Un team di ricerca internazionale, guidato da scienziati del Baylor College of Medicine (Houston),
dell’Università di Copenaghen, del Centre Nacional d’Anàlisi Genòmica e del Center for Genomic
Adjustment (Barcellona), ha compiuto l’impresa: l’estrazione e l’analisi di cromosomi fossili da un mammut lanoso vissuto 52.000 anni fa. Sorprendentemente, questi cromosomi hanno conservato la loro struttura tridimensionale fino alla scala nanometrica, un livello di dettaglio senza precedenti. Mentre i frammenti di Dna antico sono limitati a poche centinaia di basi, i cromosomi fossili offrono un tesoro di informazioni genetiche, conservando centinaia di milioni di lettere del codice della vita. Un cromosoma, con la sua lunga molecola di Dna, contiene migliaia o addirittura milioni di paia di basi, codificando per un numero molto maggiore di geni e tratti genetici rispetto a cento paia di basi isolati.
Per fare un paragone, immaginiamo un libro: cento paia di basi di Dna sarebbero come poche frasi di un paragrafo, mentre un cromosoma sarebbe come un intero capitolo o addirittura un libro intero. L’analisi dei cromosomi fossili del mammut lanoso ha già rivelato informazioni preziose su questa specie iconica. I ricercatori hanno determinato il numero di cromosomi e hanno identificato i geni attivi nella pelle dell’animale. “Abbiamo scoperto che hanno 28 paia di cromosomi, il che ha perfettamente senso, perché è ciò che hanno gli elefanti moderni, i quali sono i parenti viventi più prossimi del mammut lanoso“, spiega il dottor Juan Antonio Rodríguez, co-primo autore dello studio e ricercatore presso l’Università di Copenaghen e al Centre Nacional d’Anàlisi Genòmica di Barcellona. Alcuni di questi geni regolano lo sviluppo del pelo e mostrano un modello di attività diverso rispetto agli elefanti moderni, suggerendo possibili adattamenti al clima freddo della tundra.
I ricercatori si sono interrogati su come i cromosomi si fossero potuti conservare per 52.000 anni con la loro struttura tridimensionale intatta. La risposta risiede in un fenomeno chiamato “transizione vetrosa”, simile al processo di vetrificazione del vetro. In questo stato, le molecole sono immobilizzate in una disposizione disordinata, impedendo la loro degradazione. Si ipotizza che il permafrost siberiano, dove è stato rinvenuto il mammut nel 2018, abbia creato le condizioni ideali per la formazione di questo “cromovetro”, preservando i cromosomi per decine di millenni. D’altra parte, l’idea che i resti del mammut fossero conservati in uno stato simile al vetro non è inverosimile. L’eccezionale conservazione dei cromosomi del mammut richiama infatti un processo familiare: la liofilizzazione. Proprio come le antiche culture conservavano il cibo disidratandolo e raffreddandolo, il permafrost siberiano ha agito da congelatore naturale, disidratando la carne di mammut e preservando i suoi cromosomi per millenni.



