Prima dice che il leader della Lega deve presentarsi in Parlamento, poi “se avessi sospetti su Salvini e sulla Russia non sarei al governo”. Analisi di un politico che cambia opinione ogni ora

Ieri sera, per un momento, è sembrato che l’esecutivo Lega-M5s stesse per cadere. In realtà questa sensazione la avvertiamo più o meno da un anno e 50 giorni, ovvero da quando il suddetto esecutivo esiste. Le liti sono quotidiane, la comunanza di vedute scarsa e non c’è argomento su cui si sia riuscito a non discutere. Ieri però era diverso, alcune agenzie di stampa parlavano addirittura di un imminente appuntamento di Salvini al Quirinale, poi annullato. Nelle varie dirette Facebook dal lato leghista e pentastellato i toni sono poi stati alti come non mai.

Essere attaccato dalle opposizioni, dalla sinistra, è normale. Ma se ogni giorno è un esponente del M5s a farlo, la cosa è molto strana, ormai mi insultano tutti i giorni”, tuonava Salvini dal palco di Barzago, mentre la folla invocava le elezioni. “Salvini si comporta da dittatore, ci manca di rispetto”, rispondeva Di Maio. Non più scaramucce, insomma, ma una vera e propria guerra di parole. I leghisti non hanno preso bene il voto favorevole dei pentastellati nei confronti della neopresidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, appoggiata anche dai “poteri forti”. I pentastellati non hanno invece digerito questi attacchi, definendoli uno stratagemma salviniano per distogliere l’attenzione sul caso Moscopoli. Un’accusa che ha irritato ancor di più il leader del Carroccio.

Sembrava di essere arrivati a un punto di non ritorno, fino a che ci ha pensato il solito Luigi Di Maio, ministro del Lavoro ma anche delle giravolte politiche, a negare tutto quanto detto fino a un minuto prima, intimorito di perdere il treno dell’esecutivo. “Escludo la crisi, sono solo dinamiche tra forze diverse”, ha dichiarato, “È giusto che ci incontriamo, ci chiariamo e andiamo avanti, se avessi sospetti su Salvini e sulla Russia non sarei al governo”. Un capolavoro di trasformismo di Di Maio, che in poche ore è passato dal chiedere una commissione d’inchiesta sul caso Moscopoli e dall’accusare il leader del Carroccio di attaccare il Movimento per coprire le sue grane, a difenderlo pubblicamente, di fatto scagionandolo dalle accuse che gli vengono rivolte. Deve averci preso gusto, Di Maio, a vestire i panni del giudice del popolo: sempre nelle scorse ore negava ogni possibile alleanza con il Pd, definendolo “il partito di Bibbiano”, una sentenza basata sul nulla che strizza però l’occhio all’elettorato sovranista e emula il linguaggio salviniano.

In questi mesi, se c’è una cosa che abbiamo imparato, è che Di Maio va dove tira il vento. Con lui non ci sono certezze, in poche ore è capace di dire tutto e il contrario di tutto. Memorabile la sua battaglia contro i Benetton e la loro holding, Atlantia, ritenuti responsabili morali del crollo del ponte Morandi. Voleva togliergli la concessione di Autostrade e si augurava restassero fuori dal dossier Alitalia perché, conoscendoli, “farebbero sostanzialmente cadere gli aerei”. Nei giorni scorsi ha invece esultato per la stessa partecipazione di Atlantia nella cordata di salvataggio di Alitalia. Un paradosso senza senso, come lo sono molti altri: le giravolte su Ilva e sulla Tap, ma anche la lotta alle immunità parlamentari concluse con il voto a non procedere nei confronti di Matteo Salvini sul caso Diciotti.

Di Maio vive in una giravolta perenne, frutto di uno spirito di opportunismo politico e di adattabilità. Non fa quello che pensa o che dovrebbe corrispondere alla piattaforma programmatica del M5s, quanto piuttosto ciò che garantisce la sopravvivenza nell’esecutivo del Movimento. È anche questo che lo ha portato al crollo dei consensi nelle ultime elezioni europee, con molti militanti che si sono sentiti traditi dal loro leader. E questo non ha fatto altro che amplificare il trasformismo di Di Maio: la caduta del governo, con una Lega così forte, significherebbe la fine dell’esperienza pentastellata all’esecutivo per lungo tempo, se non per sempre. Meglio svendere la propria anima allora e restare attaccati alla poltrona, piuttosto che essere genuini tra i banchi delle opposizioni.

Ed è probabilmente per questo che il governo più rissaiolo di sempre continua a sopravvivere, anche in situazioni come ieri quando la fine sembrava ormai scritta. Salvini, da una parte, sa di avere delle marionette a suo servizio, totalmente sottomesse politicamente. Ogni tanto provano a farsi sentire, ma saranno sempre pronti a tornare sui loro passi di fronte alla minaccia di una crisi. Di Maio, dall’altra parte, sa che la coesistenza con la Lega è l’unico modo per continuare a governare, allora tanto vale piegarsi alle sue volontà in una perenne giravolta politica.

Potrebbe interessarti anche





Source link