Seleziona una pagina
venerdì, Ott 22

Lo sapevi che in Italia il contratto di un docente precario può durare anche solo 5 giorni?



Da Wired.it :

Una sostituzione maternità è l’El Dorado. Escludendo le supplenze annuali, il contratto può andare da pochi giorni a un mese. Non c’è un minimo. Un paese che vuole costruirsi un futuro non può trattare così chi si occupa di formare i cittadini di domani

(foto: Antonio Masiello/Getty Images)

Ogni lavoro ha le sue curve di difficoltà, fatte di relazioni, di adeguamento dei propri standard ai livelli produttivi richiesti, curve più o meno affrontabili con un buon tempo di calcolo e strategia. Quando il lavoro è precario invece cambia tutto. La curva è a gomito e le soluzioni sono poche. L’insegnamento è uno di quei paradigmi che davvero cozzano con l’indeterminatezza della precarietà. Abbandonate i luoghi comuni: la vita di un insegnante precario è diversa da come ve la immaginate, soprattutto se si è giovani e si ha appena iniziato a lavorare. Come prima cosa scordatevi i tre mesi di vacanza – quelli di cui tanto si parla – il precario d’estate non è in vacanza è in disoccupazione. Per non parlare delle altre vacanze durante l’anno: le supplenze brevi, spesso, funzionano che si viene licenziati a Natale per poi essere richiamati alla befana. Veniamo licenziati appena finiscono le lezioni e per gli scrutini ci fanno contratti di un giorno, così capita anche per gli esami di maturità.

Il nostro destino è legato a delle graduatorie, le famose GPS. Attraverso queste possiamo ottenere cattedre annuali, cioè contratti che vanno fino al 31 agosto, oppure fino al 30 giugno. In questo caso si è fortunati, nessuno ti licenzia a Natale o a Pasqua e se prendi una cattedra annuale hai anche le vacanze estive pagate (un vero e proprio lusso!). Per tutte le altre supplenze, quelle che chiamano “brevi”, come, ad esempio, sostituzioni per malattia, maternità, congedo o aspettativa – inevitabili nei primi anni di insegnamento – si scorrono le graduatorie di istituto. In ognuna di queste graduatorie il docente parte con un punteggio che dipende dal voto di laurea, dopodiché il docente potrà accumulare punteggio o attraverso l’insegnamento, o grazie all’acquisizione di titoli (come master, certificazioni linguistiche, certificazioni informatiche, eccetera).

In sostanza, escludendo le supplenze annuali, il contratto di un docente precario può durare 5 giorni, due settimane o un mese. Non c’è un minimo. Dipende dalle esigenze della scuola e da che tipo di sostituzione si sta facendo. Per noi precari, ad esempio, una sostituzione per maternità è l’El Dorado. Ma spesso, anche in questo caso, i contratti vengono rinnovati di mese in mese. E le domande che un precario si pone ogni mattina, prima di entrare in classe, sono sempre le stesse: Quando partorirà? Farà la facoltativa o tornerà subito dopo l’obbligatoria? Chiederà il part-time? E l’allattamento? Agli esami di quinta ce li porto io o torna prima?

È tutta una questione di tempistiche e di punteggio. E noi precari siamo ossessionati dal punteggio. Sappiamo benissimo che anche solo un punto in meno in graduatoria può voler dire condizioni lavorative frustranti. Come quando ti trovi a dover correre da una parte all’altra della provincia perché, magari, si hanno più scuole contemporaneamente, o quando a fine mese ti rendi conto di aver buttato metà dello stipendio in benzina e autostrada, oppure quando ti tocca accettare una cattedra di poche ore perché è l’unica possibilità che ti resta.

Per un punto in meno puoi non ottenere una cattedra annuale, l’unica vera occasione di stabilità e continuità a cui un precario può ambire. Il punteggio è l’unica cosa che conta, e per qualche punto in più accettiamo di tutto.

Si è sempre fatto così? Si.
È dignitoso? No.

“Devi fare la gavetta!”. Dicono.

Ma è questa la gavetta? Non dovrebbe esserci, durante questa fantomatica gavetta, chi ci forma su come insegnare al meglio la nostra materia? O magari qualcuno che ci spieghi cos’è un bisogno educativo speciale (BES) o qualcuno che ci insegni come strutturare una prova per uno studente o una studentessa con disturbo dell’apprendimento (DSA)?

Attualmente la formazione iniziale dei docenti non esiste: ti laurei, entri in graduatoria, la scuola ti chiama e ti sbatte in classe. Sì, ti sbatte in classe. Senza preparazione alcuna perché, alla fine, quello che hai in mano è solo un pezzo di carta e insegnare è tutt’altra cosa.
Purtroppo la gavetta per molti coincide con i chilometri che fai in macchina tutti i giorni per andare a scuola, con i contratti che accetti o in quante scuole insegni contemporaneamente. La gavetta nella scuola è quanto te la sei sudata quella cattedra. Non importa che tu sia in grado di insegnare o meno, sei un punteggio, che dipende, anche e soprattutto, da cosa sei disposto ad accettare.

Questo lavoro dovrebbe essere uno dei lavori più belli, appaganti e stimolanti del mondo ma non è così, soffre di scarsa attrattività e forte rischio di abbandono.

I precari in Italia sono più di 200.000 e i dati Ocse ci dicono che l’età media dei docenti italiani è sempre più alta. Alla scuola primaria il 58% dei maestri ha almeno 50 anni dove la media Ocse è del 33%. Questa percentuale varia dal 53% per la secondaria di primo grado (media Ocse 36%) al 62% per la secondaria di secondo grado (media Ocse 40%).

Per un neo-laureato la retribuzione, le prospettive di carriera e le opportunità di sviluppo professionale sono fattori fondamentali per poter scegliere di intraprendere questo percorso. In Italia il salario dei docenti si attesta tra i 22 e 28 mila euro lordi l’anno, gli scatti salariali avvengono solo ed esclusivamente per anzianità e risultano essere più bassi rispetto agli altri paesi dell’Unione europea, sia all’inizio che a fine carriera.

Gli stipendi iniziali degli insegnanti sono importantissimi per attrarre nuovi laureati ma questo non è l’unico fattore da considerare. Se lo stipendio iniziale è basso ma c’è la possibilità che questo aumenti velocemente, il basso stipendio iniziale può non rappresentare un disincentivo. Nel nostro Paese un docente per vedere il proprio stipendio aumentare del 50% deve attendere almeno 35 anni di servizio. Questo, oltre ad essere poco stimolante, può anche contribuire ad aumentare il tasso di abbandono della professione.

Questo sistema non è attrattivo per i giovani. Siamo abituati all’incertezza, siamo abituati alla precarietà, agli stage e ai tirocini non pagati, ai rimborsi spesa o al “fuori busta”. Se accettiamo è anche perché c’è la speranza di un futuro migliore, c’è la consapevolezza di crescere e di formarsi. La meritocrazia nella scuola non esiste. L’insegnamento, spesso, è quella professione che si decide di intraprendere perché nel privato le cose non hanno funzionato. L’insegnamento non può essere l’ultima opzione di un ventaglio di possibilità scartate, come non può nemmeno essere una missione. L’insegnamento deve essere una scelta. Consapevole e dignitosa.





[Fonte Wired.it]