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giovedì, Mar 04

L’era della suscettibilità, il saggio della Soncini sulle piccole miserie morali dell’era social



Da Wired.it :

La giornalista nel suo nuovo saggio si scaglia contro i feticci della cancel culture e del politically correct, argomentando in modo arguto ma forse non cercando mai una sintesi costruttiva

cancel culture

Si può avere timore di scrivere di un libro? Timore che a un certo punto, a interrompere una paciosa e ritirata vita fatta di call su Zoom, ricette del pane di segale, scroll infiniti di cagnolini tiktokers e aggiornamenti sui vaccini, arrivi magari l’autrice del libro in questione a riesumarti vecchi status social compromettenti, errori grammaticali del giurassico, opinioni acerbe quanto stupide, e magari con lei la sua orda di accoliti, tutti attirati come squali dal sangue di una critica che è pur sempre un’opinione non richiesta.

Tutto ciò per alimentare quelle micro-gogne mediatiche pro e contro cancel culture che a sua volta alimentano l’indignazione che a sua volta alimenta un ciclo continuo di faide e piagnistei, una specie di profezia autoavverantesi riassunta nel titolo del libro in questione, L’era della suscettibilità, appena scritto da Guia Soncini per Marsilio. La quale peraltro si domanda: “Quante cose ci stiamo perdendo? Quanti romanzi, quante canzoni, quanti film vengono lasciati tra le idee incompiute perché l’autore poi non vuole passare le giornate a chiarire equivoci?”. Si può dunque avere timore di parlare di un libro, ma non farlo (oltre a contravvenire alla più ovvia delle urgenze: la vanità) sarebbe ammettere di avvallare questa suscettibilità imbarazzante.

Per chi non la conoscesse, Soncini è il classico esempio, molto italiano e molto social-contemporaneo, di giornalista personaggio, divisivo ancora prima di essere informativo, formatosi sicuramente sulla scorta di un talento indubbio e di una conoscenza onnivora ma anche alimentato da un carattere scientemente viperino. Idolatrata da una schiera di giornalisti che aspirano alla sua sagacia pur senza averne i mezzi tecnici e intellettuali e da una varietà di media people che pur di non finire sotto il suo scudiscio la ricoprono di condiscendenza, al contempo è invisa a un’altrettanta nutrita congerie di puristi che non resistono al ditino alzato della pretesa superiorità morale e intellettuale ma che finiscono inevitabilmente soverchiati da quella che invece è la sua fulminate antiretorica da tweet (innumerevoli ormai i refrain sonciniani che molti indossano come una medaglia, tipo la “mancata comprensione del testo”, un “senso del tono” sfuggito o il mito delle “elementari migliori del mondo”).

Sta di fatto che L’era della suscettibilità è Soncini in purezza, stile avvincente e affilato a sostenere, consapevolmente e furbescamente, posizioni controintuitive a sfidare il “feticismo della fragilità”: un condensato di opinioni al vetriolo, levigate quanto basta per mostrare l’assurdità e la tossicità di certi fatti, spesso ritagliati da un contesto più complesso, ma sicuramente supportati da una profonda conoscenza di come funziona l’establishment dell’intrattenimento e della cultura soprattutto americana. A ciò si aggiunge un controllo del linguaggio così tagliente da riuscire quasi a far tentennare anche la più radicale delle “cancellettiste”, come le chiama lei. La cosa interessante è che in sostanza quello che enuncia Soncini nel suo libro è (quasi) tutto giusto: “In effetti è difficile pensare a un concetto più razzista di ‘conta solo il colore della tua pelle’”, “Abitavamo un altro tempo: l’epoca del contesto. Quella in cui potevi anche non conoscere i libri o i film o i riferimenti, ma se una frase stonava ti facevi venire un dubbio”, “Che sentirsi turbati dalla lettura di Shakespeare o dall’ascolto di Prince non sia una cosa dalla quale io, società, devo proteggere te, ventenne, ma una cosa che cresci proprio quando impari ad affrontare è abbastanza ovvio a chiunque”, “Nell’epoca in cui tutti si offendono per tutto, le uniche frasi che non suscitano indignazioni sono quelle che nessuno ha letto”.

Il problema (ammesso che ci sia un problema) è la prospettiva che viene ribaltata ad arte: ricordare tutte queste storture o ritenere certe tendenze correttive delle derive pericolose non rende meno gravosi i problemi da cui quelle storture e derive prendono piede. C’è un capitolo abbastanza paradossale ma anche divertente in cui Soncini controbatte a un giornalista americano che tenta di convincerla della maggior gravita degli insulti rivolti alle donne in insomma s’imbatte (ma non subisce) un classico caso di mansplaining pur dovendo ammettere che “per fortuna non sono una delle donne che piacciono a lui, altrimenti l’avrei accusato di mansplaining”. Preoccupata di dimostrare in modo arguto che la gente è scema, impreparata e lamentosa, Soncini in qualche modo nasconde sotto il tappeto che la gente, pur scema, impreparata e lamentosa, manifesti legittimamente il disagio di vivere in una società che penalizza in modo sistematico i più deboli e i meno conformi. Pur dicendo (in nota) di non “voler sminuire la violenza sulle donne”, l’autrice non è che sminuisca davvero questo o quel problema, ma crea un contesto in cui praticamente qualsiasi rimostranza viene bollata a piagnisteo. Come a dire: se siete finiti a produrre la cancel culture, fatti vostri, ormai ogni tentativo di emancipazione è perduto.

Al solito si rischia di confondere i piani del contenuto e della forma: che certe istanze vengano banalizzate da un fare vittimistico o lamentoso non può portare alla conclusione che quelle istanze non siano urgenti; Soncini ovviamente è troppo intelligente per arrivare a quella conclusione (si ferma un passo prima), ma non rinuncia a un’argomentazione che verrà giocoforza semplificata tanto da prestarsi a diventare un precedente ambiguo e pericoloso. Dalla sua parte ha una casistica davvero vasta di assurdità, incomprensioni ed esagerazioni, che pescano in infiniti elenchi che vanno da Kevin Spacey agli animalisti contro Catherine Deneuve, dal direttore di Vogue Uk scambiato per un fattorino alle accuse ai testi sessisti di Battisti, e soprattutto la giornalista ha il pregio, in un’epoca di citazione approssimativa e di percezione iper-soggettiva, di snocciolare dati, fonti, casi specifici, rettifiche andate perdute nel tempo (e purtroppo lo si dice qui come se non fossero requisiti di ogni serio lavoro giornalistico o saggistico). E ha anche ragione quando afferma che “gli estremisti di sinistra vedono nei moderati di sinistra il loro più acerrimo nemico, detestano il dubbio e la complessità e le sfumature ben più di quanto detestino la destra”, ma viene poi da chiedersi: e quindi? Finita questa pars destruens lunga 190 pagine e appurato che siamo tutti (tranne lei) sciocchi, avventati e pure permalosi, cosa dovremmo fare?

Leggendo L’era della suscettibilità viene il dubbio che il discorso più generale non vada in nessuna direzione se non quella di sanzionare i comportamenti inetti tanto deprecati da Soncini e a confermare questo scontro perenne di buoni o cattivi, ottusi o illuminati. Le fazioni che da anni ormai si scontrano sul feticcio del politicamente corretto rimangono pietrificate sulle loro posizioni mentre nel frattempo la società va avanti piegata ad altre logiche (che sono sempre le solite: necessità, profitto, urgenza e meno peggio). Come dimostra una pagina curata da Jennifer Guerra, in Italia la maggior parte delle levate di scudi nei confronti del politically correct e della cancel culture derivano da una interpretazione sbagliata di notizie estere o peggio ancora da vere e proprie fake news. C’è quasi una volontà inconsapevole e/o malevola nell’alimentare questo tipo di notizie e di discorsi per un solo motivo: sono diventati un genere.

Sono diventati cioè un filone notiziabile e soprattutto un filone editoriale che, fra manuali rivoluzionari e contromanuali reazionari, ormai è utile, facile e brillante cavalcare. Il libro di Soncini, che pure cerca di argomentare in modo più circoscritto di certe generalizzazioni pretestuose, fa parte di quel filone, di quel genere (così come questo articolo). In fondo, più che nell’epoca dell’eccessiva indignazione, viene da dire che viviamo nell’era dell’eccessiva semplificazione, dell’eterna inconciliabilità e affrontare discorsi così complessi su posizioni radicali e giudicanti non fa che annacquare qualsiasi tipo di discorso, rendere impossibile ogni sintesi costruttiva. La verità è, come scrive lei, che “nessuno vuol trovarsi dalla parte sbagliata del linciaggio”, quindi non si capisce da che parte si dovrebbe stare, se di quelli che suscettibili chiedono le teste dei colpevoli o di quelli che, un po’ nostalgici un po’ neoilluministi, chiedono le teste di chi chiede le teste. Per fortuna viviamo anche in tempi, come dice Soncini, di “indignazione deperibile”: domani ci saremo già dimenticati da che parte stavamo.

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[Fonte Wired.it]