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mercoledì, Nov 27

Midway non riesce nemmeno a essere puro divertimento


Un colossal al risparmio per produttori con grandi ambizioni e piccoli portafogli. La versione grossolana del già grossolano Pearl Harbour di Michael Bay. Dal 27 novembre in sala

Se Pearl Harbour, il film di Michael Bay, prendeva la storia in maniera molto grossolana, Midway è la versione grossolana di quel film. Ricalca prima quegli eventi e poi va un po’ più avanti per raccontare per l’appunto la battaglia nelle isole Midway con un piglio che sicuramente soddisfa qualsiasi appassionato di storia militare. Il problema è tutto il resto del pubblico. Con effetti visivi un paio di passi indietro rispetto allo stato dell’arte ma con ambizioni un passo troppo avanti rispetto alle proprie possibilità Midway è una celebrazione narrativamente inconsistente di uno spirito militare indefesso in cerca di rivincita dopo l’attacco a Pearl Harbour. Puro vengeance movie di una nazione contro l’altra nel quale gli schieramenti sono necessariamente manichei, squadre di buoni contro squadre di cattivi, e la guerra è un modo di affermare il proprio onore, il proprio ardore e il proprio diritto alla supremazia sugli altri.

Roland Emmerich non sarebbe nemmeno americano poi, ma tedesco (chi ha scritto il film, Wes Tooke, invece lo è) e forse è vero che non c’è niente di più radicale di un convertito, perché va a fondo con la celebrazione di quello spirito che gli americani amano attribuirsi come nemmeno i cineasti hollywoodiani (moderni) osano fare. Per arrivare al suo obiettivo impiega un cast ricco di nomi e volti noti che non si impegnano poi molto, dimostrando una volta per tutte come mai sono rimasti volti noti e non sono mai diventate vere grandissime star. C’è Aaron Eckhart, c’è Woody Harrelson, c’è Luke Evans, Patrick Wilson e Dennis Quaid. Un colossal al risparmio per produttori con grandi ambizioni e piccoli portafogli.

Al centro, ovviamente, ci sono dei ragazzi, soldati semplici dalle idee semplici, giovani mascelloni da prima linea, eroici perché pronti a morire con una battuta furba pur di non rivelare niente al nemico, eccitati all’idea di fare bella mostra dell’atteggiamento da duro scavezzacollo che aveva Tom Cruise in Top Gun ma senza un briciolo della sua capacità di occupare la scena, essere la star e incarnare lo spirito di un paese in un dato momento. Loro sono piuttosto maschi alfa da macello provenienti da un’altra era della mitologia, spediti con gli aerei, imbevuti di ideologia come il film che li contiene. Si può anche avere a cuore il loro destino ma bisogna impegnarcisi, perché il film non fa molto per creare reale coinvolgimento.

E non va meglio ovviamente ai giapponesi, rappresentati come l’impero del male con la più classica della mosche bianche (l’ufficiale nipponico illuminato, umano, per bene) a fare da foglia di fico davanti alla stereotipizzazione dell’altro. Midway è cinema propagandistico anni ‘40 senza il coraggio di ammettere di esserlo (e soprattutto fatto male). Ingloba dentro di sé anche John Ford (che davvero era alle Midway per filmare la guerra) ma non ha la forza di ammettere di stare cercando di passare su quei solchi, preferisce nascondersi e cercare di far finta di essere cinema di guerra moderno, anche critico (sebbene per finta) con il proprio paese.

Ma schieramenti a parte, quello che davvero è imperdonabile non è certo l’ideologia. Non sarebbe la prima volta che si passa volentieri sopra il patriottismo scriteriato americano qualora Midway fosse almeno grande cinema muscolare, epica in cinemascope dello sforzo umano o anche di storie significative di piccoli uomini in un grande conflitto che cercano di fare la cosa giusta, che sono posti di fronte a scelte complicate che li costringono a ripensare tutto ciò in cui credono. Insomma se fosse un film di uomini invece che di figurine si potrebbe tranquillamente dimenticare la sua ignoranza.

Invece il regista di mille catastrofici, l’uomo che ha distrutto più palazzi, città e aree digitali di tutti, non ha qui il coraggio di realizzare l’intrattenimento di gran forza e potenza che è lecito aspettarsi, rifugiandosi in una sorta di realismo storico dei veri ufficiali, della vera catena di comando e delle vere strategie che portarono alla vittoria. Come se davvero una lezione di tattica militare, immersa in relazioni umane fasulle, potesse sostituire il piacere di un film di pura finzione però reale nei problemi che pone ai propri personaggi.

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