Seleziona una pagina
venerdì, Feb 19

Mace: “Con il mio disco Obe vi porto in un non-luogo”



Da Wired.it :

Nei primi due giorni di pubblicazione è stato il nuovo album più ascoltato su Spotify. L’ultimo lavoro di Simone Benussi, per tutti Mace, è un trionfo di collaborazioni inaspettate: Colapesce e Chiello_FSK, Blanco e Salmo… Qui ci racconta come sono nate e dove condurranno chi le ascolta

Simone Benussi, per tutti Mace, è produttore e beatmaker con tre vite musicali. La numero uno: è quella dell’inizio dei 2000, poco prima della riscossa del rap, con i La Crème. La numero due: quella con i Reset! e il ritorno dell’elettronica qualche anno dopo. La numero tre: l’oggi è uno spazio in cui rap, pop, r&b e soul contemporaneo dialogano tra loro sovvertendo il concetto rigido di genere. Come dimostra l’ultimo album, Obe (Island/Universal), che vede coinvolti parecchi artisti diversi per radici, sfumature, percorsi: Guè Pequeno, Salmo, Venerus, Blanco, Gemitaiz, Noyz Narcos, Franco126, Rkomi, Colapesce, Fsk Satellite, Ketama126, Psicologi, Madame, Carl Brave, Ernia,  Geolier, IRAMA, Jack The Smoker, Jake La Furia e molti altri ancora. Nei primi due giorni di pubblicazione è stato il nuovo disco più ascoltato su Spotify; dopo la prima settimana è saltato in testa alla classifica dei più venduti in Italia.

Partiamo dal titolo dell’album: Obe è l’acronimo di Out of body experience, ossia esperienza extra-corporea.

“Mio padre mi ha raccontato che a cinque anni, durante un’operazione al femore e completamente sedato in sala operatoria, ho avuto un’esperienza extra corporea. Al risveglio gli ho riferito dell’intervento e dei dialoghi degli infermieri, come se avessi visto tutto dall’alto. Io, però, non lo ricordo; mio papà sì e anche molto nitidamente. Siccome volevo che il concept del disco fosse un viaggio, mi è sembrato perfetto”.

Che cos’è il viaggio per te?

“È uscire dal mio corpo e dalla mia cornice quotidiana, per guardare le cose da una prospettiva diversa. È anche incontrare modi di vivere lontani, mescolarli tra loro. L’ho capito dopo essere stato in Messico a 20 anni”.

Che cosa c’è di lontano in Obe?

“In realtà, ho cercato di evitare qualsiasi rimando a un posto preciso, perché volevo che questo disco fosse un luogo/non-luogo. Quindi, per esempio, ho scelto di evitare i cliché riconoscibili della musica africana o il baile funk brasiliano anche se mi piace tantissimo. Cioè, ci sono dei sample di musica africana e indiana, ma sono mascherati qua e là”.

Ci sono pure tante collaborazioni, eppure alla fine tu emergi parecchio. Il che non è scontato.

“È stato il primo pensiero: da subito mi sono interrogato su come fare un album che esprimesse la mia personalità pur non essendoci la mia voce. E gli artisti sono riusciti ad amplificare la mia visione, a connettersi con il mio pianeta”.

(La copertina dell’album Obe)

Quanto tempo ti ha richiesto Obe?

“Ci sono voluti due anni per metterlo a fuoco. Ho avuto l’idea tornando da Johannesburg, in Sud Africa, dove ho vissuto qualche mese e registrato un disco con alcuni artisti locali. Una volta arrivato in l’incantesimo è svanito: ho capito che quella musica ha senso là e non altrove. Allora, ho deciso tentare qualcosa di nuovo in le mie radici, con i tanti talenti che esplodono. Intanto, ho anche lavorato in studio con Venerus per il mio e il suo disco, con Ghali per DNA e a un sacco di altre collaborazioni e brani strumentali mai pubblicati”.

Hai una certa affinità con Venerus. Quali sono i punti di contatto?

“Quando ci siamo conosciuti, ho capito immediatamente che avevamo gusti musicali, valori e pensieri molto allineati. Ci siamo influenzati reciprocamente. Canta in quattro pezzi, ma le sue impronte sono disseminate in tutto l’album tra parti di chitarra, cori e produzioni realizzate insieme. Senza di lui sarebbe stato un lavoro radicalmente diverso”.

(Foto: Roberto Graziano)

All’interno della custodia del disco campeggia una citazione di Aldous Huxley, scrittore e sperimentatore di viaggi mentali…

“Sicuramente gli stati alterati di coscienza e le incursioni psichedeliche, che sono state numerose nella mia vita, hanno contribuito al modo in cui penso e concepisco la musica. Per esempio, ho preso l’ayahuasca (un infuso psichedelico, appunto, di erbe amazzoniche, ndr): il mio primo vero approccio cosciente a questo tipo di mondo. Poi, ho sperimentato anche in altre maniere, ma sempre a scopo meditativo”.

Ogni canzone di Obe ha un simbolo, che ne riassume il significato. 

“Ne sono sempre stato affascinato, dai simboli intendo. E poi, mio padre era pittore e disseminava di simboli i suoi lavori. L’idea vera e  propria di associarli alle tracce del disco, però, mi è venuta in Giappone, quando un amico del posto mi ha spiegato il motivo dell’utilizzo degli ideogrammi cinesi oltre ai due alfabeti sillabici hiragana (平仮名), il katakana (片仮名): un simbolo è più potente di un concetto, arriva meglio”.

E come hai selezione i simboli?

“Ho pescato tra quelli alchemici… e ammessi da Spotify”.

Per esempio, Colpa tua ha due frecce opposte: ⫷⫸ 

Colpa tua parla di dipendenze: le frecce stanno a indicare i due sensi opposti in cui viene trascinato. In Hallucination, invece, ho utilizzato il simbolo alchemico di mercurio , che tra i vari significati ha quello del cambiamento, perché il brano è la trasposizione musicale di un viaggio psichedelico trasformativo”.

Hai attraversato almeno tre periodi musicali: i La Crème con Jack The Smoker a inizio anni 2000, poi il collettivo elettronico Reset! e ora questa fase caratterizzata da rap, r&b e soul. 

“Per una vita ho pensato che non avrei mai potuto fare musica, perché non sapevo suonare uno strumento e non ho mai avuto la pazienza di imparare. Quando ho scoperto i campionatori, mi sono ricreduto. In principio ero solo istinto: tagliavo campioni e li rimontavo in un’opera nuova, ma non avevo la minima cognizione e nemmeno sapevo il genere che volevo coltivare”.

E poi?

“Ho avuto una sorta di rigetto quando il rap ha cominciato ad andare in radio e mi sono sfilato via: non mi stimolava più, e poi all’epoca era molto integralista. Quindi, mi sono buttato sugli esperimenti naïf con i sintetizzatori: facevo elettronica senza sapere che cosa volesse dire davvero, ma per me era musica libera: dal pezzo più funk a quello più rap. E tutti venivano alle nostre feste Reset!. Però, dopo qualche anno è tornato tutto a frammentarsi ed è finito l’incantesimo”.

Ora puoi trovare Venerus e Salmo insieme nello stesso disco, pur essendo molto diversi. Quanto è cambiata la musica contemporanea?

“Ci sono nuovi spazi per maggiori commistioni musicali, anche se poi nel 70% dei dischi italiani che ascolto trovo sempre una matrice di genere forte. Sono pochi gli artisti che si prendono la responsabilità di fregarsene dei propri percorsi, anche se alla fine è giusto che uno faccia ciò che gli pare”.

Ayauhasca è uno dei pezzi che ci ha colpito di più. Non era facile sposare Colapesce e Chiello_FSK in una canzone così. Come ci sei riuscito?

“Per me Colapesce è uno dei più grandi poeti contemporanei: è stato l’unico al quale ho suggerito l’argomento raccontandogli le mie esperienze con l’ayauhasca e gli ho chiesto di aiutarmi a tradurle in parole partendo da zero. La cosa più bizzarra agli occhi della gente è stato inserire Chiello, ma era perfetto. Il risultato è il brano di cui vado maggiormente fiero. Credo di essermi inventato una cosa nuova, perché può sembrare un pezzo prog italiano con Battiato in acido fuso, una musica elettronica senza genere, percussioni prese dai rituali sciamanici amazzonici, i sitar, e i flauti”.

La canzone nostra  con Blanco e Salmo ci sembra il pezzo più pop. È così?

“È diventato pop per sbaglio, perché era stato scritto su una strumentale molto morbida e senza ritmica: era un pezzo ambient che io non volevo nemmeno far cantare. Quando ho sentito la capacità di lavorare con le melodie di Blanco, gli ho tolto un po’ di aggressività. La strofa killer di Salmo ha fatto il resto”.

Come ti rapporti con gli artisti nelle fasi iniziali?

“Parlo tanto con loro, ancora prima di mettermi a lavorare. Devo conoscerli per entrare nel loro mondo e capire fin dove li posso portare”.

Potrebbe interessarti anche





[Fonte Wired.it]