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lunedì, Ott 28

L’ucronia è la nuova tendenza delle serie tv


The Man in the High Castle, Watchmen e l’imminente For All Mankind: storie alternative a quella che conosciamo per capire meglio il nostro presente

Chi ricorda il film tarantiniano Bastardi senza gloria, dove i protagonisti (spoiler!) riescono a far fuori Hitler? Oppure il cult 2009: Lost Memories, nel quale il Giappone si è alleato con gli Usa durante il secondo conflitto mondiale, o ancora il bellissimo Alba rossa ambientato in un’America degli anni ’80 invasa dai comunisti? Sono tutte ucronie, ovvero storie basate su versioni alternative della realtà nelle quali gli eventi hanno preso una piega differente rispetto al corso che conosciamo. In un modo che può sembrare causale, magari dettato dalla coincidenza o dalla probabilità nella vastità di produzioni in formato seriale che ormai affollano gli schermi televisivi e quelli dei computer, gli show che appartengono al citato genere fantascientifico sono diventati frequenti in tempi recenti.

Dal primo novembre debutta, infatti, For All Mankind, serie inedita della nuova piattaforma di Video on Demand Apple Tv+: lo show in dieci episodi prodotto dal Ronald D. Moore di Battlestar Galactica parte dal presupposto che negli anni ’60 siano stati i sovietici – e non gli americani – a compiere il primo esaltante allunaggio con un equipaggio umano. Lo show segue poi gli sforzi dei membri della Nasa per salvare la faccia dopo la devastante disfatta e conquistare la Luna con l’aiuto di Joel Kinnamon (The Killing, Altered Carbon).

La serie citata è solo l’ultima, in ordine di tempo, della recente produzione televisiva a essere ambientata in una realtà parallela. Qualche giorno prima, sul canale streaming Starzplay, ha debuttato Pennyworth, la origin story del maggiordomo di Batman Alfred. Lo show è ambientato nella Londra degli anni ’60, una Londra cupa à la V for Vendetta dove la Regina d’Inghilterra sta per essere vittima di un colpo di Stato e il governo ammette metodi di tortura e di esecuzioni decisamente più affini a un regime totalitario che alla – seppure spietata – Albione che conosciamo.

Analogamente, Watchmen, adattamento di un altro fumetto – pardon, graphic novel – del divino (e demoniaco) Alan Moore, riprende l’ucronia dell’opera di culto ambientata in un presente nel quale gli Usa hanno vinto la Guerra del Vietnam, Robert Redford è presidente e i vigilanti mascherati sono una realtà di fatto. Lo showrunner Damon Lindelof, che ha già firmato Lost e The Leftovers, prende la violenta parabola di Moore per farne qualcosa di diverso, ma lo spunto è comunque una versione differente della realtà, così come nel caso di L’uomo nell’alto castello (The Man in the High Castle), serie che ha inaugurato il trend tratta dal capolavoro letterario di Philip K Dick La svastica sul sole su una versione nella quale le potenze dell’Asse hanno vinto la Seconda guerra mondiale.

La tendenza a sviluppare storie in realtà alternative non è appannaggio delle serie americane degli ultimissimi anni ma informa anche la serialità orientale come nel caso del k-drama The Last Empress (formata da una stagione unica al suo debutto a fine 2018) svolto in un presente dove in Corea vige la monarchia. Quest’ultima produzione serve a capire come un trend possa deviare dalle cause che lo hanno generato per seguire altre vie: The Last Empress è un romance sullo sfondo di cospirazioni di corte il cui scopo è il mero intrattenimento, mentre le produzioni occidentali citate hanno tutte una componente di critica politica e disamina sociale. La popolarità del fenomeno cui attinge è infatti altrimenti limitata a produzioni principalmente americane.

La fantascienza narra di futuri utopici o distopici che sono (quasi) sempre lo specchio del presente; una condizione politica, lo stato della società, l’evoluzione della scienza di oggi si riflettono in esiti futuri possibili: in regimi totalitari, in federazioni unite dei pianeti, in un postumanesimo cibernetico. Il grado di utopia o distopia delle narrazioni di SF è proporzionale (o inversamente proporzionale) alla realtà. La fantascienza non è solo futuro, bensì anche passato, e quando l’ucronia diventa la sua declinazione prevalente è spesso quando il momento storico nella quale viene scritta corrisponde a un frangente di particolare precarietà politica.

La Hollywood che si è opposta con tutta se stessa al governo statunitense corrente ha scoperto – noi, da osservatori esterni, lo avevamo capito molto prima – che il cinema del dissenso è morto soffocato: il nuovo posto dove ribellarsi e dire la propria è nella serialità, più o meno autoriale, protetta dal filtro della finzionalità fantascientifica. Lo si era già inteso con Handmaid’s Tale, parabola distopica che addita il sessismo trumpiano e che ha fatto irruzione nella realtà (ricordate le manifestazioni con le manifestanti vestite da ancelle?), lo si intende ancora di più con le recenti serie ucroniche che traslano l’allarmismo del futuro in un passato mutato nella sua versione più pessimista. Il bello di questo esito della narrativa televisiva recente è che il largo pubblico gode di un genere particolare e audace volto al passato che… prospera sulle angosce e i timori del XXI secolo.

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