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sabato, Apr 01

Le piante e il loro futuro, dallo spazio alla robotica | Wired Italia



Da Wired.it :

Cosa hanno in comune le piante e l’esplorazione dello Spazio? Per quanto sembrino temi apparentemente molto lontani tra loro, a ben guardare un legame c’è: anzitutto perché in vista di future colonizzazioni di altri mondi sarà indispensabile, per la sopravvivenza degli esseri umani, riuscire a creare ecosistemi artificiali efficienti basati sui vegetali; e poi perché lo studio delle piante e dei segreti alla base delle loro capacità sensoriali, di comportamento e di interazione, è una fonte di ispirazione per creare nuove tecnologie e nuovi robot, più efficaci e adattabili ad ambienti diversi. Tra cui quello spaziale, per l’appunto. Di piante, Spazio e futuro – tra le altre cose – si è parlato a ColtivaTo – Con i piedi per terra, il Festival internazionale dell’agricoltura in corso a Torino: abbiamo colto l’occasione per farci raccontare direttamente da chi lavora nel settore quali sono le novità più rilevanti e le aspettative per il futuro.

Una questione importante

“Le piante sono fondamentali per l’esistenza e per la sopravvivenza degli esseri umani e animali nel mondo – ha spiegato Stefania de Pascale, professoressa ordinaria di orticoltura e floricoltura (nonché, come si definisce, astroagronoma) al Dipartimento di Agraria dell’Università degli studi di Napoli Federico IIanzi, di più: esseri umani e mondo vegetale sono legati da una relazione simbiotica. Le piante hanno colonizzato il nostro pianeta molto prima di noi, e si deve al mondo vegetale la profonda modifica dell’ambiente terrestre che ha permesso l’evoluzione di sistemi biologici sempre più complessi fino ad arrivare agli esseri umani”. E dunque non è pensabile di colonizzare altri mondi senza l’ausilio delle piante: “La possibilità di realizzare missioni spaziali di lungo periodo, la lunga permanenza dell’essere umano a bordo di piattaforme spaziali orbitanti o in colonie spaziali sulla Luna o su Marte è legata alla possibilità di creare un ecosistema artificiale in cui le piante svolgeranno un ruolo biologico centrale”. In gergo, questi ecosistemi si chiamano sistemi biorigenerativi di supporto alla vita, e svolgono funzione di rigenerazione ambientale (in particolare di aria e acqua) e di cibo: “Le piante lo fanno benissimo: rigenerano l’aria grazie alla fotosintesi clorofilliana, purificano l’acqua attraverso la traspirazione e producono cibo, riutilizzando tra l’altro gli scarti organici dell’equipaggio”.

Le difficoltà spaziali

Il problema è che, ovviamente, un conto è coltivare le piante nell’orto di casa, o in una serra, e un altro è provare a farlo a bordo della Stazione spaziale internazionale, a 400 chilometri di quota, o addirittura sulle regoliti lunari o marziane. Ed è proprio di questo che si occupa il team di de Pascale, che sta ottenendo risultati molto interessanti, illustrati nel suo intervento a ColtivaTo: “Da diverso tempo stiamo cercando di caratterizzare sempre meglio qual è la risposta delle piante all’ambiente spaziale. Gli aspetti più interessanti della nostra ricerca riguardano l’adattamento delle piante alle condizioni di microgravità, la loro tolleranza alle radiazioni e la possibilità di usare i cibi che crescono in orbita come integrazione all’alimentazione e un giorno, magari, anche come sostegno alla vita. In collaborazione con Sapienza Università di Roma, per esempio, abbiamo lanciato a 6mila chilometri di distanza GreenCube, un mini-orto per studiare gli effetti delle radiazioni spaziali sulle piante: i risultati dell’esperimento hanno mostrato che i vegetali sono molto più resilienti degli animali, ossia in grado di resistere meglio a condizioni estreme”. La ricerca in questo settore, tra l’altro, potrebbe avere ricadute anche sulla Terra: “Quello che apprendiamo studiando come coltivare piante nello Spazio – conclude de Pascale – porterà ad avere più spazio per le piante anche sulla Terra: le conoscenze e le tecnologie che accumuleremo potranno infatti essere utilizzate per la coltivazione delle piante in ambienti estremi sulla Terra, come deserti, poli e megalopoli (penso per esempio al vertical farming) e per la messa a punto di soluzioni più sostenibili per l’agricoltura terrestre”.

Imparare dalle piante

Ma non finisce qui. Le piante possono aiutarci anche in un altro modo: alle piante possiamo ispirarci, per esempio, per creare nuove tecnologie. La robotica ispirata alle piante, in particolare, unisce in un contesto multi-disciplinare biologia, ingegneria, scienza dei materiali, informatica, per progettare e sviluppare tecnologie più efficienti e sostenibili grazie all’utilizzo di modelli di ispirazione naturali, e permette di approfondire allo stesso tempo la conoscenza degli ecosistemi naturali per aiutarci a comprenderli e salvaguardarli. “Tempo fa, le piante erano guardate con sospetto da chi si occupava di robotica – ci ha raccontato Laura Margheri, che è intervenuta a ColtivaTo e che lavora al Laboratorio di Bioinspired Soft Robotics dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) coordinato da Barbara Mazzolaisoprattutto a causa della loro (apparente) immobilità. In realtà le piante sono tutt’altro che immobili: si muovono per tutta la loro vita, e presentano un range di velocità di movimento molto ampio. Dal movimento “lento” che avviene tramite la crescita delle radici o dei rami, si passa a movimenti rapidissimi come quelli usati da alcune piante carnivore”. Superato questo iniziale “sospetto”, diversi gruppi di ricerca in tutto il mondo hanno cominciato a guardare alle piante con curiosità sempre crescente, e a considerarle sempre più seriamente una possibile fonte di ispirazione per i robot. “Uno dei primi modelli che è stato sviluppato è ispirato alle radici, e in particolare alla loro capacità di penetrare nel suolo minimizzando l’energia necessaria a farlo (questo avviene in virtù del fatto che le radici crescono dalle punte, e non dalla base) e muovendosi verso i nutrienti – continua Margheri – Abbiamo quindi messo a punto un modello di radice robotica in grado di “crescere” grazie a una stampante 3d; l’abbiamo dotata di sensori con i quali percepisce umidità e nutrienti e “sceglie” la direzione in cui crescere. Potrà essere utilizzata, per esempio, per il monitoraggio del terreno”. E anche in questo caso torna a fare capolino lo Spazio: “Il concetto e il design di un primissimo prototipo di apice radicale artificiale fu finanziato come progetto di fattibilità dall’’Agenzia spaziale europea, che era interessata all’idea di inviare radici artificiali su pianeti extraterrestri per creare strutture di ancoraggio utili all’esplorazione”.

Non solo: oltre alle radici, il team del Bioinspired Soft Robotics, coordinato da Barbara Mazzolai, ha realizzato anche una versione robotica delle piante rampicanti, utilizzando sempre la stampa 3d per far “crescere” il corpo creando delle strutture simili a rami che si librano in aria a seconda degli stimoli che ricevono (per esempio seguendo la luce). Ed è anche riuscito a imitare la dinamica della dispersione dei semi: “Per disperdere i semi – continua Margheri – le piante usano strategie a costo energetico nullo, affidandosi per esempio al vento, alle variazioni di umidità e agli animali. Abbiamo replicato le strutture dei semi con materiali artificiali e biodegradabili con sensori incorporati: si tratta, sostanzialmente, di sciami di semi-robot che possono essere dispersi nell’ambiente da droni, raccogliere dati (per esempio temperatura, umidità, concentrazioni di anidride carbonica e di mercurio) e infine essere “letti” dai droni per il recupero delle informazioni”. Niente male.



[Fonte Wired.it]