Seleziona una pagina
mercoledì, Nov 06

Microsoft tenta la strada del “lavorare meno per lavorare meglio”


La sede giapponese, l’estate scora, ha accorciato di un giorno la settimana lavorativa. Con sorprendenti risultati sul piano del risparmio energetico, della produttività e, naturalmente, del benessere dei suoi impiegati

Alla sede giapponese della Microsoft l’estate scorsa hanno condotto un esperimento, di cui sono usciti solo ora i risultati. Per tutto il mese di agosto, la settimana lavorativa dei 2300 dipendenti è stata ridotta a 4 giorni, senza che lo stipendio venisse toccato. La durata delle riunioni è stata poi fissata a massimo trenta minuti, mentre sono stati incentivati i meeting online, così da ottimizzare i tempi per questi impegni.
Il comunicato sull’esito di questo esperimento racconta che nel mese in questione la produttività aziendale è aumentata di quasi il 40% rispetto allo stesso periodo del 2018. Sono anche diminuiti i consumi: le pagine stampate sono state ridotte del 59%, mentre il consumo di energia elettrica ha subito un taglio del 23%. La quasi totalità dei dipendenti ha apprezzato il test, che si appresta a essere ripetuto in altri stabilimenti della società nei mesi a venire.

Non è la prima volta che un’azienda sperimenta la settimana corta per i suoi dipendenti. Di recente sempre in Giappone la catena di abbigliamento Uniqlo ha ridotto la settimana lavorativa a 4 giorni, sebbene le ore di lavoro giornaliere siano aumentate. In Nuova Zelanda, il fondo di investimento Perpetual Guardian ha ridotto i giorni settimanali di lavoro per i suoi dipendenti, lasciando invariati gli stipendi. A Glasgow, l’agenzia di marketing Pursuit ha adottato il venerdì libero remunerato già nel 2016, mentre le società tech americane Basecamp e Wildbit hanno introdotto diversi giorni liberi al mese per i lavoratori. In tutti questi casi, i dati mostrano che la produttività è aumentata, di pari passo con il benessere dei dipendenti.

Lavorare meno per lavorare meglio è allora utopia o realtà? Una via di mezzo. In una società come quella attuale in cui il lavorare per vivere si è tragicamente trasformato nel vivere per lavorare, con le ore di occupazione settimanale che mediamente aumentano ogni anno, sembra impossibile immaginare un cambio di paradigma che vada nella direzione opposta. Quanto successo alla Microsoft giapponese potrebbe però segnare la svolta: non siamo più davanti a piccole realtà aziendali locali, ma a una delle più imponenti multinazionali esistenti. Il suo esperimento potrebbe allora divenire un caso studio ed essere replicato anche altrove. E sarebbe un fatto positivo.

Che le ore lavorative vadano riviste se ne discute già da tempo. I progressi tecnologici hanno reso in molti casi obsoleti alcuni compiti, ai dipendenti si potrebbe chiedere allora di focalizzarsi su altre mansioni, quelle ancora necessarie, senza perdere tempo sull’inutile e ottimizzando così le ore lavorative. Ma al di là di questo, dietro alla filosofia della settimana lavorativa corta c’è un discorso di psicologia umana. Obbligare una persona dieci e più ore quotidiane seduta a una scrivania, davanti a uno schermo, di sicuro non aiuta la sua produttività, tanto meno il suo benessere. Ci sono dei limiti di sopportazione della fatica, andare oltre significa compromettere il lavoro presente ma anche futuro. Ma soprattutto, il lavoro non può cancellare la vita extra-lavorativa: famiglia, amici, hobby. Questo perché non siamo nati esclusivamente per lavorare, ma anche perché il benessere extra-lavorativo si riflette automaticamente sull’efficienza lavorativa. Se togli il primo, difficilmente avrai il secondo. Uno dei pilastri di un sistema del lavoro che funziona deve allora essere la cultura del riposo, per le conseguenze positive che ha sul lavoro stesso.

Sono considerazioni sempre più diffuse a livello accademico. In realtà già negli anni Trenta John Maynard Keynes immaginava che entro un secolo la settimana lavorativa sarebbe passata alle 15 ore. Non è successo, ma molti studi antropologici, sociologici, storici e economici degli ultimi decenni spingono in quella direzione. La posta in gioco è uno stile di vita migliore, una maggiore produttività lavorativa, ma anche una migliore salvaguardia dell’ambiente, dovuta ai minori consumi aziendali. Forse è il caso di iniziare a pensarci.

Potrebbe interessarti anche





Source link