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sabato, Gen 11

Libri da leggere in un mondo in fiamme


L’Australia brucia assieme al resto del mondo, dalle Americhe alla Russia remota, passando per l’Europa. Questa settimana non potevamo che proporre consigli di lettura “infuocati”, per scoprire come la letteratura ha affrontato il tema del fuoco

Le cronache di questi primi giorni dell’anno sono state dominate dalle tragiche immagini che provengono dai devastanti incendi australiani, frutto dell’intervento umano sull’ambiente e manifestazione ben poco catartica del fuoco: un elemento che spesso, si sa, ha attratto la letteratura e oggi pare più legato alla distopia. Simbolo del diabolico ma anche di rituali d’iniziazione e di passaggio: che rapporto hanno alcuni libri recenti o meno con queste fiamme e le loro possibili metafore?

Lo stesso concetto di crisi climatica passa non solo attraverso i wildfires e gli incendi incontrollati (come anche quelli recenti dell’Amazzonia e della Siberia) ma proprio attraverso un’idea di riscaldamento globale, di temperature impossibili da raggiungere e sopportare. Se l’Apocalisse sarà, sarà tra le fiamme, ci paiono suggerire certi terrificanti vaticini.

Possiamo iniziare dal saggio di Naomi Klein, intellettuale americana molto capace di stare sul pezzo, anche in riferimento agli incendi che divampano in America così come in Australia (ai quali il libro fa riferimento, come anticipando l’attualità). Il recente saggio Il mondo in fiamme. Contro il capitalismo per salvare il clima (uscito da poco per Feltrinelli) racconta come l’emergenza climatica sia spesso legata non solo a un intervento fisico, ma anche a una barbarie mentale, ai nuovi negazionisti climatici – e spesso suprematisti – non solo americani: è un mix terribile di ignoranza e scelta politica efferata che ci porta a infiammare il pianeta. La soluzione, per la Klein, è che solo un cambiamento di paradigma contrario al capitalismo consumistico potrà gettare acqua sul fuoco che piaga l’umanità. Un messaggio rivolto sin dall’inizio alle nuove generazioni che manifestano la loro preoccupazione per una casa in fiamme: “Questi giovani sono pronti a emettere il proprio verdetto morale sulle persone e sulle istituzioni che già erano a conoscenza del pianeta pericoloso e saccheggiato che avrebbero ereditato, eppure hanno deciso di non fare nulla. Sanno che cosa pensano di Donald Trump negli Stati Uniti e Jair Bolsonaro in Brasile e Scott Morrison in Australia e di tutti gli altri leader che mettono a fuoco il pianeta con leggerezza insolente mentre negano dati scientifici talmente elementari da poter essere compresi senza sforzo anche da bambini di otto anni”.

L’ipocrisia è dei governanti brutti e cattivi, certo, ma anche di quelli che di facciata promettono (come Emmanuel Macron o Justin Trudeau) e poi non riescono a trovare accordi sul clima convincenti: e potrebbe essere ritrovata, in nuce, in un romanzo che è un vero e proprio manifesto contro l’ipocrisia e che si apre con un dubbio incendio, o meglio in tanti piccoli appiccati per ogni stanza, in una casa dell’Ohio democratico del 1998. Stiamo parlando di Tanti piccoli fuochi dell’americana Celeste Ng, uscito per Bollati Boringhieri. La tematica principale è quella delle scintille che possono nascere (innescando falò difficili da spegnere) tra genitori e figli, con un intreccio abile che fa cambiare valore e posizioni ai vari personaggi, spesso speculari. Ambientato nell’apparentemente tranquilla Shaker Heights, sobborgo di Cleveland, il romanzo ci racconta l’incursione in questa comunità della fotografa e girovaga Mia e della figlia Pearl, che dopo lungo peregrinare e accumulare cose – osservare la loro vita “era come guardare Robinson Crusoe inventarsi una vita dl nulla” – cercano di mettere radici provvisorie e entrano in contatto con la famiglia Richardson. E in particolare con la signora Richardson, ricca filantropa e mamma iperprotettiva, e una delle sue quattro figlie, la più problematica, Izzy.

Le due famiglie si incroceranno, alimentando reciproche invidie e sospetti: se Mia è attraente per Izzy, la signora Richardson e la sua famiglia rappresentano un’ancora per Pearl. La trama parte dalla scena iniziale, appunto l’incendio particolare che divampa nella casa dei Richardson: tanti piccoli fuochi appiccati nelle stanze. Un fuoco iniziale dal quale però tutto nasce: “Sembra la fine del mondo. La terra è bruciata e nera e tutto il verde è sparito. Ma dopo un incendio il terreno diventa più ricco, e possono crescere cose nuove”, si legge. Infilandosi nella tradizione del romanzo famigliare borghese americano, il libro seppur di facile lettura della Ng è abile nell’intrecciare le vite e le loro scintille, nel dimostrare come anche nella mente apparentemente più aperta e sicura di sé si possa creare uno olocausto scuro.

Sempre da Oriente – i genitori della Ng sono infatti emigrati da Hong Kong negli anni Sessanta – arriva proprio questo mese tradotta in Italia una storia infuocata più legata alla passione e all’amore (anche cieco) che all’ambito famigliare: è il romanzo Gli incendiari della coreana cresciuta in America R.O. Kwon, in uscita per Einaudi, e quest’anno acclamato come i migliori romanzi del 2019 da moltissime riviste internazionali. Un romanzo che mescola passione e fondamentalismo, nel triangolo di infatuazione e continuo inseguimento tra tre protagonisti principali: Will, Phoebe e John, capo di una setta, la Jejha, nel college, e cresciuto in Cina tra soprusi e prigionie – e ora forse ideatore di un attentato in un centro per aborti, con il quale si apre il romanzo. Il fuoco del romanzo, raccontato attraverso un cambio di punti di vista tra i personaggi, è quello in primis di una fede, qualunque essa sia (specie nelle persone), che ti porta a compiere gesti estremi.

Andando poi per ricorrenze e seguendo itinerari latinoamericani, lo scorso 7 gennaio è stato l’anniversario della morte di uno dei maestri della narrativa latino-americana, forse uno dei più misteriosi (pochi libri scritti, ma grande mito): Juan Rulfo. Famoso per il romanzo gotico-messicano Pedro Paramo che ha affascinato i lettori di tutto il mondo, potremmo consigliare oggi La pianura in fiamme, una straordinaria raccolta di racconti uscita nel 1953 e riproposta di recente da Einaudi. Sono racconti pieni di silenzio e desolazione, di pioggia e vento sferzanti, che prendono appunto la metafora del Llano – terra pianeggiante bruciata e incoltivabile, terra troppo estesa, e poco prospera, che viene animata solo dai fuochi maligni della Revolución della quale i protagonisti dei racconti di Rulfo sono combattenti, assassinati, figli putativi e fantasmi… Dai fumi delle deflagrazioni rivoluzionarie messicane niente pare nascere: c’è un senso di morte che aleggia in questo racconti-ritratti dell’identità messicana, tanto locali e particolari, anche nell’uso di certa terminologia, quando incredibilmente universali nell’immaginario e nelle conclusioni.

Per rimanere in America Latina e continuare su un lato molto allucinato, vorremmo poi fare riferimento al libro di una stella nascente della narrativa di quelle latitudini: la recente Premio Herralde 2019 Mariana Enriquez e il suo Le cose che abbiamo perso nel fuoco, raccolta di racconti oscuri e misteriosi uscita per Marsilio. Non ci troviamo nelle pianure metafisiche messicane di Rulfo, bensì nei quartieri malfamati di Buenos Aires, ma altrettanto abitati da spiriti inquieti dei bassifondi, bambini mutanti, prostitute, donne che si danno fuoco per protestare contro la violenza sulle donne, e altri esseri inquietanti, che spesso si flagellano e compiono atti innaturali, in quello che è stato definito un realismo macabro più che magico, e che mescola il degradato al meraviglioso in forma potente, senza disdegnare una velata critica sociale.

In ambito italiano, ecco per concludere due repechages distanti tra loro, ma necessari e legati alla tematica di quest’oggi. Per stare nell’ambito della graphic novel e del fumetto, a seguito anche del successo del lungometraggio animato L’incredibile invasione degli Orsi in Sicilia si dovrebbe andare a ripescare il primo capolavoro di Lorenzo Mattotti, Fuochi, pubblicato negli anni Ottanta (Einaudi lo ripubblica nel 2009 dopo anni di assenza), uscito a episodi sulla storica Alter Alter nel 1984 e legato alle sperimentazioni del gruppo Valvoline, nato a seguito dell’esperienza folgorante di Pazienza & Co. È il viaggio allucinato e d’attrazione del tenente Assenzio all’interno dell’isola primigenia di Sant’Agata quello descritto da Mattotti, compiuto per l’attrazione di misteriosi fuochi che si accendono nel suo territorio. Un viaggio interiore in cui il fuoco stimola il tenente a una catabasi personale, compiuta nell’espressionismo cromatico che farà di Mattotti un maestro.

Infine, anche sollecitati dal prossimo film a lui dedicato, Il cattivo poeta, in uscita nel 2020 con Sergio Castellitto come attore protagonista, si potrebbe ripescare, a conclusione, il romanzo-manifesto del decadentismo italiano, Il fuoco di Gabriele D’Annunzio. L’autore, colpito da varie damnatio memoriae, e classico italiano forse da rileggere e ricollocare dopo nefaste interpretazioni nella scuola pubblica, nel romanzo fa dell’elemento igneo una doppia fiamma per riscrivere la propria stessa vita in un autobiografismo poco velato: la passione amorosa (qui trasfigurando quella del Vate per l’attrice Eleonora Duse) del protagonista-alter ego e la passione per l’arte. Una delle due dovrà soccombere, e conoscendo D’Annunzio, forse sappiamo quale sarà il fuoco che sceglierà per immolarsi.

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