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lunedì, Ago 19

Mindhunter: 5 motivi per recuperarla


La seconda stagione è su Netflix. Ecco perché vedere, se non l’avete ancora fatto, questa raggelante cronaca ambientata a fine anni ’70 sui primi profiler di serial killer

David Fincher, il regista del thriller Seven, quasi due anni fa è tornato dietro la macchina da presa per parlare di nuovo di serial killer, questa volta non in un film ma in una serie. Mindhunter, ispirata al libro Mindhunter: La storia vera del primo cacciatore di serial killer americano di Douglas e Olshaker, è dal 16 agosto sulla piattaforma digitale Netflix con la seconda stagione di una serie thriller ambientata alla fine degli anni ’70, dedicata ai primi profiler della storia americana. I profiler sono gli investigatori che studiano la psicologia dietro gli omicidi plurimi attraverso le testimonianze dei serial killer catturati per cercare di capire la metodologia, gli istinti e le motivazioni e usare queste conoscenze per fermarne altri. Essenziale, minuziosa e sconvolgente, la serie nata da un’idea di Charlize Theron è imperdibile per chiunque subisca la fascinazione del genere e… per questi altri motivi.

1. I veri serial killer

La serie di Fincher spoglia i serial killer dell’allure di cui vengono ammantati nella finzione restituendo asetticamente e senza prese di posizione la loro vera natura – che di seducente ha ben poco; lo fa riproducendo fedelmente le conversazioni con alcuni veri pluriomicidi degli anni ’70 – da Edmund Kemper a Montie Rissel, da Dennis Rader a Richard Speck. Nella seconda stagione c’è Charles Manson, e senza rivelarvi perché, vi anticipiamo che il suo intervento… è molto più spiazzante di quello che ci si aspetta.

2. La tensione del reale

Il titolo – Mindhunter – esprime la volontà dello show di prendere le distanze dalle solite storie sugli assassini seriali: i protagonisti danno la caccia ai pensieri, agli schemi psicologici e agli istinti di assassini talmente deviati e imprevedibili da risultare quasi sempre imprendibili. La serie è tutta basata su resoconti reali tanto che il taglio è quasi documentaristico, la cronaca di lunghe e difficoltose interviste e di indagini compiute senza i miracolosi strumenti della tecnologia odierna. Di azione adrenalinica, inseguimenti trafelati e confronti all’ultimo sangue tra detective e killer non ce ne sono, ma la tensione resta comunque alle stelle.

3. Il cast e i protagonisti

I protagonisti di Mindhunter sono un ex negoziatore dell’Fbi (Holden Ford) ossessionato da nuovi modi per scovare i criminali, giovane, intuitivo, fragile ma inarrestabile; un poliziotto veterano (Bill Tench), un vero duro, pacato e che sa navigare tra le insidie di una professione che richiede diplomazia e furbizia; una scienziata (Wendy Carr) algida, severa e ossessiva con una vita privata da proteggere a ogni costo, e una sfilza di serial killer che fanno la staffetta, protagonisti di un episodio ciascuno che si passano il testimone con l’omicida al centro della puntata successiva raccontando la propria storia, spesso squallida e quasi sempre permeata di deviazioni sessuali e manie di onnipotenza.

Mindhunter è una serie costruita tutta intorno ai personaggi, alla disamina della loro natura – siano essi i poliziotti o i criminali – che si appoggia su un cast validissimo, dal Jonathan Groff (Ford) di Glee alla Anna Torv (Carr) di Fringe passando per il granitico Holt McCallany (Tench), il quale, curiosamente, è stato uno dei “casi della settimana” più belli e tragici dello show sui serial killer più famoso e longevo del piccolo schermo, Criminal Minds. Da vedere anche per Cameron Britton e Sam Strike, eccezionali nell’incarnare gli assassini Kemper e Rissel in tutta la loro penosa umanità.

4. La firma di David Fincher

Ormai non fa più scalpore la migrazione di un acclamato regista cinematografico al piccolo schermo: Fincher, autore pluripremiato di blockbuster come il citato Seven, Fight Club, The Social Network o Il curioso caso di Benjamin Button che si era già cimentato nella serialità con House of Cards si affianca a Steven Soderbergh, Martin Scorsese e molti altri cineasti che hanno trovato libertà creativa e d’espressione nel formato seriale. In Mindhunter si ritrova lo stile narrativo Fincher, la disamina clinica, distaccata e scevra di prese di posizione dei personaggi, tanto che ogni puntata sembra il capitolo di un’imperdibile saga cinematografica.

5. Prequel e sequel

La serie di Fincher è l’affascinante descrizione di quello che sono stati gli albori della profilazione dei serial killer, della criminologia come la conosciamo oggi.

Lo show è il resoconto meticoloso e suggestivo di un percorso, costellato di gratificazioni quanto di cocenti delusioni e costato l’equilibrio psicologico, l’unità familiare e la pace interiore agli agenti coinvolti. Prequel virtuale della miriade di film e serie dedicati ai vari Hannibal Lecter e Charles Manson – assassini sociopatici finzionali o reali che siano – è diverso da tutti i suoi predecessori, un’esperienza unica per chi non sa resistere alle storie macabre e oscure di questi sfuggenti pluriomicidi.

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