militare – chiarisce Antonelli – è stata usata soprattutto dai politici con il preciso intento di mettere in moto una retorica basata sul sacrificio e l’unità, sull’emergenza che giustifica misure straordinarie. Più che di abuso, si potrebbe parlare forse di una strumentalizzazione“.

Insomma, i cittadini si sono trovati davanti a nuove espressioni e un lessico che spesso non conoscevano. Se si guarda, infatti, alle parole in testa nelle ricerche su Google, nel 2020, c’è, neanche a dirlo, Coronavirus. Un vocabolo, fra l’altro, che, come riporta l’accademia della Crusca, era già stato attestato nel 1970 come prestito integrale dell’inglese per indicare “ciascun virus appartenente a un gruppo di virus a Rna dall’aspetto simile a una corona, causa di malattie del sistema respiratorio nell’uomo e del sistema respiratorio e gastrointestinale negli animali”. Se si guarda, invece, alla ricerca del significato gli italiani si sono chiesti principalmente “cosa significa pandemia?”. Una parola che adesso ci suona comune, ma di cui prima ne conoscevamo a malapena l’esistenza. Prima che lo scorso 11 marzo, il presidente dell’Oms desse un nome a cosa stava succedendo

Il lessico della distanza

La pandemia ha forzato l’attenzione su tutta una serie di parole legate alla distanza. Questo è sicuramente il fulcro di tutta la trasformazione linguistica che c’è stata” spiega a Wired il professore Marco Biffi, collaboratore dell’Accademia della Crusca e responsabile del sito web. “Considerando che tutto si svolge a distanza, si nota una curvatura della parola in varie prospettive, viste le ripercussioni sulla vita quotidiana in vari ambiti: didattica a distanza, riunione a distanza, lavoro a distanza”. Oltre questo, ricorda il professore, “ci sono le parole presenti anche nei Dpcm, come, per esempio, distanziamento sociale e le parole tecniche come quarantena”.
A questo proposito si è molto discusso proprio sul social distancing, dall’inglese, e sulla differenza fra distanziamento fisico e sociale: “inizialmente si è usato molto distanziamento sociale, cosa che ha creato un malessere e un malumore visto che ci potevano essere implicazioni di vario tipo. Col tempo nei decreti è comparso anche distanziamento fisico, che è stato maggiormente apprezzato. Il distanziamento fisico è la distanza fisica, ovvero il risultato delle misure di distanziamento sociale”, puntualizza ancora Biffi.
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Parlando di distanza, in molti casi si parla anche di solitudine. Molte parole che hanno visto un rinnovato vigore nell’uso sono proprio quelle sull’isolamento, fiduciario o obbligatorio oppure l’auto-isolamento. Ma anche auto-quarantena. Una distanza fra membri dello stesso nucleo familiare o fra gli affetti stabili, fra colleghi – da qui l’uso di telelavoro spesso tramite la locuzione smart working – o fra studenti e insegnanti (si noti il ricorso all’acronimo dad per didattica a distanza). Invece, già attestato nel 2007, webinar – ovvero un seminario interattivo realizzato a distanza attraverso l’uso di strumenti elettronici – è entrato nel gergo comune. Insomma, un isolamento abbattuto solo dalla tecnologia, semanticamente contrario al pericoloso assembramento, il cui divieto non è stato chiaro proprio a tutti.

Dall’inglese all’italiano

Insomma, sintetizzare l’anno che se ne va con una parola non è facile, anche perché alle diverse fasi e ondate – anche questi due termini con cui abbiamo familiarizzato – sono corrisposti vocaboli specifici che sono stati metabolizzati man mano dai parlanti. Oltremanica ci hanno comunque provato. Per il Collins non c’è alcun dubbio la parola dell’anno è lockdown, mentre per il Cambridge dictionary la voce regina del 2020 è quarantena. L’Oxford dictionary, invece, non è stato in grado di nominare la sua parola tradizionale dell’anno. “Sin da subitodicono da Oxfordè stato chiaro che il 2020 non poteva esser definito con una parola”. Il dizionario ha pubblicato un report intitolato “Parole di un anno senza precedenti”, utilizzando proprio un aggettivo (in inglese Unprecedented) che a sua volta ha registrato un forte picco di utilizzo durante l’anno.

(foto: collage di alcune risposte al tweet di Twitter “2020 in una parola”)

A tentare la sintesi è anche Twitter che ha iinvitato gli utenti a descrivere il 2020 con una parola. Molte grandi aziende, fra cui anche Zoom – da cui alcuni neologismi in inglese come zoombombing, ovvero l’intrusione improvvisa e indesiderata durante una videoconferenzam o aperizoom, l’aperitivo online sulla piattaforma – hanno detto la loro. Per la società di servizi di teleconferenza è stato un anno instabile, come anche la connessione in molte parti del mondo, un anno da eliminare per Windows, da editare per Grammarly e da saltare per Pandora. Ironia a parte, da un punto di vista linguistico quest’anno si è distinto proprio per “l’iper-velocità con cui il mondo anglofono ha accumulato un nuovo vocabolario collettivo relativo al coronavirus e quanto velocemente è diventato, in molti casi, una parte fondamentale della lingua“, dicono i linguisti di Oxford.

Per avere un’idea, il dizionario Collins nel 2020 ha registrato più di 250 mila utilizzi di lockdown contro i 4mila dell’anno precedente. Il termine, per gli esperti di lessico britannici dell’editore Harper Collins, è diventato sinonimo di una esperienza che ha modificato la vita di persone in tutte il mondo ed è diventata di uso comune fra i governanti del pianeta. Da Cambridge fanno sapere, invece, che la parola quarantena è stata ricercata oltre 183mila volte nel dizionario a novembre, anche se il picco massimo è stato registrato nella settimana del 18-24 marzo, durante il primo lockdown. Di cui, paradossalmente, alcuni hanno nostalgia tanto che il vocabolario ha registrato fra le parole nuove il termine lockstalgia.

(fonte: screenshot dal blog del dizionario Cambridge nella sezione dedicata alle nuove parole riscontrate nel 2020)

Anche in italiano la parola lockdown si è radicata perfettamente. “Tutti i tentativi di renderla con un corrispondente italiano sono di fatto falliti, proprio perché quella parola è diventata un po’ in tutto il mondo l’emblema della tragedia che abbiamo vissuto e purtroppo stiamo ancora vivendo” spiega Antonelli. “Non si è affermato l’equivalente di lockdown, ovvero confinamento, perché l’Italia è molto più passiva e molto meno reattiva rispetto a Francia e Spagna nella ricezione di nuovi anglicismi. Tutto quello che è inglese viene considerato più moderno, più trendy per dirla con un anglicismo”, fa eco Serianni, che precisa: “spesso, però, l’anglicismo è in concorrenza con la parola italiana: si dice droplet, ma anche gocciolina, si dice abbastanza spesso salto di specie anziché spillover”.

Ma quella degli anglicismi non è una questione da sottovalutare per la Crusca. “C’è stato un ingresso indisciplinato che ha delle ripercussioni piuttosto importanti e interessanti anche dal punto di vista sociale“, sostiene Biffi. “Su questo l’accademia è intervenuta diverse volte. Se si pensa che le persone più a rischio erano in primo luogo le persone anziane che spesso non solo non sanno l’inglese, ma hanno difficoltà anche con l’italiano, si comprende che pensare che alle parole inglesi come parole ad alta disponibilità è una falsità”, ricorda ancora. Un problema, quello dell’ingresso delle parole inglesi nel nostro lessico, che oltre il discorso della comprensione crea altri problemi: basti pensare al dibattito sul genere di Covid-19. Ma porta con sé anche altri fenomeni come “la tendenza tipica dell’inglese a creare neologismi formati da diverse parole o parti di parola”, spiega Antonelli. Questo, “non porta sempre a buoni risultati, come testimonia il caso recente di Italienza, creata mettendo insieme il nome dell’Italia e l’abusata resilienza”.

Le altre parole

Oltre la pandemia, l’anno che sta per chiudersi è stato raccontato anche con altri vocaboli. La Crusca, nel suo osservatorio Parole Nuove, oltre quelle collegate al coronavirus ne ha registrate altre: “Ad esempio, nel 2020 nella sezione è entrato camperizzare, coding, freezare, microplastica, poliamore”, racconta Biffi. Ma anche rider, il fattorino che consegna pasti a domicilio in bicicletta o motorino, ghosting, ovvero il comportamento di chi decide di interrompere bruscamente e senza spiegazioni una relazione e triggerare, dal verbo inglese tigger significa innescare, far scattare, far arrabbiare.

Non va poi dimenticato tutto il linguaggio relativo alla crisi climatica – non a caso nel 2019 le parole dell’anno dei dizionari anglosassoni erano state climate strike (sciopero climatico), climate emergency (emergenza climatica) e upcycling. A questo proposito il professor Serianni ricorda che per raccontare il 2020 si può parlare di sostenibilità. “Già nel 1940 si parlava di sostenibilità di un’ipotesi. Ma sostenibilità oggi ha un valore più generale relativo alla necessità di fare i conti con il sistema natura e tutti i processi di alterazione del clima e alterazione delle condizioni di vita sul pianeta. La parola esisteva già prima e oggi ha assunto un valore nuovo”. Nel Devoto-Oli, poi, “abbiamo accolto due parole: algocrazia che indica un eccessivo ricorso agli algoritmi e quindi una scarsa controllabilità dei processi e cisgender che indica il fatto che l’identità di genere coincide col sesso assegnato alla nascita”.

In sintesi, “sono molte le parole nuove che si affacciano nel lessico di una lingua e poche quelle che restano stabilmente. Quindi le parole tipiche di un anno non è detto che si impiantino per sempre”, ricorda il linguista. È logico pensare che una pandemia, però, non può non lasciare traccia, come già successo in passato. “Eventi epocali come questo hanno sempre portato con sé nuove parole – conclude Antonelli – Basti l’esempio fatto da Manzoni nella prima redazione dei Promessi sposi a proposito della parola untore, nata in occasione della peste che colpì Milano nel 1630: «Il bisogno creò allora il vocabolo»”.

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[Fonte Wired.it]