Sviluppo di un modello di intelligenza artificiale per misurare l’invecchiamento del cervello
La ricerca in campo medico ha interessante notizia: lo sviluppo di un nuovo modello di intelligenza artificiale (IA) in grado di misurare la velocità con cui invecchia il cervello, in modo non invasivo eciente, grazie alla risonanza magnetica (MR). Questo sistema potrebbe risultare utile per prevenire e trattare precocemente le demenze e il declino cognitivo, come dimostrano i risultati di uno studio recente dell’Università della California meridionale pubblicato sulla rivista Pnas.
Il nuovo modello di IA è stato addestrato e validato utilizzando i dati ricavati dalle risonanze magnetiche di oltre 3.000 individui adulti senza problemi cognitivi. Al contrario degli approcci tradizionali, che stimano l’età biologica del cervello sulla base di una singola risonanza, questo nuovo metodo si basa sul confronto degli esiti di diverse risonanze effettuate sullo stesso individuo a distanza di tempo. Ciò consente di individuare con maggiore accuratezza i cambiamenti neuroanatomici associati a un invecchiamento accelerato o rallentato.
Uno studio recente ha applicato questo modello di IA per calcolare la velocità di invecchiamento cerebrale di 104 adulti cognitivamente sani e 140 pazienti con Alzheimer, ottenendo risultati in linea con quelli dei test cognitivi ripetuti nel tempo.
"L’allineamento di queste misure con i risultati dei test cognitivi indica che il sistema può fungere da biomarcatore precoce del declino neurocognitivo," attesta l’ingegnere Paul Bogdan, tra gli autori dello studio. "Inoltre, dimostra la sua applicabilità sia negli individui cognitivamente normali che in quelli con compromissione cognitiva."
I ricercatori hanno anche constatato che l’intelligenza artificiale è stata in grado di riconoscere le diverse velocità con cui si verifica l’invecchiamento nelle varie regioni del cervello, dimostrando che in alcune aree l’ processo avanza diversamente negli uomini rispetto alle donne. Questo potrebbe spiegare almeno in parte perché i due sessi hanno una diversa probabilità di sviluppare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.
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