Ieri è stato anche un giorno di proteste alla Cop30 di Belém.
“La crisi climatica è una crisi sanitaria!”. Con questo grido, martedì 11 novembre decine di manifestanti, molti dei quali appartenenti a comunità indigene dell’Amazzonia, hanno tentato di entrare nella sede dell’annuale conferenza sul clima delle Nazioni unite nel nord del Brasile, scontrandosi con gli agenti di sicurezza.
Le proteste alla Cop30 di Belém
Tra canti e danze tradizionali, i partecipanti hanno protestato davanti all’edificio che ospita la manifestazione. Dopo essere stati respinti, hanno improvvisato una barricata con sedie e tavoli per chiudere l’accesso principale. La Cop30 è iniziata il 10 novembre e proseguirà fino al 21 di questo mese.
“Abbiamo voluto fare irruzione proprio per mostrare quali popoli dovrebbero essere protagonisti di questo evento”, ha dichiarato al progetto giornalistico ambientale Sumaúma Helen Cristine di Juntos, il movimento giovanile del Partido socialismo e liberdade (Psol), della sinistra brasiliana
“Riteniamo che la Cop30 non rappresenti i popoli indigeni. È un’organizzazione pensata per favorire gli imprenditori, mentre l’esplorazione petrolifera nel delta dell’Amazzonia continua a devastare l’ambiente“, ha aggiunto Cristine. Un giornalista dell’agenzia di stampa francese Afp ha assistito all’evacuazione di un agente di polizia in sedia a rotelle.
Le rivendicazioni delle comunità indigene
La sicurezza della Cop30 è suddivisa tra due giurisdizioni: mentre l’Onu è responsabile dell’interno della sede dell’evento, le autorità brasiliane sorvegliano il perimetro esterno.



