Seleziona una pagina
sabato, Nov 02

L’eco-ansia, o come i cambiamenti climatici rovinano la salute mentale


Sempre più giovani della Gen Z soffrono di un disturbo definito dalla psicologia come “una paura cronica della rovina ambientale”. Ne abbiamo intervistati alcuni

(foto: Marc Piscotty/Getty Images)

Durante una manifestazione per il clima nei pressi di una miniera di carbone vicino Aquisgrana, Miriam ha avuto un attacco d’ansia. Quel giorno l’attivista sedicenne di Fridays for Future Milano non ha parlato e non ha mangiato. E non è l’unica.

Sono sempre di più i giovani a soffrire di un disturbo psico-fisico chiamato eco-ansia, definita dall’American Psychological Association (APA) nel 2017 come “una paura cronica della rovina ambientale”. Il cambiamento climatico, infatti, non è solo causa di episodi di scarsità d’acqua, incendi o alluvioni ma “sta erodendo la salute mentale su larga scala”. Non si tratta di essere preoccupati di riciclare le confezioni di plastica del supermercato o di sforzarci di tagliare la carne dalla nostra dieta quotidiana. L’eco-ansia ha a che fare con tutt’altro: osservare gli impatti rapidi e irrevocabili dei cambiamenti climatici e preoccuparsi del futuro sono una fonte incontestabile di stress.

Ma l’eco-ansia non ha colpito solo i giovani americani. Secondo un sondaggio italiano pubblicato l’8 Ottobre da Swg, istituto di ricerca triestino, i cambiamenti climatici sono in cima alle preoccupazioni dei giovani italiani. A indicare il clima in testa alle “realtà che preoccupano maggiormente” è stato il 64% del campione dei giovani della Generazione Z. L’eco-ansia ha due dimensioni principali: la preoccupazione di una catastrofe naturale imminente – alla quale si aggiunge il timore di sopravvivere – e una sensazione generale d’ansia causata delle condizioni socio-ambientali del nostro pianeta.

Ansia significa fondamentalmente “paura senza oggetto”, spiega il dottor Paolo Girardi, che ha ricoperto il ruolo di ordinario di psichiatria alla Sapienza, università di Roma, e direttore di psichiatria presso l’azienda ospedaliera Sant’Andrea. L’ansia è uno stato di tensione nervosa e fisica, che può essere incredibilmente sgradevole, ed arrivare fino all’attacco di panico. In questo momento,  le generazioni più a rischio sono quelle che vanno dai 10 ai 30 anni. Sono quelle che rischiano di più, proprio perché questi cambiamenti vanno a colpire individui ancora non perfettamente maturi”, sottolinea il dottor Girardi.

Mi è capitato di conoscere persone che hanno avuto dei veri e propri attacchi di panico, è la sensazione di assoluta impotenza quando senti parlare di questi problemi legati al cambiamento climatico”, dice Giovanni, 26 anni, neolaureato in ingegneria e attivista con Fridays For Future Brescia.

I cambiamenti climatici sono profondamente legati all’insorgere di disturbi psicofisici. Infatti, i fattori di stress legati all’ansia si manifestano anche come risposte fisiologiche quando non siamo in grado di rispondere e adattarci ad una situazione.

Secondo il dottor Girardi, la difficoltà di adattamento, o problem-solving, è tanto più marcata quanto più siamo esposti a variazioni “brusche e continuative”. La conseguenza principale, quindi, è che siamo esposti a una serie di alterazioni fisiologiche e psicologiche non indifferenti. “Si alterano i ritmi circadiani, che sono alla base della nostra vita. Uno è il ritmo sonno-veglia, l’altro è il ritmo dell’attività quotidiana, e il terzo è il ritmo del riposo, inteso come non fare o non agire”, spiega Girardi. “Un altro problema grave che incide sull’adattamento è la capacità di coping dell’organismo, quindi la capacità del sistema nervoso centrale e periferico di adattarsi, di rispondere a una novità”. Cioè? “Ogni volta che si presenta una situazione nuova entriamo in una condizione di allerta e in base a questa condizioni di allerta, abbiamo più capacità di soluzione. Se la soluzione non arriva, quell’allerta si trasforma in stress, ovvero in ansia”.

L’eco ansia non ci assale solo per la paura di un pericolo percepito ma anche nel momento in cui entra in gioco il senso di colpa o la sensazione di impotenza per il mancato controllo sulla natura. Cominciamo a chiederci: cosa posso fare per cambiare le cose? Sto facendo abbastanza? Perché nessun altro sta facendo qualcosa?.

Il dottor Girardi aggiunge che, per i giovani d’oggi, parlare degli effetti del cambiamento climatico sul futuro è un po’ come parlare di possibilità di lavoro. “Quando ero giovane, ero sicuro che avrei trovato un lavoro, adesso invece non c’è questa sicurezza, e questo cosa comporta? Ovviamente un aumento di preoccupazione, ovvero di ansia”.

Questa sensazione di preoccupazione o ansia può esasperarsi e diventare una forza immobilizzante che assale chi ne soffre. In particolare, ne è colpito più duramente chi ha meno risorse per affrontarla o già sta sperimentando altri fattori di stress.

In tantissimi, me compresa, ne soffriamo. Questo tipo di ansia può portare da una parte ad attivarsi ancora di più, a combattere ed avere un riscontro positivo; altrimenti può sfociare in una vera e propria depressione”, dice Miriam. Infatti, anche Girardi conferma che “alcune persone si ritirano perché non ce la fanno, e queste persone hanno bisogno di maggiore aiuto”.

Secondo gli esperti di eco-psicologia – studi che partono dal presupposto che c’è una forte correlazione tra il crescente disagio esistenziale, individuale, sociale, e l’aumento del degrado ambientale – il modo migliore per combattere l’eco-ansia è il ricongiungimento con la natura.

Dean McKay, professore del dipartimento di psicologia della Fordham University a New York e co-direttore dell’Istituto di Cognitive-Behavior Therapy and Research suggerisce che “entrare in contatto con la natura fa parte di quello che viene chiamato anxiety control, o controllo dell’ansia. Una forma di impegno in qualche tipo di attivismo potrebbe ridurre i livelli di eco-ansia”.

Ma può essere vero anche il contrario? Le persone che soffrono di eco ansia si sentono più motivate a impegnarsi nell’attivismo, o è l’ansia ad alimentare l’inerzia e l’inazione? Quando c’è un aumento dell’ansia legata alla situazione politica, ad esempio, c’è anche un aumento della partecipazione. Lo stesso accade per l’eco-ansia e l’attivismo ambientale.

Io ormai è un paio di mesetti che non dormo la notte perché ho iniziato a pormi talmente tante domande che mi causano ansia, stress e soprattutto insonnia … Ha iniziato ad avviarsi un meccanismo di complessità diverso”, dice a Wired Alexander, 19 anni, di Fridays For Future Forlì.  “Io salgo la mattina in treno a Forlì, respiro bene, scendo a Bologna e faccio fatica. L’inquinamento dell’aria adesso si sente molto. Però l’ansia si sta trasformando anche in un motore. È un carburante che alimenta l’impegno, la lotta per provare a cambiare il sistema”.

L’attivismo però, può rivelarsi anche un’arma a doppio taglio quando, chi si mobilita, percepisce un senso di fallimento. “Mi sento come se non potessi far nulla, mi sento impotente, soffocato”, dice David, 14 anni, che adesso sciopera a Torino ogni venerdì dalla prima settimana di gennaio. “Andare in piazza, protestare con altre persone che la pensano allo stesso modo è un po’ come un antistress. Sto cercando di far sentire la mia voce. Ma spesso mi assale la sensazione che questo non serva poi a molto. A volte, a scuola, mi chiedo quale sia il senso di tutto questo, se ciò che impariamo non viene ascoltato”.

Poiché l’ansia è, in ultima analisi, l’indice della difficoltà del coping, quindi della risposta adattativa a un problema, “più c’è una risposta adattativa, cioè più c’è un agire e meglio è. Non c’è dubbio. Tanto è vero che anche in psicoterapia quello che si cerca di fare è aiutare la persona a trovare in sé le risorse per aggredire il problema”, spiega il dottor Girardi.

Eppure, a volte, agire non è abbastanza. Miriam, quel giorno della manifestazione sul clima alla miniera, si è mobilitata. “Ero con un mio amico che soffre di eco-ansia, ma non ha avuto reazioni negative perché la mobilitazione lo ha incoraggiato; a me invece è venuto letteralmente un attacco di ansia, non so come chiamarlo, un attacco di panico, e per l’intera giornata non ho né mangiato né parlato”, racconta Miriam. “Perché? Perché stiamo scioperando così da tantissimi venerdì e i leader politici e le multinazionali non stanno rispondendo. Mi manca l’appetito”. E in questi casi? Cosa si può fare per star meglio? Sembra che la risposta sia cercare di trovare un equilibrio, di normalizzare. “Non agire solo per il movimento, ma darsi del tempo anche per se stessi, uscire con amici, fare sport”, risponde Miriam.

Ma chi ha la possibilità di agire è fortunato: chi è colpito direttamente dalle conseguenze del cambiamento climatico, come le catastrofi naturali, non ne ha nemmeno il tempo. Per le comunità indigene, la perdita della casa a causa degli effetti del cambiamento climatico può significare anche la perdita di tradizioni, pratiche culturali e identitarie. “In Alaska, per esempio, alcuni indigeni hanno visto i propri villaggi letteralmente scomparire a causa del permafrost ed altri si troveranno nel prossimo futuro ad affrontare un processo simile”, scrive l’Apa nel report del 2017.

In Canada, gli inuit hanno mostrato evidenti segni di stress a causa della perdita della loro comunità. “Siamo gente del ghiaccio marino. Se non c’è più ghiaccio marino, come possiamo essere gente del ghiaccio marino?” ha detto un membro della comunità, sempre secondo il rapporto Apa. Il punto è che per gli inuit la terra è tutto. Il loro sostentamento, la loro identità si fondano sulla caccia, la pesca, il foraggio e la raccolta; quindi anche una piccola alterazione del clima e dell’ambiente può avere un impatto devastante sulla vita quotidiana e il benessere mentale della comunità; secondo l’Apa “un senso di desolazione e perdita simile a quello provato da persone costrette a migrare dalla propria casa”. A seguito di disastri naturali come l’uragano Katrina del 2005, il 49% della popolazione ha sviluppato disturbi d’ansia legati al senso di perdita della propria casa. Questo fenomeno ha un nome, si chiama solastalgia.

Riconoscere il riscaldamento globale come una minaccia reale significa anche riconoscere un cambiamento nelle dinamiche di potere tra l’uomo e il mondo naturale.  Dobbiamo mettere in conto che i nostri paesaggi, i nostri ambienti naturali e urbani potrebbero essere irrevocabilmente modificati dalle alterazioni climatiche causate dall’azione antropica. La sensazione di perdita sarebbe quella dominante.

Ho parlato con una mia amica che si è avvicinata a Fridays for Future solo ultimamente”, dice Miriam. “Un paio di settimane fa mi ha scritto ‘È bello parlare con qualcuno che non ti giudica perché hai paura di morire’”.

Potrebbe interessarti anche





Source link