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martedì, Lug 28

Marco Cappato e Mina Welby sono stati assolti per aver facilitato un suicidio assistito



Da Wired.it :

Il caso riguardava la morte di Davide Trentini, malato di sclerosi multipla che nel 2017 aveva deciso di ricorrere al suicidio assistito a Basilea, in Svizzera. La corte di Assise ha stabilito che il fatto non costituisce reato, in attesa di una legge sull’eutanasia

(Foto: Simona Granati/Corbis/Getty Images)

La Corte di Assise di Massa ha assolto Marco Cappato e Mina Welby, rispettivamente tesoriere e co-presidente dell’associazione Luca Coscioni, dall’accusa di istigazione e aiuto al suicidio per la morte di Davide Trentini, malato di sclerosi multipla che nel 2017 aveva deciso di ricorrere al suicidio assistito a Basilea, in Svizzera. Le motivazioni devono ancora essere depositate e saranno consultabili solo nei prossimi mesi, ma la corte ha spiegato che “il fatto non costituisce reato” perché non sussiste il reato di istigazione al suicidio. Cappato ha commentato la sentenza dicendo che “rende giustizia alla mamma di Davide” e che, dopo questa assoluzione, “la legge sull’eutanasia è ancora giù urgente perché serve per garantire un diritto a tutti i cittadini e serve ad eliminare una potenziale discriminazione”.

Il procedimento legale sulla questione era stato avviato proprio dagli stessi Cappato e Welby che, dopo il viaggio in Svizzera al fianco di Trentini, si erano autodenunciati ai carabinieri di Massa, città natale dell’uomo.

Cosa potrebbe cambiare adesso

Questa per il caso Trentini è la seconda assoluzione per Marco Cappato: nel 2019 la Corte costituzionale aveva emesso una sentenza simile per il caso di Fabio Antoniani, noto come dj Fabo. Ed è propio lo stesso tesoriere a richiamare questa circostanza alla corte di Assise di Massa spiegando che in entrambi i casi era stato fornito “un aiuto innegabile in assenza di qualunque parametro di legge. Abbiamo aiutato Trentini in base ad un dovere morale e lo rifarei esattamente nello stesso modo”. Inoltre, ha sottolineato anche che “dalla morte di dj Fabo e di Trentini, altre decine di persone si sono recate in Svizzera per il suicidio assistito e le autorità italiane ne sono state informate da quelle elvetiche. Quelle persone non hanno avuto bisogno di noi, perché avevano i soldi per farlo. Ma questo non può essere il discrimine tra malati che soffrono”.

Nonostante i casi siano quindi simili, le due sentenze emesse affrontano il tema del suicidio assistito fissando diversi presupposti affinché questo non costituisca reato. Nel caso di dj Fabo, la Corte Costituzionale aveva stabilito che in Italia una pratica simile è ammissibile se la persona che ne fa ricorso è affetta da una patologia irreversibile che provoca sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, se è capace di decidere liberamente e consapevolmente e, soprattutto, se a tenerla in vita sono dei trattamenti medici di sostegno. La sentenza Trentini rivede quest’ultimo punto: non sono da considerasi trattamenti per il sostegno solo quelli di ventilazione, d’idratazione o di alimentazione artificiale, ma anche quelli a cui era sottoposto Davide Trentini cioè le cure farmacologiche per attenuare dolori e spasmi o il meccanismo che gli consentiva l’evacuazione delle feci. Secondo i tecnici della difesa, anche se non sono riconducibili alla classica terapia di sostegno vitale, la sua interruzione avrebbe provocato la morte del paziente.

Come ha sottolineato Marco Cappato, si tratta di “un precedente importante perché apre degli spazio di libertà per il fine vita”. Dello stesso avviso anche Filomena Gallo, avvocata di Cappato e Welby e segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni: “È una decisione importante perché chiarisce che il requisito, per il malato, della presenza di trattamenti di sostegno vitale non è limitato alla sola presenza di macchinari ma comprende anche i trattamenti farmacologici”.

Per la seconda volta, quindi, intervengono dei giudici a dirimere una controversia sulla questione nonostante da più di un anno la Corte costituzionale abbia chiesto al parlamento di intervenire con una legge che chiarisca meglio cosa costituisca o meno reato. In sono infatti vietate l’eutanasia (dove il medico agisce per aiutare il paziente a morire) e il suicidio assistito (la persona interessata assume autonomamente un farmaco che lo porta al decesso). Dal 2018 è in vigore la cosiddetta legge sul testamento biologico, che stabilisce che per avviare o proseguire un qualsiasi tipo di trattamento sanitario è necessario il consenso della persona interessata che, in maniera informata e libera, può anche decidere di rifiutarsi di sottoporvisi.

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[Fonte Wired.it]