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giovedì, Ott 29

Lo show degli scienziati non ci ha reso migliori né più informati: solo tifosi



Da Wired.it :

Un gruppo di esperti ha costruito in questi mesi il nostro distopico immaginario fra conflitti personali, legittimi interessi e visibilità eccessiva: cosa ci resta davvero in mano di quel bombardamento mediatico?

Sembra la formazione di una squadra di calcio, di quelle che si tramandano nella memoria fra canzoni e citazioni: Crisanti in porta, Capua, Pregliasco, Burioni, Lopalco in difesa, Ricciardi, Brusaferro, Rezza a presidiare il muro di centrocampo. In attacco: Galli, Bassetti e Zangrillo. Non a caso qualche mese fa spuntò fuori anche un album delle figurine, ovviamente fasullo. Ma c’è poco da scherzare: si tratta di immunologi, virologi ed esperti rispettati, con cariche importanti in ospedali o istituti italiani ed esteri, in gran parte dei casi noti per il loro lavoro scientifico oltre che clinico. In questi mesi hanno costruito il nostro distopico immaginario. Non solo perché ci hanno insegnato le pratiche quotidiane di igiene e cautela ma perché ciascuno di loro, senza risparmiare apparizioni, ospitate, collegamenti, interviste a ogni mezzo di comunicazione immaginabile, oltre che ogni canale social disponibile, ha costruito una propria narrazione e un suo stile ben definito. Finendo non solo col mettersi l’uno contro l’altro ma col portarsi dietro tifoserie che in questo o quello, un po’ come in un oroscopo, hanno visto e ancora vedono incarnarsi meglio le proprie speranze.

C’è il pragmatismo di Andrea Crisanti, artefice della buona tenuta del Veneto nella prima ondata e alfiere dei tamponi a tappeto specialmente agli asintomatici, divenuto in certe fasi l’aruspice di ciò che sarebbe accaduto nel giro di poche settimane. Tuttavia, in parte ha indossato i panni dell’esperto inascoltato, vedi il suo controverso rapporto con il presidente del Veneto Luca Zaia o il piano tamponi presentato alla fine dell’estate al governo e, a quanto pare, clamorosamente snobbato. Pochi drammi, in Cristanti, ma molta rapidità d’azione, come confermano i reagenti fai da te all’università di Padova. Lui è quello del “ve l’avevo detto” e quasi sempre ha in effetti avuto ragione.

C’è poi lo sguardo solo in apparenza morbido di Ilaria Capua, che osserva l’Italia dalla Florida e dai laboratori di un centro d’eccellenza dell’università dove ha scelto di trasferirsi dopo il criminale trattamento mediatico-giudiziario che la accusò, fuori da ogni logica, di essere una trafficante di virus. Soprattutto a DiMartedì ha scelto una prospettiva un po’ più ampia, cercando di spiegare – da veterinaria qual è – le zoonosi, il modo in cui Covid-19 potrebbe endemizzarsi e magari diventare un raffreddore. Insomma di farci respirare rispetto alle questioni più contingenti, allargando le prospettive della quotidianità (senza comunque dimenticare i soliti consigli di buonsenso).

In mezzo ci sono quelli delle istituzioni, coinvolti in prima linea tramite l’Istituto superiore di sanità e il ministero della Salute, da Silvio Brusaferro a Gianni Rezza fino a Walter Ricciardi. I primi due più professorali, allergici ai toni duri, ormai abituati allo stillicidio quotidiano dei numeri da governare in seno al comitato tecnico-scientifico. Diplomatici, in senso ampio, perché consapevoli della fatica delle trattative con politici e partiti. Il terzo più violento, incaricato forse di dire con fermezza ciò che il ministro Roberto Speranza, di cui è consigliere, non può permettersi di pronunciare con tanta decisione. È lui che chiede da giorni di chiudere Campania e Lombardia ma era anche lui – e questo apre infinite partite di recriminazioni ed errori, passi falsi inevitabili o meno – che alla fine di febbraio spiegava come fosse un “errore fare i tamponi agli asintomatici”. Allineandosi a un clamoroso autogol dell’Oms, presso il quale d’altronde è rappresentante italiano.

Roberto Burioni, invece, che in piena prima ondata pubblicò il suo Virus, la grande sfida, ha dato molto, se non tutto, nei primi mesi. Da giugno, infatti, ha deciso di rifiutare inviti televisivi. Continua a condividere notizie del suo sito MedicalFacts sui social network, a commentare in modo un po’ meno aggressivo di prima e ha lasciato una schiera di orfani del burionismo cui la sua composta attività Twitter non basta.

Apparizioni sparse a parte – da Giuseppe Ippolito dello Spallanzani a Maria Rita Gismondo del Sacco, da Massimo Clementi a Guido Silvestri ad altri che entrano nel circo mediatico per fuggevoli apparizioni – rimane il trio d’attacco che più ha segnato questi mesi e i cui destini iniziano a chiarirsi, con l’evidenza di una seconda ondata che in certi casi è stata minimizzata, negata, spostata. Massimo Galli, luminare della lotta all’Aids e virologo del Sacco, professa prudenza e cautela dal giorno zero. Alberto Zangrillo, il medico di Berlusconi, quello del virus “clinicamente morto” all’inizio dell’estate e che oggi dà del sessantottino proprio a Galli, il nemico di sempre, invitandolo a denunciarlo. Poi c’è Matteo Bassetti del San Martino di Genova, il più dandy di tutti, quello per cui “chi parla di seconda ondata fa terrorismo”. Peccato che ora si sia a 21mila contagi al giorno e a un tasso di positività che viaggia intorno al 13%.

C’è da chiedersi, fuori dagli identikit di ciascuno degli esperti che ci hanno accompagnato in questi mesi, cosa abbiamo effettivamente guadagnato da questo labirinto di voci – spesso in conflitto con sé stesse perfino a distanza di poche settimane – in termini di comprensione dell’epidemia e della malattia, di prospettive per il futuro prossimo, di consapevolezza sull’utilità di certe misure e non di altre.

L’impressione è che nel parlare di epidemia da coronavirus abbiamo proiettato le stesse logiche della politica e dello spettacolo: ognuno ha trovato il suo, o i suoi, virologi e scienziati preferiti, ha iniziato a seguirli chiudendosi in una bolla, spesso anche social, legandosi a fonti ritenute autorevoli non fosse che per la poltrona che occupano e che potessero aiutarci a orientarci in un dramma senza precedenti. Dopo otto mesi abbondanti, però, il gioco sembra a somma zero: tanto hanno confuso alcuni quanto hanno chiarito altri; tanto si sono affidati alle proprie opinioni alcuni, lustrando il proprio ego, quanto hanno cercato di aggrapparsi alle evidenze scientifiche altri, cercando di mantenersi in equilibrio. Ognuno ha fatto il suo gioco, dal proprio punto di vista e senza dubbio in buona fede, ma gli effetti sull’opinione pubblica – forse un po’ sfibrata da quello spettacolo – rimangono tutti da capire.

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[Fonte Wired.it]