Non solo, però. Lei pratica yoga regolarmente, e ha continuato a farlo anche in Antartide. Quanto l’ha aiutato?
Lo yoga mi aiuta sempre. Anche qui, perché anche lontano dall’Antartide si vivono momenti di tensione e di stress legati al lavoro, alla famiglia e a tutti gli input che vengono dalla società. A Concordia, naturalmente, tutto si amplifica, per cui probabilmente lo yoga mi ha aiutato anche di più. Oltre a praticarlo, l’ho anche insegnato agli altri membri del gruppo, e questo ci ha aiutato a creare un team più compatto e coeso. È stato insomma un aiuto per tutti.
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Nel libro racconta di un’esperienza angosciante. Ha vissuto il terribile whiteout: si trovava all’esterno della base, il tempo è cambiato all’improvviso e di colpo non ha visto più nulla. Solo bianco.
La prima sensazione è stata di stupore. Ci avevano parlato del whiteout, ma non pensavo che fosse così pericoloso. Mi ero allontanato di appena 5 metri dai cavi elettrici che vanno dalla base ai container dove abbiamo la strumentazione, con l’idea di scattare qualche foto. Improvvisamente non ho visto più nulla: il vento alzava neve e ghiaccio tutt’intorno a me e la base era come scomparsa. Ho avuto un momento di panico, poi ho ragionato e ho pensato di tornare indietro camminando a stella, e fortunatamente ho ritrovato la base. Non mi sarei mai aspettato di perdere di vista un oggetto distante solo 5 metri da me.
Tra tante emozioni, ci racconta qual è stato il momento più emozionante di tutti?
Probabilmente il giorno in cui sono ripartito alla fine della prima spedizione. Da programma, sarei dovuto decollare da Concordia il 7 dicembre. Il primo dicembre, è arrivato un aereo che ha portato altro personale, e sarebbe ripartito l’indomani. Il responsabile scientifico della spedizione mi ha chiamato in un angolo e mi ha detto che c’era un posto libero, e che se avessi voluto sarei potuto partire prima. La mia mente era proiettata a partire cinque giorni dopo, e dopo essermi reso conto che invece sarebbe accaduto l’indomani sono dovuto correre in camera perché mi sono venute le lacrime per l’emozione. Era il momento di fare i bagagli, di lasciare questo posto che ormai era la mia casa. Anche l’arrivo in Nuova Zelanda è stato incredibile: riascoltare nuove voci umane dopo oltre un anno, rivedere i colori, sentire i profumi. È difficile da raccontarlo a parole.
Cosa le ha insegnato l’Antartide?
Che ci sono alcune cose davvero necessarie, e altre che sono solo un’aggiunta. Continuo a pensarci spesso. Per vivere basta poco: un posto caldo dove dormire e qualcosa da mangiare. Se c’è anche la salute, allora abbiamo tutto. Ogni volta che mi sveglio mi sento fortunato per quello che ho.
*Il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra) è finanziato dal Mur e gestito dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) per il coordinamento scientifico, da Enea per la pianificazione e l’organizzazione logistica delle attività presso le basi antartiche e dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) per la gestione tecnica e scientifica della nave rompighiaccio Laura Bassi.