Seleziona una pagina
giovedì, Dic 24

Long Covid, ecco come il virus potrebbe riuscire a entrare nel cervello



Da Wired.it :

Alcuni pazienti hanno sintomi cognitivi e neurologici anche protratti nel tempo. Una possibile spiegazione si troverebbe nell’ipotesi che attraverso la proteina spike il virus riesca a penetrare nel cervello, superando la barriera emato-encefalica. Il risultato per ora su animali

long Covid
(foto: Pete Linforth via Pixabay)

Ormai lo sappiamo: Covid-19 in alcuni pazienti può lasciare strascichi una volta che si è guariti, anche a lungo, con sintomi vari che possono protrarsi anche in persone giovani. Il Long Covid – così è stato chiamato dagli scienziati – può comportare anche problemi cognitivi (si è parlato di nebbia mentale). Non è un caso che oggi uno studio della University of Washington School of Medicine abbia appena mostrato che con ampia probabilità per cui il virus riesce a entrare nel cervello, penetrando la barriera emato-encefalica – un elemento, questo, che potrebbe spiegare anche alcuni sintomi cognitivi e neurologici di cui abbiamo parlato. I risultati, ottenuti per ora su animali, sono pubblicati su Nature Neuroscience.

Long Covid, i presupposti

Non è la prima prova del fatto che il Sars-Cov-2 potrebbe entrare nel cervello: un recente studio della Yale University aveva individuato la presenza del nuovo coronavirus nei neuroni corticali in qualche paziente deceduto (l’evidenza era stata ottenuta tramite autopsia). La ricerca odierna supporta quest’ipotesi con una prova forte, come spiegano gli autori, osservata nel topo.

La chiave di tutto: la proteina spike

Come sempre si va a cercare il primo responsabile del contatto e del contagio delle cellule dell’organismo da parte del virus: la chiave di tutto è la proteina spike del coronavirus che aggancia le cellule attraverso il loro recettore Ace2, una piccola proteina presente in molti tessuti, che favorisce il contatto. Le proteine spike presenti su tutte le unità virali sono dannose di per sé, dato che si staccano dal patogeno e causano infiammazione, come spiega William A. Banks, docente di medicina alla University of Washington School of Medicine. “Probabilmente – sottolinea Banks – la proteina spike causa il rilascio di citochine e prodotti infiammatori da parte del cervello”. Queste citochine sono molecole infiammatorie (in assoluto non tutte le citochine lo sono) e sono le principali responsabili, quando prodotte in eccesso (la cascata delle citochine), della grave infiammazione dei tessuti nel Covid-19, potenzialmente anche fatale. I ricercatori sono partiti dal fatto che un meccanismo simile avviene anche nell’infezione causata dall’Hiv e hanno voluto approfondire se questo possa accadere anche con il Sars-Cov-2.

I risultati: va peggio nei maschi

I ricercatori hanno studiato come agisce, anche sul cervello, la proteina spike nei topi. Dall’analisi hanno osservato che la proteina riesce a penetrare e oltrepassare la barriera emato-encefalica, che protegge il tessuto cerebrale da patogeni e agenti estranei presenti nel sangue. La spike viene accolta da varie aree cerebrali e raggiunge il parenchima cerebrale un tessuto nervoso importante per la formazione e la trasmissione di impulsi elettrici. Questo accade sia quando la proteina spike del coronavirus viene iniettata sia tramite somministrazione intranasale – anche se in questo caso molto meno.

I problemi sono più accentuati nei maschi, in cui si osserva un trasporto più veloce della spike nel bulbo olfattivo, il centro nevralgico del riconoscimento degli odori, e nel rene. Anche nell’essere umano in generale i rischi maggiori, in termini di suscettibilità al Covid-19 e complicanze, si riscontrano nel sesso maschile e il risultato di oggi potrebbe avere un qualche legame anche con questo elemento.

I risultati suggeriscono fortemente che la proteina spike riesca a superare la barriera emato-encefalica nel modello murino, si legge nel testo, che fornisce dettagli sul meccanismo biochimico con cui questo avviene. I dati valgono nei topi e potrebbero anche non essere verificati nell’essere umano, come specificano gli autori, per cui al momento la prudenza è d’obbligo. Quello che è certo è che diversi pazienti hanno il long Covid e sperimentano sintomi cognitivi e neurologici spesso protratti nel tempo, fra cui perdita dell’olfatto, cefalea, confusione, disattenzione, mancanza di memoria – che probabilmente possono essere transitori. Anche se non ci si può pronunciare con certezza sui meccanismi, insomma, è possibile ipotizzare che in questi pazienti il virus riesca a entrare nel cervello.

Potrebbe interessarti anche





[Fonte Wired.it]