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giovedì, Lug 30

Lo stato di emergenza è una scelta di prudenza, altro che allarme democratico



Da Wired.it :

Oggi il Consiglio dei ministri approva l’estensione, votata ieri al Senato. Serve a muoversi più rapidamente perché nell’emergenza ci siamo ancora dentro. Non c’è alcuna battaglia di libertà: molta speculazione e parecchia ignoranza

(Foto: Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images)

Chi parla di “allarme democratico” per il dovuto prolungamento dello stato di emergenza fino al 15 ottobre non ha forse colto a pieno la situazione in cui ci troviamo. Definirsi fuori pericolo quando si è circondati da milioni di contagi e centinaia di migliaia di morti, con i voli riaperti (non tutti, proprio grazie agli strumenti messi a disposizione dallo stato d’emergenza) in un mondo interconnesso, ha un che di naïf. Per dirla con un eufemismo.

Da noi i contagi vanno meglio – anche se non sappiamo con esattezza chi stiamo testando, combattiamo ogni giorno contro decine di casi d’importazione né possiamo immaginare come andranno le cose in autunno – per cui secondo molti sarebbe tutto finito e il governo dovrebbe tornare a usare i soliti strumenti, come se lo stato d’emergenza non fosse uno di quegli strumenti previsto dalle leggi. Non a caso di stati di emergenza ne abbiamo attivati 149 dal 2014 a oggi, prorogandoli per 84 volte. Non pare che abbiano condotto l’Italia verso il baratro della democratura. Non più di quanto sarebbe forse accaduto con sviluppi politici diversi, per esempio la scorsa estate.

Lo stato d’emergenza serve ad allestire le strutture temporanee per i positivi e per i malati, a fare bandi e gare più veloci e in deroga per acquistare materiali e servizi, a occuparsi con più rapidità della tutela dei migranti che arrivano in Italia e della popolazione. E ancora: a bloccare selettivamente tratte e voli, aprire e chiudere scali aeroportuali e altri snodi dei trasporti, a reclutare personale sanitario per le regioni e per i penitenziari. A impiegare con più efficienza i volontari della Protezione civile, a garantire l’operatività della Centrale remota di soccorso sanitario, a occuparsi decentemente (ma su questo abbiamo forti dubbi) della ripresa scolastica e dello smart working nel pubblico e nel privato. E ancora a istituire zone rosse e consentire l’uso dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Atti amministrativi e abbastanza indigesti, di solito, ma essenziali nei mesi scorsi, quando neanche i decreti legge avrebbero garantito le risposte più rapide e una reazione immediata della macchina dello Stato. Tradotto: avremmo pianto molti più morti. Avremmo avuto chiusure più lunghe e traumatiche. Oggi non saremmo al mare, saremmo a casa.

La valutazione dell’esecutivo e del comitato tecnico-scientifico è probabilmente quella di inoltrarsi verso l’autunno per disporre delle prime evidenze sulla stagione influenzale, comprendendo se e come comporterà un quadro più complesso di quello attuale, ma anche per capire gli sviluppi di terapie e soprattutto dei vaccini su cui in questi giorni si straparla. Il tutto mentre siamo ancora immersi in un’emergenza che se forse, stando ai numeri, non riguarda più l’Italia come la riguardava tre mesi fa ma tocca i suoi immediati vicini e il resto del mondo. La Johns Hopkins University segnala al momento 16,7 milioni di casi riportati globalmente e 660mila morti. L’ nonostante tutto, rimane il 15esimo paese più colpito per contagi e il quinto per i decessi. Per cui, in definitiva, eccome se Sars-Cov-2 e la Covid-19 ci riguardano. Facciamocene una ragione.

Insomma, non siamo tornati alla normalità sanitaria, anche se a molti piace immaginarlo e moltissimi si comportano come se così fosse, fregandosene della sicurezza altrui. Così come d’altronde non siamo tornati alla normalità socioeconomica. Senza la prima non esiste la seconda. Pertanto occorrono ancora quelle leve rapide che la legge n. 225 del 24 febbraio 1992 sull’istituzione del Servizio nazionale della Protezione civile prevede all’art. 5. L’allucinazione collettiva, o la rimozione pregiudizievole di chi vuole costruire un falso confronto valoriale sulla presunta compressione delle libertà, un dibattito-patacca sul futuro con tanto fiato sprecato, non può entrare nel lavoro dell’esecutivo. È roba da convegni di negazionisti.

Il governo Conte Bis ha fatto quel che ha potuto, scaricando è vero sui cittadini gran parte delle responsabilità. Le lacune sono state molte e gravi, e le abbiamo elencate senza sconti, a partire dai tamponi negati fino alla scuola passando per le numerose contraddizioni attuali, con assembramenti inimmaginabili e, al contempo, misure negli esercizi ferme quasi al periodo di lockdown. Senza contare il ritardo nell’istituzione della zona rossa di Alzano Lombardo e Nembro su cui è in corso un’indagine o diversi altri aspetti pratici, come la totale impreparazione delle prime settimane con gli ospedali e le rsa trasformate in drammatici focolai. Tuttavia il principio della prudenza, incarnato dall’austero ma essenziale ministro della Sanità Roberto Speranza che ripete da mesi le stesse cose, è stato fin dall’inizio il punto di riferimento di ogni decisione, scivoloni dei primissimi giorni a parte. Rinnovare lo stato d’emergenza va né più né meno in questa direzione: muoversi velocemente e mantenere alta la guardia. Non c’è alcuna dittatura alle porte. C’è dell’altro, semmai, se non riusciremo a comportarci seriamente.

Lo abbiamo visto: anche poche ore di ritardo e incertezza, oltre alla negligenza, possono costare focolai importanti. I focolai importanti significano un ritorno alla normalità sempre più lontano. E significano trasformare la pandemia da emergenza a stato d’eccezione, quello sì estremamente rischioso per l’economia prima e la democrazia dopo. Non mi preoccuperei insomma di chi vuole bloccare i voli dai paesi a rischio con velocità usando uno strumento fra l’altro ampiamente sfruttato in questo paese delle emergenze continue: semmai mi preoccuperei di chi se ne frega dei rischi epidemiologici e sembrerebbe accettare una diffusione su ampia scala di contagi e sindrome verso uno stato d’eccezione sanitario e un’infezione virale endemica. Quella non sarebbe libertà: sarebbe un’illusione di libertà destinata a precipitare rapidamente dentro nuove misure di contenimento, sempre più dure e forse fatali per l’intero sistema.

Che altri paesi non abbiamo rinnovato lo stato d’emergenza, o la condizione assimilabile a questo, non deve infine interessarci. Ciascun paese ha infatti risposto a suo modo all’epidemia. Nessuno, a parte la Cina, ha per esempio disposto un lockdown paragonabile a quello italiano, e infatti ne paga oggi le amare conseguenze. Lo stesso celebre immunologo statunitense Anthony Fauci, quello che ogni giorno fa a pugni con Donald Trump, ha spiegato ieri a La7 che l’Italia “è un modello”: “Magari avessimo agito come voi, l’Italia si è comportata in modo molto virtuoso, è stata una eccellenza per quanto concerne la reazione al virus” ha detto a InOnda.

In altri posti, come Belgio o Francia, l’obbligo delle mascherine nei luoghi chiusi è stato introdotto pochissimi giorni fa, quando per noi è la regola aurea da tempo, per giunta ancora generalmente rispettata. Le dinamiche di quei paesi non sembrano troppo rassicuranti, i contagi sono tornati a salire e lo stato d’emergenza, Germania esclusa, è stato revocato o non rinnovato in certi casi anche mesi fa. Eppure nell’emergenza ci sono dentro come e più di noi: chi sbaglia a non garantirsi strumenti d’intervento più rapidi? Noi o loro? Meglio guardare ai fatti dentro e oltre confine: tutto il resto è avvelenamento da interesse politico o mediatico, quello dei filosofi da strapazzo, dei politici cattivi maestri, di chi vede in queste polemiche spazio vitale per continuare a esistere nonostante la propria incompetenza.

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[Fonte Wired.it]