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sabato, Ago 22

L’estate giusta in cui rileggere Elsa Morante



Da Wired.it :

Il contrasto tra sogno e realtà di quest’estate pandemica, e una critica alle logiche di genere della società nella consapevolezza che la storia sta diventando troppo vasta e terribile per i suoi stessi protagonisti: che questo 2020 sia anche l’anno di Elsa Morante?

Lo scorso 18 agosto sarebbe stato il compleanno di Elsa Morante, considerata una delle voci più importanti del secondo Novecento italiano. L’autrice de La storia e L’isola di Arturo, in parte tenuta in ombra dalla figura del primo compagno Alberto Moravia, raccontò dall’interno delle vicende dei suoi libri il terribile riconoscimento di una storia che schiaccia i suoi personaggi nella propria vastità, e che solo la letteratura può in fondo sanare, donando luce. In questa fine estate che sembra alimentare nuove paure di autunni inquieti – e tutt’altro che caldi – dopo il sogno di un’estate ansiosa e liberatoria, è una scrittrice adatta da rileggere oggi. 

Morante, che aveva esordito nella forma breve con racconti e fiabe in cui la dimensione onirica la faceva da padrone, impressionò tutti con il suo esordio nel romanzo, Menzogna e sortilegio, dove il confronto tra realtà e sogno è sempre presente, ma sotto la forma di un romanzo famigliare realistico ma anche dal sapore anticato (per volere della stessa autrice).

Procedendo per visioni piuttosto che per fedeltà cronologia, l’autrice usa la voce narrante di Elisa per andare indietro nel tempo di una genealogia familiare di fantasmi personali, caratterizzata tanto da sortilegi (passioni spesso violente) quanto di menzogna: “Chi fugge per amore non può trovare quiete nella solitudine” è il lemma sotto il quale leggere il libro. 

Al centro della narrazione, ambientata in un’ideale ma non ben determinata Sicilia incantata e cruda a un tempo (“calcinosa” la definì Calvino), c’è un triangolo romanzesco quasi da melodramma, fatto di forze di attrazione e repulsione. Il triangolo è composto dalla madre di Elisa, Anna, e da due uomini, Edoardo, “il Cugino” di Anna – con il quale quest’ultima ha un rapporto morboso – e Francesco, amico di Edoardo, personaggio profondamente segnato dal vaiolo in viso (definito “il Butterato”), ma anche premurosamente innamorato di Anna. 

Il triangolo, avente sullo sfondo una società borghese realista quanto raccontato in una mitologia del sogno fiabesco, avrà un tragico epilogo per i tre, dal quale però sopravviverà la voce narrante stessa, Elisa, grazie alla cure della prostituta dal cuore buono e unica vera protettrice Rosaria, personaggio dal quale la narrazione parte e vera riscattata dalla realtà. Legato a quest’esordio, e contenente molti dei racconti della raccolta Il gioco segreto si potrebbe proseguire nella lettura della “prima” Morante con il potente Lo scialle andaluso

Dopo quasi dieci anni dall’esordio, arrivò una nuova tappa della scrittrice: l’altrettanto folgorante L’isola d’Arturo, che può essere oggi letto anche come una profonda critica del patriarcato, senza per questo proporre radicali posizioni femministe. L’autrice usa lo spazio apparentemente isolato del romanzo per proporre una critica di logiche e strutture della società borghese dell’epoca vigenti ancora oggi, coinvolgendo non solo il ruolo delle donne, ma anche quello dell’infanzia che affronta violentemente la maturazione in tempi pandemici.

Protagonista è l’educazione sentimentale e alla vita di Arturo Gerace, bambino per troppo tempo nutrito da un’educazione tutta al maschile, nell’idillio creato dal padre e dalla Casa dei Guaglioni, la casa maledetta per ogni donna (la madre di Arturo è morta dando lì alla luce il figlio) a Procida, nello spazio utopico dell’isola dominato anche dal famoso penitenziario.  

Arturo è affascinato dagli eroi, regnanti e cavalieri dei libri (tutti uomini, ovviamente, e lui stesso si chiama in fondo Artù come il celebre re), quanto si pone in contrasto con i procidani – si aggira per l’isola in cerca di avventure con la sola fida cagnetta Immacolatella – anche per via anche del fascino del padre italo-tedesco Wilhelm e le sue continue assenze dall’isola, che contribuiscono a farne un mito magnetico. 

La rottura dell’idillio paterno di Arturo e la scoperta della realtà (su molti fronti) dopo, potremmo dire, l’invenzione dell’infanzia viene provocato dall’avvento dell’amante napoletana del padre, Nunziata, di poco più grande di lui. E della quale presto si invaghisce, provocando il contrasto con la figura paterna e creando un nuovo scompiglio nella Casa dei Guaglioni.  La Casa si infetta, crolla nelle sue logiche essenziali, la seconda moglie pare non essere scalfita dalla maledizione, e per Arturo sarà l’inizio di un velenoso sconvolgimento che lo porterà a fuggire dall’idillio verso la vita vera (e il conflitto della seconda guerra mondiale).

E dove finiva L’isola di Arturo idealmente inizia un nuovo celebre romanzo di Elsa Morante. Il confronto tra la storia degli umili e dei vinti e quella più grande, con la S maiuscola – oggi che con la pandemia ci troviamo ad abbracciare una narrazione globale fatta di curve che salgono, morti e altre conte – matura infatti nel suo più ponderoso romanzo La storia.

Protagonista è innanzitutto la Roma dei diseredati della seconda guerra e del dopoguerra, quella occupata dai nazisti e quella liberata, dove le vicende storiche si abbattono rovinosamente – il fascismo che divide le genti, ma anche la deportazione degli ebrei – sulla vita essenzialmente di due personaggi, Ida e il figlio Giuseppe detto “Useppe”, che vivono prima nel quartiere povero di San Lorenzo e che successivamente troveranno rifugio sia a Pietralata che a Testaccio, dopo i bombardamenti del 1943 e la lotta tra partigiani e fascisti, che li toccherà più volte. 

Sballottati dagli eventi, da quelle “scene della storia umana (la Storia)che Ida stessa percepisce come “spire multiple di un assassinio interminabile” ci troviamo di fronte a un romanzo corale, dove l’autrice tentò la via del romanzo storico del popolo, mettendosi al confronto niente di meno che con Alessandro Manzoni.  La storia fu in realtà un grande palinsesto novecentesco dei vinti e della loro solidarietà nei confronti della violenza e del lutto, che riuscì a donare universalità al realismo italiano spesso troppo provinciale, facendolo diventare monumentale e empatico assieme.

Il percorso romanzesco della Morante si concluse negli anni Ottanta con un romanzo in cui l’autrice sperimenta non solo con le sue tematiche ma anche con il bilinguismo tra italiano e spagnolo: Aracoeli. Ed il rapporto madre-figlio che ritorna anche qui, enfatizzato dalla differenza culturale e linguistica, nonché da una profonda e a tratti oscura riflessione sull’estraneità e la follia, dà vita a un romanzo di agnizione psicologica intensa. 

Mia madre era andalusa. Per caso, i suoi genitori portavano, di nascita, l’uno e l’altra, il medesimo cognome Muñoz: così che lei, secondo l’uso spagnolo, portava il doppio cognome Muñoz Muñoz. Di suo nome di battesimo, si chiamava Aracoeli“. E questa origine bifida per il protagonista Manuele, omosessuale colto nel mezzo del cammino di sua vita a quarant’anni, l’ha sempre segnato come un’ambiguità inestirpabile.  Così nel romanzo si racconta di questo viaggio di Manuele, di ritorno reale e simbolico alla madre verso l’Andalusia, che è un viaggio intimo dell’infelice protagonista verso sé stesso e la propria infanzia interrotta dalla pazzia e dalla successivamente morte della madre spagnola. 

Aracoeli è così un romanzo complesso che presenta come già detto l’interessante sperimentazione dell’uso frequente dello spagnolo, ad indicare la scissione quanto il tentativo di ricongiungimento tra madre e figlio. 

Vale, a conclusione, la pena menzionare, in tempi di rinascimento psichedelico, che Morante fu l’unica (o quasi) scrittrice italiana a comporre un’opera sotto l’influsso di esperienze psichedeliche – forse usate anche a fini terapeutici dopo la morte dell’amante e pittore americano Bill Morrow e il suo stesso tentativo di suicidio. Nel 1968 esce infatti Il mondo salvato dai ragazzini, libro composito di poesia, canzoniere e testo teatrale, profondamente inquietato dalla condizione atomica di quegli anni: come ultimo principio di autodistruzione della storia stessa, che ritorna a contrasto si direbbe dell’elemento fantastico e infantile in visioni e sperimentazioni ultime dell’autrice. 

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[Fonte Wired.it]