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lunedì, Gen 23

Lidia Poët, la prima avvocata d’Italia protagonista di una serie Netflix



Da Wired.it :

Il 9 agosto 1883 Lidia Poët divenne la prima donna in Italia ammessa all’esercizio dell’avvocatura, riuscendo a vincere le resistenze di numerosi colleghi maschi, che non potevano accettare una donna nell’Ordine degli avvocati. Dopo esattamente 140 anni, la sua lotta viene celebrata anche con una serie su Netflix, La legge di Lidia Poët, protagonista Matilda De Angelis, in arrivo il 15 febbraio sulla piattaforma.

L’ostacolo più grande sulla strada di Lidia Poët fu il Regno d’Italia. Il primo a opporsi al suo voler diventare avvocata, fu addirittura un ex ministro dell’interno, Desiderato Chiaves, e poi la stessa procura generale del Regno.

Lidia Poët in una foto d’epoca(Foto: Wikipedia)

La vita

Nata nel 1855 a Perrero, in Pitemonte, da un’agiata famiglia di valdesi, Poët divenne dapprima maestra, per poi diplomarsi al liceo Cesare Beccaria di Mondovì nel 1877 e iscriversi alla facoltà di legge dell’università di Torino nel 1878. Dopo tre anni e una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne, superò con 45 punti su 50 l’esame di abilitazione alla professione forense, chiedendo l’ammissione all’Ordine degli avvocati.

L’iscrizione venne accolta dopo numerose polemiche e le dimissioni di due importanti membri dell’ordine, Chiaves e il deputato Federico Spantigati. Secondo la commissione giudicatrice, come si legge sul sito dedicato a Poët, a norma delle leggi civili italiane, le donne sono cittadini come gli uomini e pertanto possono entrare nell’ordine degli avvocati.

La battaglia per l’iscrizione all’ordine

Tuttavia, la sua iscrizione venne annullata dalla Corte d’Appello di Torino, dopo un ricorso presentato dal procuratore generale del regno, che ordinò la cancellazione di Poët dall’albo. Così, l’avvocata portò il caso alla Corte di Cassazione che però confermò la sentenza precedente, sostenendo come la donna non può esercitare l’avvocatura”.

Una decisione figlia di due ragioni. La prima deriva dall’esclusione di tutte le donne dagli uffici pubblici, cancellata solo con la legge Sacchi nel 1919. La seconda dalle superstiziose credenze dell’epoca, riportate nella sentenza, secondo cui nella razza umana, esistono diversità e disuguaglianze naturali tali per cui “non si può chiedere al legislatore di rimuovere anche le differenze naturali insite nel genere umano”.



[Fonte Wired.it]