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mercoledì, Set 09

Mele è il film rivelazione di Venezia 2020 che racconta una pandemia (di amnesia)



Da Wired.it :

Ha aperto la sezione Orizzonti. Sorprende, spiazza e fa pensare: chi saremmo senza memoria? E senza smartphone, pc e tecnologia?

Nessun film è più catartico in tempo di pandemia quanto un film su una pandemia. La malattia protagonista di Mele di Christos Nikou, titolo d’apertura di Orizzonti – il più notevole tra quelli proiettati finora a Venezia 77 – non riguarda tuttavia i polmoni, ma il cervello. Si tratta di una pandemia di amnesia. Un grande mal di testa a cui segue un black out mnemonico irreversibile. C’è chi esce dall’auto mentre guida e non vuole risalirci, negando sia la propria; chi fa goal e mentre tutti esultano non capisce che cosa ci faccia in mezzo al campo; e poi c’è Aris, il protagonista, che viene ritrovato in un autobus senza documenti. Non ricorda più né da dove viene né dove va.

Al ricovero ospedaliero segue, per i dimenticati (pazienti non reclamati da parenti o amici), un percorso di riabilitazione assai particolare: un programma dal titolo Impara a vivere propone di costruire da capo esperienze e ricordi, peccato che siano tutti “comandati” dall’alto. I malati diventano così a breve pedine svuotate da muovere ancora più facilmente, esecutori perfetti in quanto privi di identità e, senza consapevolezza di chi si è, è più facile essere sfruttati e più complicato ribellarsi. Chissà, magari un cane festoso, una canzone alla radio o un funerale possono (ri)stimolare una memoria che, tutto sommato, potrebbe risultare troppo dolorosa per essere accettata.

Mele, dunque, è interessante, profondo, stratificato, che sorprende, spiazza e ricorda i primi lavori di grandi autori e cineasti, su tutti Alpis di Yorgos Lanthimos e Memento di Christopher Nolan. Non a caso il regista è stato assistente del primo e anche di Richard Linklater. È un film che affascina, incuriosisce, allude al dramma contemporaneo degli apolidi, sottolinea l’importanza della memoria per la storia di ogni essere umano senza cadere nel retorico, infine sottende il tema dell’avvelenamento quotidiano a causa della sofisticazione del cibo.

Le mele del titolo sono ciò di cui il protagonista va più ghiotto, ma proprio per il loro gusto tanto speciale potrebbero essere novelle radici di loto, portatrici dell’oblio. C’è una nota biografica in questo: il padre del regista, scomparso di recente, mangiava sette mele al giorno e aveva, a quanto pare, una memoria invidiabile. Ma c’è, soprattutto, la voglia di ironizzare su un frutto simbolo dell’ipertecnologizzazione dei nostri tempi: la mela, Apple, appunto. Non a caso nel film regna l’analogico – tra lettere scritte a mano, musicassette, radio decisamente vintage e polaroid –, come a voler suggerire che proprio nell’era del tutto-memorizzato-ovunque la pandemia più spaventosa potrebbe rivelarsi proprio quella mnemonica.

La domanda che sottende il film è: chi saremmo senza memoria? E senza smartphone, pc e tecnologia? Ad amplificare la sensazione straniante di un’epoca indefinita, ma di certo precedente a quella contemporanea, è la scelta di girare in formato 4:3, alla Charlie Kaufman, Michel Gondry e Spike Jonze, per intenderci. Anche loro, a vario titolo, creatori di mondi visionari e senza tempo.

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[Fonte Wired.it]