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mercoledì, Mar 04

Luca Parmitano: “Il mio oltre è quello che non abbiamo mai visto e stiamo cercando”



Da Wired.it :

Abbiamo incontrato l’astronauta siciliano durante la preparazione di “2020: Space Beyond” , il film che racconterà la sua missione recente

Uno screenshot dal trailer di 2020: Space Beyond (immagine: Nasa/Esa)

European Astronaut Centre, Colonia – Davanti a noi siede Luca Parmitano. L’astronauta siciliano dell’Esa è al Centro astronautico europeo per il periodo di recupero necessario dopo i 201 giorni trascorsi sulla Stazione spaziale internazionale, da dove è tornato lo scorso 6 febbraio. Lo incontriamo nella fase preparatoria di 2020: Space Beyond, il film che il prossimo autunno racconterà la recente missione del primo comandante italiano della Iss. Con più di 250 esperimenti scientifici a bordo, la prima attività extraveicolare di sole donne, l’arrivo in orbita del primo astronauta degli Emirati Arabi e la serie di attività extraveicolari più complessa mai effettuata, Beyond, parte della Expedition 60/61, è annoverabile fra le missioni spaziali più importanti degli anni recenti, per motivi scientifici, tecnologici e simbolici.

Proprio di questa molteplicità darà conto 2020: Space Beyond, una coproduzione italo tedesca di Skylight Italia, Beagle Media, 8 Road Film e Latte Plus Production (con Lago Film come associato). Il film, diretto da Francesco Cannavà, sarà realizzato con il supporto e il patrocinio dell’Agenzia spaziale europea, dell’Agenzia spaziale italiana e con il sostegno tecnico di Roscosmos, l’ente russo. E con Wired come media partner, ragione per cui abbiamo avuto l’occasione di incontrare Parmitano a Colonia.

Luca Parmitano nel trailer di 2020: Space Beyond (immagine: Nasa/Esa)

Comandante, è tornato da una ventina di giorni: come sta?

“Spero l’evidenza parli per me: mi sento molto bene e stavo così già all’atterraggio. C’è una crescita esponenziale delle capacità che normalmente diamo per scontate: camminare, rimanere in equilibrio, saltare. All’inizio si ha la sensazione di riuscire a fare tutto come prima della partenza, ma è una percezione falsa: in alcuni filmati, ho rivisto quanto, appena atterrato, la mia posizione fosse scomposta o non perfettamente allineata. Oggi, durante la consueta seduta di allenamento, ho provato movimenti per testare l’equilibrio. Direi che il recupero è vicino al 100%”.

Qual è stato il suo primo pensiero quando la Soyuz ha toccato la steppa kazaka?

“Parlerei più di un’emozione, per fortuna non traducibile in un pensiero: se volessi raccontarla in un’immagine, la paragonerei a quello che accade dopo uno tsunami. Il lancio e l’ingresso in orbita sono come un’onda anomala, capace di travolgere tutti i sensi trasformando anche l’orientamento. Il rientro è quello che segue quell’onda e per certi versi ne è l’inverso, ma può essere altrettanto devastante, perché sebbene si torni a casa, su un mondo bellissimo in cui ti aspettano la società, i tuoi affetti, o semplicemente l’aria aperta, l’impatto della navetta segna anche la fine di un’avventura. Che nel mio caso, ma credo valga per chiunque abbia sperimentato l’ebbrezza di un volo spaziale, è qualcosa di inimitabile, che sedimenta insieme con il desiderio di ripartire al più presto”.

Ripartire è un concetto insito nel nome della sua missione: per lei che cosa significa, oggi, Beyond?

Beyond è un contenitore e dipende da noi riempirlo. Pochi giorni dopo il rientro, una studentessa con sulla maglietta un disco volante mi ha chiesto quale fosse il mio oltre. Le ho fatto notare che la mia risposta era disegnata sulla sua t-shirt: il mio Beyond è in quello che non abbiamo mai visto e stiamo cercando, è nell’universo, è la vita.

“Quando ho scelto il nome della missione, che ho voluto in inglese perché, come in passato il latino, è la lingua della scienza, pensavo al fatto che stiamo lavorando nell’orbita bassa terrestre da tanti anni, con il desiderio di sviluppare la scienza e la tecnologia che serviranno per andare verso orbite più alte, verso la Luna, e poi per diventare una specie interplanetaria. Questa progressiva tensione, per me, è l’oltre”.

La sua missione è stata un contributo importante a questo avanzamento.

“Più che Beyond è ogni missione fatta sulla Iss a dare un contributo alla futura esplorazione. La Expedition 60/61 è stata solo una tappa di questo grande e ininterrotto programma”.

All’esterno della Stazione spaziale internazionale (immagine: Nasa/Esa)

Una tappa che ha compreso 250 esperimenti, di cui 30 europei del tutto nuovi e sei commissionati all’Asi dalle università italiane. Può farcene una panoramica?

“Sarebbe ingiusto scegliere fra i moltissimi esperimenti , alcuni di grande valore e dallo sviluppo decennale, o altri ancora che sono finiti o iniziati con il nostro contributo. Mi è piaciuto che, oltre a un incremento nella scienza in generale, abbiamo focalizzato l’attenzione su studi del corpo umano prima messi da parte, perché eravamo concentrati sull’apparato cardio e osteo-muscolare, che hanno un impatto maggiore sulla nostra vita. Mi riferisco ad alcuni studi, in particolare europei, come Grip e Grasp, pensati il primo per far luce sui sistemi con cui il cervello impara a manipolare un oggetto nello spazio e, il secondo, per capire come si integrino le informazioni propriocettive con quelle proveniente dagli altri sensi. Sono entrambe indagini utili, qui sulla Terra, per esempio nello sviluppo di protesi.

“Un altro studio altrettanto interessante è stato sulla percezione temporale, che nello spazio cambia. Difficile dire il perché, ma quantomeno possiamo stabilire il come ed è quello che stiamo tentando di fare”.

Lei è stato protagonista anche di esperimenti di grande rilievo tecnologico.

“Sì, uno dei quali ha riscosso parecchia attenzione, Cimon: è uno studio sull’intelligenza artificiale, un progetto europeo fra i primi a fare interagire in maniera complessa un essere umano con una IA. Un altro esperimento di natura tele-robotica è stato Analog-1, che mi ha permesso di guidare in remoto e in tempo reale un rover sulla Terra utilizzando gli haptic controller, un’interfaccia che dà all’operatore la percezione tattile di quello che il braccio robotico sente sulla terra. È un esperimento interessante, perché ha applicazioni non soltanto in ambito spaziale: si pensi a quanto sarebbe utile in zone pericolose o disastrate da terremoti, alluvioni, crolli”.

Comandante, è stato protagonista di una serie di Eva fra le più complesse della storia.

“Preferisco parlarne come di un esperimento che mi sta a cuore e per molti motivi diversi: l’Alpha Magnetic Spectrometer. È difficile circoscriverne l’importanza a un unico ambito scientifico: l’Ams-2, che sta cercando le particelle che compongono la maggior parte della massa cosmica, la cosiddetta materia oscura, è un esperimento di astrofisica, che permetterà di comprendere meglio le origini dell’universo e il modo in cui si evolve. Ha anche una significativa componente tecnologica, perché consentirà di capire come le particelle possano costituire una minaccia per la navigazione spaziale. È un progetto in parte italiano: fra i suoi principal investigator annovera l’astrofisico Roberto Battiston, ex presidente dell’Asi, e per di più è stato portato in orbita da Roberto Vittori. Sono aspetti che riconduco a periodi particolari della mia vita o a persone a me care, e sono orgoglioso di aver effettuato una serie di riparazioni per migliorare le prestazioni dello strumento e per allungarne la vita operativa”.

La Terra vista dalla Iss (immagine: Nasa/Esa)

Ha documentato alcuni dei disastri ambientali più gravi degli ultimi anni. Come ha trovato la Terra?

“Cambiata. Ho fotografato l’uragano che ha devastato la zona dei Caraibi alla fine dell’estate scorsa, sono stato testimone di fenomeni decisamente più umani come gli incendi nella foresta amazzonica, nell’Africa meridionale e in Australia, ben visibili già dalla fine dell’estate boreale; ho visto le alluvioni che hanno colpito l’ inaspettate e non coerenti con quello cui siamo abituati. Non sono in grado di dire se i mutamenti siano naturali o innescati dall’uomo, ma sono membro dell’Esa, un’agenzia che fa della scienza la propria bandiera e la comunità scientifica è pressoché concorde nel dire che quello che sta succedendo in questi anni non ha precedenti. Non possiamo prevederne le conseguenze sull’ecosistema e sull’uomo e non c’è bisogno sia l’astronauta Luca Parmitano a portare queste descrizioni, basta guardare i numeri che sono molto più spietati di qualsiasi cosa possa dire io”.

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Che cos’ha significato diventare comandante della Stazione spaziale internazionale?

“Non mi vergogno di ammettere che per me è stato un modello di crescita. Mi ha permesso di capire che si è buoni leader, cioè buone guide, quando si è capaci di farsi da parte, quando si riesce a far crescere e brillare ogni membro dell’equipaggio della sua luce, senza esserne per forza il riferimento.

Soprattutto nello spazio, il successo è determinato dalla coesione del gruppo, non dall’individuo che cerca di migliorare la propria performance”.

Uno screenshot dal trailer di 2020: Space Beyond (immagine: Nasa/Esa)

È stato anche il supporto dell’attività extraveicolare di due astronaute, Christina Koch e Jessica Meir, un altro primato epocale.

“Credo che l’importanza di un evento di questo tipo consista solo nell’averci dato una sveglia. Facciamo attività extraveicolari da circa 50 anni e ci abbiamo messo 50 anni a normalizzare un’eva di sole donne. Sono felice, perché adesso non sarà più una novità: raggiungeremo la parità tra uomini e donne nel mondo delle operazioni spaziali, e forse non solo lì, solo quando avremo perso questa straordinarietà e una all female spacewalk, come la chiamano i colleghi della Nasa, sarà il nostro quotidiano”.

Tornando al futuro, la vedremo sulla Luna prima o poi?

“Sono ancora nel pieno della mia vita operativa, ho una buona esperienza alle spalle con la Stazione spaziale internazionale e se il nostro futuro, come comunità internazionale, come Agenzia Spaziale Europea, è di andare verso la Luna, spero di essere un buon candidato per una delle missioni”.

A proposito, perché tornare sulla Luna?

La mia risposta è semplice: ci siamo andati un po’ come i vichinghi, che toccarono il continente americano senza quasi rendersene conto, o forse come Cristoforo Colombo, che ci arrivò per caso, senza comprendere la vastità della superficie o l’importanza della sua scoperta. Credo sia arrivato il momento di diventare come i pionieri della Mayflower, cioè andare sulla Luna per rimanerci, per farne una parte complementare del mondo che conosciamo già”.

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[Fonte Wired.it]