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sabato, Mag 16

L’estate ansiosa del coronavirus, come la racconterebbe La Capria 



Da Wired.it :

Tra ansia per il futuro e memorie del passato, uno degli autori che ha raccontato meglio l’estate italiana è stato Raffaele La Capria. Dalla Napoli degli amori alla Roma delle delusioni, i suoi romanzi e racconti aiutano a capire come saranno le nostre strane vacanze pandemiche

(foto: Getty Images)

In questa fase 2 di lento rilascio delle nostre libertà personali, nella testa di molti la domanda che tipo di estate sarà? è balenata spesso. In Italia  è associata ovviamente al poter andare in vacanza, e ancor più spesso al mare, nonostante la crisi economica che aleggia. Le immagini da cartolina di un’Italia oggi stravolta negli usi e costumi dal virus, verranno – si spera temporaneamente – trasformate da ombrelloni distanziati e ristorantini sul mare con tre-quattro sparuti tavoli a distanza di sicurezza.

Il virus sta cambiando per sempre anche il nostro concetto d’estate? Questo ancora non lo sappiamo, ma sicuramente ha già messo in crisi il Belpaese turistico che stenterà a ripartire, o lo farà con mezzi di fortuna. C’è da chiedersi come questo cambierà anche il rapporto degli italiani con la sessualità, in una stagione estiva spesso protagonista di incontri e scappatelle scollacciate. 

La vacanza è una specie di rottura con la realtà, una evasione dalla storia, e solo la Storia ha un senso”, così scriveva Raffaele La Capria nel suo romanzo più celebre, Ferito a morte. L’autore e sceneggiatore napoletano è venerato oggi non solo per i suoi racconti estivi ed equorei, spesso legati al racconto della città partenopea e le sue coste e isole limitrofe, ma anche per l’opera memorialistica e più autobiografica, dove ha raccontato il Dopoguerra mescolando esperienza personale e la storia che faticosamente si riprendeva dalle rovine. Memorie che ha affrontato prima abbracciando un certo sperimentalismo e successivamente nella forma più memorialistica. È lui il nostro autore della settimana nostalgica d’estate.

Il suo libro più famoso, il già citato romanzo Ferito a morte, potrebbe essere significativo da rileggere in questa sonnacchiosa ripartenza bis in cui da lunedì potremo incontrare di nuovo i nostri amici (dopo la farsa dei congiunti). Il romanzo onirico e realistico a un tempo ruota tutto, in molteplici piani e focalizzazioni narrative riprese del modernismo europeo e americano (si sentono accenti di Joyce e Faulkner, da lui molto amati), attorno a varie estati napoletane, in particolare quella del 1954 e quella del 1960, vissute dal protagonista Massimo e dai suoi amici: nella prima, lui e un gruppo di altri giovani napoletani di famiglia bene (quasi dei vitelloni felliniani) si muovono indolenti all’interno di un luminoso mattino al mare, si dedicano alla pesca, dialogano decadenti al circolo nautico… 

Il romanzo si apre proprio con il dormiveglia di Massimo che sta per partire per Roma, e da quel dormiveglia hanno inizio altri livelli narrativi e flashback, compreso un monologo di Ninì, il fratello di Massimo e il ritornare di quest’ultimo all’amore inappagato per Carla Boursier in un rifugio antiaereo, durante la guerra del 1943. Negli ultimi capitoli, si descrive invece uno dei suoi ritorni a casa, l’estate del 1960 a Capri, quando le cose sono cambiate e i suoi amici piano sembrano essere rimasti al palo. Il tema della sconfitta esistenziale e dell’eros inappagato, tornerà anche nei confronti della città d’elezione, Napoli, descritta come la città che ti ferisce a morte o t’addormenta”, capitale ideale di un’Italia del dopoguerra, ansiosa di crescere tra le rovine e per questo sempre presa in una falsa partenza. 

Un giorno d’impazienza è stato però l’esordio di La Capria e dalla sua potrebbe invece essere usato per spiegare l’ansia degli innamorati che per molto tempo sono stati superati durante il lockdown, e che oggi magari hanno problemi a ritornare insieme dopo settimane di solitudine. “Domani alle sei a casa tua. Appena sveglio avevo risentito le parole di Mira, dette ieri sera, bisbigliate al mio orecchio” è l’incipit che ritorna a conclusione del romanzo di un romanzo che si svolge in uno solo giorno, un giorno in cui il protagonista si muove in un luogo monologo interiore per le strade, sui tram, nei bar di una città che è riconoscibile in Napoli. 

L’impazienza del protagonista, la fretta di chi racconta per incontrare la donna desiderata in una giornata del 1950, quella che potrà farlo diventare adulto con la sua libertà sessuale, sarà al centro del romanzo fino a farlo diventare un circolo vizioso e inutile – per questo incipit e explicit sono identici. “Le donne erano una razza sconosciuta per noi. E in questo deserto di solitudine” – che per l’autore coincideva con il dopoguerra neghittoso che descriverà anche in Ferito a morte – “in cui ciascuno di noi cercava l’amore, se per caso una ne passava potevamo facilmente prendere un abbaglio…” il rapporto con Mira sarà solo il simbolico mancato rapporto con l’età adulta e più in generale, dei giovani che avevano vissuto la guerra da ragazzi e che non riuscivano ad inquadrarsi nella nuova Italia. Sarà così anche per gli adolescenti post-pandemia? 

Tutti i libri di La Capria, ingaggiando una riflessione tra letteratura e vita anche solo implicita, lavorano su un’autobiografia implicita e mai disdegnando il riferimento storico. Amore e psiche è il terzo romanzo dell’autore, strutturalmente più corposo, e sposta il focus da Napoli a Roma, e dai giovani neghittosi napoletani a l’intellighenzia romana rappresentata da un benestante funzionario culturale nei primi anni 70. Il romanzo, sempre raccontando nell’arco di una solo giornata come i precedenti, mette in scena da una lato la crisi sentimentale dell’uomo di mezz’età, e dall’altro la crisi dei tempi storici dell’ perché si riferisce anche agli scontri e alla manifestazioni politiche dell’epoca. Ed è proprio attorno ad un comizio che genererà violenti tafferugli che si divide la giornata del protagonista, con un finale onirico e inaspettato fatto di violenza. 

L’uomo, attraverso flashback mentre sta immerso nel traffico di Roma in attesa di arrivare in ufficio, ha prima raccontato del rapporto con la moglie, che si avvicina alla separazione, che fa da contraltare a quello con la figlia adorata. Durante il tragitto, ricorderà però anche dell’amico napoletano, Gianni, che è un po’ il suo tormento-alterego. Venuto dalla capitale partenopea raccontata nei precedenti libri di La Capria, Gianni soffre di manie persecutorie. In un colpo di scena, il protagonista ritroverà nella manifestazione stessa l’amico, o una visione o fantasma dello stesso, con un tragico epilogo che pare scalfire il suo “nocciolo duro” di un io, solo apparenza refrattario. 

Dopo l’esperienza con i romanzi, La Capria, chissà insoddisfatto della riuscita dell’ultimo di essi chissà per insoddisfazione personale, si dedicò soprattutto a scrivere racconti, memorie e saggi letterari. Ricordiamo qui le raccolte La neve del Vesuvio, L’amorosa inchiesta e L’estro quotidiano e. La prima raccolta, quasi un romanzo di formazione per unicità del protagonista principale, ritorna indietro nel tempo all’infanzia e dell’adolescenza “vesuviana” dell’autore, trasfigurata nell’esperienza di uno stesso personaggio, Tonino. 

Tra affresco familiare e delicato resoconto storico, i racconti hanno sullo sfondo la scelta di un giovanissimo napoletano di fronte alle strade molteplici che sta imboccando l’Italia degli anni Trenta e Quaranta, tra l’ascesa del Duce, le eco del comunismo, e l’arrivo degli Alleati. E i contesti marini campani sono motivi di gioie e felicità ma anche di sfida e dolore, che porterà Tonino a separarci dagli amici, e con essi, dall’infanzia stessa, perché anche la neve del Vesuvio poi si scioglie. 

Il secondo libro, L’amorosa inchiesta, contiene invece tre lettere che l’autore rivolge rispettivamente al primo amore, alla figlia e al padre morto, dove l’autore anche si confessa nei suoi difetti e nelle proprie incapacità, specie nei confronti delle assenze rivolte alla figlia. E dove incontriamo una brano ideale della poetica lacapriana: “Nella finzione, in una fiction, si sa come stanno le cose e come tutto va a finire, perché la fiction è una storia inventata, e per uno scrittore è un progetto estetico che dev’essere organizzato e portato fino alla fine, con una certa strategia, alla conquista di un significato e di un’emozione complessiva. Nella vita invece non si sa mai bene quello che accade, e mentre accade il punto di vista è troppo vicino e ci sono troppe interferenze estranee dentro i pochi fatti essenziali, quelli che contano veramente, interferenze che ci distraggono dall’immediatezza dell’accadere e sono fuorvianti”.

Ma come sempre il motivo autobiografico porta La Capria a riflettere sulla vita, sul rapporto (e il fallimento, si direbbe, del rapporto) tra letteratura e vita. Vincitore del Premio Viareggio è L’estro quotidiano raccolta dichiaratamente autobiografica in cui l’autore si rivolge a fatti e contesti più recenti, dimostrando di non lavorare bene solo sul passato ma di sapersi misurare sul quotidiano contemporaneo, cosa che già gli riconobbe da subito Pier Paolo Pasolini e altri amici e colleghi giornalisti del periodo romano. 

Vale sicuramente la pena menzionare, a conclusione, almeno una delle ultime uscite legate all’autore di Ferito a morte: Novant’anni d’impazienza. Un’autobiografia letteraria è stato raccolto da minimum fax, dove l’autore si racconta attraverso i libri come se fossero specchi della propria vita. 

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[Fonte Wired.it]