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lunedì, Dic 23

Maverick: perché non vediamo l’ora di vedere il sequel di Top Gun


Sarà anche un – ormai – anacronistico inno al superomismo del maschio bianco americano, ma Top Gun resta un film cult degli anni ’80 e noi siamo ben contenti di aspettarne il seguito. Inevitabili cambi di rotta filosofici inclusi

Per chi crede, come chi scrive, che i migliori film della storia del cinema siano stati tutti prodotti tra il 1982 e il 1989, la notizia di un sequel di Top Gun è una prospettiva bellissima e spaventosa al tempo stesso. È di pochi giorni fa la diffusione di un nuovo trailer di Maverick, il sequel della pellicola di Tony Scott del 1986 incentrata su un talentuosissimo pilota di caccia testa calda (“maverick” per l’appunto) e sulle altre promesse dell’aviazione americana chiamate a difendere il Paese dalle incursioni dei Mig sovietici in piena Guerra fredda. Un po’ film action, un po’ film bellico, un po’ romance e tanto bromance, Top Gun alternava gli inseguimenti aerei mozzafiato con le baruffe testosteroniche di Maverick e del suo acerrimo rivale Iceman alle scene del corteggiamento tra il protagonista e la tosta Charlie. Era anche il coming of age di un personaggio che impara come l’arroganza ipertrofica del giovane wasp americano si paghi nel modo più duro, nello specifico la morte dell’amatissimo partner di volo Goose.

Siamo consapevoli che, in realtà, non tutti i migliori film di sempre sono stato prodotti negli edonistici anni ’80, tanto quanto siamo consapevoli di come quel decennio cinematografico permeato di imbarazzante machismo, sesso patinato, capelli cotonati, yuppie all’arrembaggio ed esaltazione dello strapotere del maschio bianco borghese americano (il wasp di cui sopra) fosse un concentrato di razzismo e sciovinismo. Tuttavia, il famigerato effetto nostalgia che giustifica il dilagare di reboot, sequel e prequel di film e serie colpisce molto spesso produzioni di quegli anni. Maverick non fa eccezione, per quelli che hanno idolatrato i vari Top Gun, Ufficiale e gentiluomo, Dirty Dancing e compagnia, il ritorno prossimamente sui nostri schermi è un male necessario.

Aver visto il primo Top Gun, quello del compianto Tony Scott che ci regalò altri cult dell’epoca come Beverly Cop II e Revenge (ma anche un piccolo gioiello horror come Miriam si sveglia a mezzanotte e sottovalutati capovalori come Una vita al massimo e L’ultimo boy scout), nel 1986 o averlo recuperato anni dopo non cambia: se ne rimane scandalosamente affascinati. L’ostentata aggressività dei personaggi, le lotte a chi ce l’ha più grosso di Maverick e Iceman, le partite di volleyball testosteroniche di una piccola squadra di adoni palestrati e quella tensione sommessa e onnipresente che rese la guerra fredda protagonista di alcuni dei film americani più belli sono ingredienti oggi obsoleti ma che provocano un coinvolgimento colpevole e ipnotico.

A rendere indelebile il film anche quella colonna sonora epica e la morte forse più sconvolgente di un personaggio in una pellicola di quel decennio – quella del Goose interpretato da Anthony Edwards (che quindici anni dopo segnò il pubblico televisivo con la morte di un altro suo personaggio, il Mark Greene di ER). Oggi, ricordiamo ancora che se ti ritrovi un altro caccia in coda sei fottuto, e sappiamo che è possibile arrivare a due metri di distanza da un Mig28 in volo rovesciato con un F14 Tomcat, anche se queste informazioni non ci servivano ieri come oggi. Tanto più che tanta parte dell’aviazione odierna è operata da droni.

Proprio del destino delll’aviazione nell’epoca dei droni e della fobia del terrorismo si parla nel sequel di Top Gun che vedremo l’estate prossima: i trailer diffusi su quelle note della colonna sonora originale che riaccendono subito la nostalgia mostrano il Maverick interpretato da Tom Cruise nelle veci di istruttore delle nuove leve: sarà stato anche uno dei più grandi piloti di sempre, ma probabilmente il suo caratteraccio e la sua arroganza gli hanno impedito di fare carriera (è a malapena un capitano, quando, gli fanno notare, ormai dovrebbe essere almeno ammiraglio). Tra i nuovi arrivi c’è il figlio di Goose interpretato da Miles Teller – e questo da solo basta a mandarci al cinema – che sempre in tema di operazione nostalgia sfoggia l’anacronistico baffetto del padre. E “anacronistico” è un po’ la parola chiave del primo Top Gun: così come Maverick è un residuato di un decennio in cui il wasp americano si credeva il re del mondo e gli Usa si ergevano a paladini del pianeta, così lo sono i pilastri su cui reggeva la filosofia superomista di Top Gun.

Dai primi materiali del sequel si evince che l’attesissimo Maverick non poggerà (non deve come non può) sugli stessi temi: i tempi sono cambiati, nessuno ha più il coraggio di inneggiare al modello del semidio ariano in stile Iceman. Lo si intuisce già dalla diversità degli studenti di Maverick: ci sono donne, ragazzi di colore, una varietà assente tra le fila dei piloti del primo film, crème della crème dell’esercito più potente del mondo. C’è l’ufficiale (il granitico Ed Harris) che ricorda a Tom Cruise quanto tutto quello che rappresenta sia obsoleto e c’è un nuovo protagonista, quel figlio di Goose di cui sopra, che è il simbolo di quei tempi che cambiano: è lui – l’erede del personaggio meno aggressivo e più diplomatico del team originale – il nuovo modello da emulare destinato a diventare una nuova icona.

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