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giovedì, Lug 18

Lega e Movimento 5 stelle sono ai ferri corti


Salvini accusa il M5s di tradimento, dicendo che “non ha più la sua fiducia, anche personale”; per i pentastellati la Lega vuole solo sviare le attenzioni dal caso Moscopoli. L’esecutivo traballa in un momento cruciale

Il capo politico del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il leader leghista Matteo Salvini (foto: Alessandra Benedetti – Corbis/Corbis via Getty Images)

La convivenza pacifica tra i due alleati di governo è finita, o almeno così sembra in queste ore. Il leader della Lega Matteo Salvini ha detto che il Movimento 5 stelle “non ha più la sua fiducia, anche personale” e ha aperto alla possibilità che si torni alle urne. “Oltre questo governo ci sono le elezioni, la finestra elettorale è aperta”, ha spiegato il leghista.

Luigi Di Maio non ha nemmeno provato a stemperare la tensione e in una diretta Facebook ha ammesso di essere “stufo”. “Capisco che si attacchi il M5s per fare notizia e coprire le inchieste sui finanziamenti alla Lega, ma questa è una falsità. È un attacco grave che io non posso permettere. Se la Lega vuole far cadere il governo lo dica chiaramente e se ne prenda la responsabilità”.

Da qualche tempo non si parlava più di una vera e propria crisi di governo: almeno dalla fine dello scorso maggio. Allora c’erano appena state le elezioni europee, i pentastellati avevano quasi dimezzato i consensi rispetto alle politiche del 2018 mentre la Lega li aveva più che raddoppiati, ottenendo un clamoroso 34%. La leadership di Luigi Di Maio era stata messa in discussione, si era ipotizzato un ritorno di Alessandro Di Battista e una nuova alleanza tra Lega, Fratelli o Forza Italia dopo l’eventuale caduta del governo. Alla fine, però, Salvini aveva escluso questo scenario e confermato la fiducia all’alleato. Cosa è cambiato da allora?

L’inchiesta sui fondi neri alla Russia

I rapporti tra Lega e Movimento 5 stelle sono di nuovo peggiorati una settimana fa circa. I pentastellati hanno infatti deciso di appoggiare l’idea del Partito democratico di istituire una Commissione d’inchiesta per fare chiarezza sulla presunta trattativa intavolata da tre uomini italiani, tra cui il consigliere di Salvini Gianluca Savoini, e tre russi per finanziare in maniera illegittima e segreta la Lega in vista delle europee. Questo sostegno si è tradotto in una proposta di legge che il Movimento ha presentato il 16 luglio, due giorni fa. Se venisse approvata, la Commissione indagherebbe su tutti i finanziamenti ai partiti, non solo a quelli relativi alla Lega. Il grillino Francesco D’Uva ha detto che questo è “un importante passo verso una doverosa trasparenza che la politica deve avere nei confronti dei cittadini”.

I leghisti non la pensano allo stesso modo, ovviamente. Matteo Salvini si è anche rifiutato di presentarsi in parlamento. “Non abbiamo chiesto, né visto né preso un euro di finanziamento dall’estero. Sono stufo di ripeterlo e lascio divertirsi gli amanti di James Bond alla caccia di soldi che non ci sono. Mi occupo di vita reale non di spionaggio e controspionaggio”, ha detto in una delle ultime conferenze stampa cui ha partecipato.

Sul caso, intanto, continua a indagare la procura di Milano, che ha iscritto nel registro degli indagati due degli uomini che hanno partecipato all’incontro del 18 ottobre scorso al Metropolitan Hotel a Mosca: Gianluca Meranda e Gianluca Savoini. Quest’ultimo è stato interrogato ma si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Contemporaneamente all’inchiesta giudiziaria, prosegue anche quella giornalistica. L’Espresso, che per primo scrisse di una presunta trattativa tra uomini di Salvini e emissari russi, ha ottenuto dei documenti che dimostrerebbero che la trattativa sarebbe andata avanti almeno fino a febbraio: una proposta commerciale inviata alla compagnia petrolifera Rosneft dieci giorni dopo l’incontro, una nota interna di un’altra società di stato russa, Gazprom, e una risposta inviata a Savoini da una banca londinese rappresentata da Meranda. I documenti, che finora nessuno ha visto a parte i giornalisti de L’Espresso, saranno pubblicati nel prossimo numero del settimanale in edicola domenica 21 luglio.

L’elezione di Ursula Von der Leyen

Il secondo fattore di attrito tra gli alleati di governo ha che fare con l’elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione europea. La nomina dell’ex ministra tedesca della Difesa è stata sostenuta dai voti degli europarlamentari del Movimento 5 stelle ma non da quelli della Lega, che hanno votato contro. Non appena è stato reso noto il risultato, Matteo Salvini ha accusato i pentastellati di essersi alleati con il Pd e con l’establishment.

Questi hanno risposto accusando a loro volta di Lega di tradimento. “Ritornando all’elezione della von der Leyen, dovete sapere che c’era un accordo. Ma questo la Lega non ve lo dirà mai”, scrivevano in un post sul blog. “L’accordo prevedeva che anche i sovranisti votassero Von der Leyen sapendo che la ‘sua’ maggioranza non esisteva e in questo modo avremmo potuto condizionare ogni decisione futura in Europa. Tutti erano d’accordo, con tanto di dichiarazioni pubbliche. Poi la Lega, all’ultimo secondo, ha deciso di sfilarsi”.

Salvini non ha né confermato né negato l’esistenza dell’accordo. Parlando coi giornalisti, si è limitato a dire: “Ursula von der Leyen è passata con le preferenze del Pd, di Forza Italia e del M5s. È come se  in Italia ci fosse un governo Forza Pd, M5s. Cosa fa, che cambiamento rappresenta? Quindi sono orgoglioso della coerenza e della lealtà dimostrata dagli europarlamentari  della Lega”.

Il caso Garavaglia

Sui rapporti tra i due alleati pesa anche il cosiddetto caso Garavaglia. Mercoledì 17 luglio il tribunale di Milano ha assolto il viceministro leghista Massimo Garavaglia dall’accusa di turbativa d’asta nel processo una gara d’appalto nella sanità in Lombardia, perché il fatto non sussiste.

Il Movimento 5 stelle non ha subito commentato la notizia, attirandosi le critiche di Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, capigruppo della Lega alla Camera e al Senato. “Spiace solo constatare l’assordante silenzio degli amici del M5s sulla vicenda”, hanno detto non senza una nota di ironia.

Anche in questo caso, i grillini non hanno incassato. “Siamo felici per il sottosegretario Garavaglia e ci auguriamo che ora possa convincere Salvini a riferire in aula sui fondi russi, così come farà il presidente Conte”, hanno scritto in una nota ufficiale. “Se non c’è il rispetto del parlamento, non c’è il rispetto dei cittadini”.

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