C’è qualcosa di struggente e irriverente nel modo in cui Lesbian Space Princess disintegra ogni pretesa di purezza. Il film d’animazione delle australiane Emma Hough Hobbs e Leela Varghese, presentato prima al 75° Festival internazionale del cinema di Berlino dove ha vinto il Teddy Award, e in seguito al Trieste Science+Fiction Festival 2025, sembra nascere già consapevole che ogni utopia, anche quella queer, porta in grembo la propria crepa, un punto di saturazione, un perimetro asfittico che tenta di confinare i propri personaggi.
Là dove la fantascienza aveva disegnato galassie di conquista e dominio, qui si apre un universo interamente abitato da desideri saffici, da regine distratte e principesse smarrite. Al centro della storia troviamo Saira, principessa infelice, emarginata e introversa che vive sul pianeta Clitopolis, abitato e guidato unicamente da donne lesbiche, figlia di due regine piuttosto negligenti. Saira è distrutta dalla fine della sua relazione con Kiki, cacciatrice di taglie che perde interesse verso di lei, trovandola oltremodo noiosa. Saira, di rimando, continua a indossare il maglione di Kiki, l’unico oggetto superstite di una relazione di poche settimane. Ma in questa gaylassia lontana lontana, una triade di maschi bianchi eterosessualieni rapisce Kiki per usarla come esca per rubare il labrys di Saira, un’ascia mitica simbolo del potere lesbico, e adoperarla per i loro scopi malefici. Purtroppo, a differenza delle altre lesbiche che popolano il suo pianeta, Saira non è ancora riuscita ad evocare il suo labrys. Disperata e senza alternative, Saira sottrae una navicella spaziale abbandonata e parte per un viaggio attraverso la galassia per salvare Kiki.
Lesbian Space Princess è un tripudio di colori, riferimenti, momenti satirici, un incontro di generi, è un prisma accecante, un’opera intelligente e profondamente spassosa che sfilaccia ogni confine facendo esplodere i codici del genere sci-fi e della rappresentazione identitaria in un pastiche di tinte acide e melodrammi cosmici. In questa deriva siderale, il corpo queer è materia viva che si contorce, si smembra e si ricompone. Osserviamo la protagonista Saira, circondata da aspettative sociali, prassi, rituali, che sembrano volerla confinare in una forma definitiva, un modello aspirazionale in cui non si rivede e che non riesce a raggiungere.
Una gaylassia lontana lontana
Lesbian Space Princess affina il proprio sguardo analitico per restituirci un’opera che interroga e gioca con le dinamiche di potere, con l’immagine della donna lesbica incarnata in un corpo che pulsa, sanguina, si trasforma, accoglie e respinge, e lo fa con con una leggerezza quasi punk, disarmante. Un’ironia radicale e spessa contamina tutta la narrazione, ambientata in un altrove utopico e suggestivo che diventa un campo di battaglia emotivo e simbolico, in cui niente è pacificato e tutto è da riscrivere. Un’opera meravigliosamente dissacrante che si diverte a demolire miti e convenzioni contemporanee mettendone a nudo le contraddizioni più profonde.
Il film d’animazione delle australiane Emma Hough Hobbs e Leela Varghese smonta l’immagine del maschio bianco eterosessuale, riportandolo su schermo attraverso una risma bianca, un foglio accigliato e nervoso, con la sua fragile maschera da incel, e sullo sfondo, a ospitare il viaggio di Saira, una nave spaziale governata da un’intelligenza artificiale misogina e problematica. Il tutto circondato e abitato da una gaylassia di cantautrici bisex, drag queen, ciclopi queer e donne lesbiche dai tratti grafici spessi, saturi, dai volti super espressivi. Lesbian Space Princess è un’opera piena zeppa di gag che fanno riferimento ad altre storie fantasy o sci-fi, da Twilight a Sailor Moon, oltre ad alcuni omaggi ad animazioni classiche, un film che non risparmia nessuno, e compie una satira queer che si diverte a frantumare slogan, derive dogmatiche e pose militanti, senza mai rinnegare la propria appartenenza, un’animazione per adulti sincera, con battute efficaci, ficcanti e una colonna sonora a suo modo divertente e orecchiabile.
Lesbian Space Princess è un film che ride in faccia alla purezza, all’ordine e che nell’oscillazione tra eros e anarchia trova una nuova forma di verità. Un manifesto luminoso e sgangherato sull’amore saffico come forza cosmica, abissale, disordinata e irriducibile.



