Secondo Western, la coltivazione di questi cristalli nello spazio potrebbe permettere di produrre wafer in silicio molto più puri: “Sarebbe quasi come resettare la nostra idea del limite dei semiconduttori”, dice.
Astral, l’azienda di Frick, conta di riuscirci utilizzando una fornace dalle dimensioni di un mini-frigorifero, in grado di raggiungere temperature di circa 1.500 gradi Celsius. Ma le applicazioni di queste tecniche per la crescita dei cristalli non si limitano alla fabbricazione di semiconduttori: potrebbero anche portare allo sviluppo farmaci di qualità superiore e a nuove scoperte nell’ambito delle scienze dei materiali.
Vantaggi simili potrebbero arrivare anche dalla produzione di altri tipi di materiali nello spazio. A gennaio, per esempio, la Cina ha annunciato di aver realizzato una nuova lega metallica all’avanguardia sulla sua stazione spaziale Tiangong, molto più leggera e resistente rispetto ad altre prodotte sulla Terra. Ma le condizioni ambientali nello spazio, in cui la forza di gravità è minore, potrebbero aprire nuove possibilità per la ricerca medica. “Senza l’ostacolo della gravità, si potrebbe riuscire a fabbricare strutture complesse come organi artificiali”, spiega Mike Gold, presidente del settore spaziale civile e internazionale di Redwire, un’azienda con sede in Florida che ha sperimentato per anni la produzione nello spazio sulla Stazione spaziale internazionale. “Se si provasse a farlo sulla Terra, gli organi verrebbero schiacciati”, aggiunge.
Sfide e prospettive
Nell’ottica di una produzione su larga scala, una grossa sfida per la manifattura spaziale è legata al trasporto delle attrezzature nello spazio e dei prodotti sulla Terra. Se da una parte l’uso di veicoli spaziali come il Falcon 9 di SpaceX ha ridotto drasticamente i costi di accesso allo spazio, dall’altra aziende come Space forge e la californiana Varda space industries stanno sviluppando capsule senza equipaggio che potrebbero recapitare nello spazio le attrezzature – tra cui la fornace di Astral – e riportare i materiali sulla Terra.
Varda ha già lanciato tre missioni spaziali per testare questo metodo. Le sue capsule sono atterrate nel deserto dello Utah e nell’entroterra australiano. Nella sua prima missione, l’anno scorso, l’azienda è riuscita a far crescere cristalli di un farmaco antivirale, il ritonavir. Il chief revenue officer di Varda Eric Lasker sottolinea che prodotti di questo potrebbero avere un potenziale significativo sia dal punto di vista del mercato che dei benefici per la salute. “Possono davvero migliorare la vita delle persone qui sulla Terra“, commenta.
Se i sistemi di produzione industriale in orbita venissero potenziati nei prossimi anni, il settore potrebbe crescere rapidamente. “Credo che questo tipo di industrie assomiglieranno a delle fabbriche spaziali – riflette Lasker –. Vedremo stazioni o veicoli prefabbricate. Non è uno scenario difficile da immaginare“.
In un futuro più prossimo, la prospettiva è quella di utilizzare per la produzione in orbita le risorse già presenti nello spazio, invece che spedirle dalla Terra. Diverse aziende hanno messo gli occhi sull’estrazione di materie prime dagli asteroidi: la californiana AstroForge conta di atterrare su un asteroide potenzialmente ricco di metalli l’anno prossimo, per provare a ricavarne materiali utili. E su corpi celesti potrebbero nascondersi preziosi metalli del gruppo del platino, oltre che acqua e altre risorse.
Ma tutto questo riguarda appunto il futuro. Al momento la produzione spaziale “sembra ancora una novità“, afferma Curtis-Rouse, secondo cui però “entro una decina d’anni sarà considerata una pratica ordinaria“.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.