Seleziona una pagina
mercoledì, Dic 18

Missione compiuta: Cosmo SkyMed e Cheops sono nello spazio


Partite con 24 ore di ritardo dalla Guyana Francese, le due eccellenze dello “space in Italy” osserveranno la Terra e misureranno gli esospianeti

La flight mission VS23, che ha portato in orbita Cosmo SkyMed e Cheops (renderizzazione di Cnes/Esa)

Gli applausi in sala controllo, compreso quello del premio Nobel 2019 Didier Queloz, scrosciano a più riprese. Ogni volta fragorosi, come può esserlo una liberazione. È comprensibile: anche al più esperto – o a un Nobel – un viaggio rinviato di un giorno per problemi al software del lanciatore, e poi durato quattro ore filate, deve regalare un bel po’ di tensione.

Alla fine, però, il volo è nominale, come si dice quando tutto fila liscio: 4 ore, 13 minuti e 14 secondi dopo la partenza, avvenuta in Guyana Francese stamattina, quando in Italia erano le 9:54, il razzo Sojuz libera in orbita Angels e il centro di controllo saluta con un urlo l’ultimo dei cinque payload trasportati.

Fra loro, oltre a tre piccoli cubesat (Ops-Sat, EyeSat e Angels, da nemmeno 50 chilogrammi in tutto), anche il primo satellite della nuova generazione di Cosmo-SkyMed, frutto dell’eccellenza italiana nell’osservazione della Terra, e Cheops dell’Esa, che ad aprile comincerà a fornire misurazioni importanti degli esopianeti noti.

Il Csg-1, come è stato battezzato il nuovo Cosmo-SkyMed, era stato rilasciato 22 minuti e 43 secondi dopo il lift-off per essere preso in gestione dalla Stazione di controllo del Fucino circa un’ora dopo (il dispiegamento del radar e dei pannelli solari si completerà entro 24 ore); Cheops si era separato dal lanciatore a due ore e 24 minuti dal lancio. Anche se in ambiti e per motivi diversi, sono entrambe missioni fondamentali per l’Italia dello spazio.

Il Csg-1 di Cosmo SkyMed nella Thermal Vacuum Chamber di Thales Alenia Space (foto: Thales Alenia Space)

Intanto il Csg-1 dà continuità operativa alla prima generazione, che in orbita da dieci anni ormai mostra i segni del tempo – commenta Giancarlo Varacalli, responsabile del programma per l’Agenzia spaziale italianain più introduce nuove caratteristiche e nuove prestazioni, che mantengono il satellite allo stato dell’arte mondiale”.

Quelle di Varacalli non sono parole di circostanza: Cosmo-SkyMed2, finanziato interamente dall’Asi, dal ministero della Difesa e da quello dell’Istruzione, università e ricerca (per un costo complessivo di circa 140 milioni di euro), è la sintesi dell’eccellenza dello spazio “made in Italy”, uno sforzo congiunto di Thales Alenia Space, Telespazio e di tante piccole e medie imprese tricolori (anche la commercializzazione dei dati sarà italiana, curata dalla e-Geos). Il nuovo arrivato in orbita è importante perché ciò che la costellazione ha visto dal 2007, come nel caso del terremoto del Sichuan, in Cina, degli uragani Hannah e Ike ad Haiti, o della recente acqua alta a Venezia, si è rivelato prezioso per le operazioni di soccorso e aiuto umanitario nelle aree disastrate. Con la seconda generazione, che si completerà con il lancio dell’ultimo satellite nel dicembre del 2020, Cosmo-SkyMed promette di alzare ulteriormente i propri standard operativi.

C’è una velocizzazione nel processamento dei dati” conferma Varacalli, mentre ricorda che il tempo necessario per configurare la costellazione e ottenere immagini dell’area desiderata prima variava da 72 ore, in condizioni di routine, a meno di 18 nei casi di emergenza. “La maggiore agilità del satellite consente di acquisire scene che in precedenza erano incompatibili. Significa che il numero e la possibilità di raccogliere immagini aumentano sensibilmente”. Strumento principale di Cosmo-SkyMed è la sua antenna radar ad apertura sintetica (Sar) che lavora in banda X, ed è quindi in grado di scrutare la Terra a qualsiasi ora del giorno e della notte e in ogni condizione meteorologica. È lo stato dell’arte tecnologico nell’aiuto alla previsione di frane e alluvioni, nel coordinamento dei soccorsi in caso di terremoti o incendi, e nell’osservazione delle aree di crisi. Non solo: Csg-1 contribuirà anche al monitoraggio del mare, implementerà l’agricoltura di precisione, la sicurezza e la difesa dei confini. Il satellite entrerà nella fase di qualifica operativa fra tre mesi, dopo un accurato periodo di calibrazione. Non è azzardato dire che diventerà “una sorta di angelo custode” – sorride Varacalli – “in effetti ci aiuterà nella prevenzione delle emergenze, nel caso di disastri naturali o in incidenti anche innescati dall’uomo”.

La posa dei cinque payload sul vettore Sojuz lo scorso 12 dicembre (foto: Cnes/Esa)

La soddisfazione del responsabile di Cosmo-SkyMed fa il paio con quella di Barbara Negri, altra responsabile Asi ma per quanto riguarda l’Osservazione e l’esplorazione dell’universo. È la corretta messa in orbita di Cheops che Negri sta festeggiando: “Cheops, che è un precursore dei prossimi programmi di osservazione degli esopianeti, misurerà le dimensioni di quelli già noti con una precisione senza precedenti. Le dimensioni sono fondamentali perché dal rapporto fra il volume, calcolato dal satellite, e la massa, misurata dal suolo, possiamo dedurre la densità di un pianeta e capire se sia un gigante gassoso, una sfera di roccia, di acqua o di ghiaccio. È bene ricordarlo, stiamo cercando simil-terre”.

Una ricerca che rischia di essere come quella del proverbiale ago perso nel pagliaio: “La detection di pianeti extrasolari dallo spazio conferma o smentisce quello che si vede da terra – risponde Negri, che è anche responsabile della delegazione italiana al scientific program board dell’Agenzia spaziale europea – Cheops percorrerà un’orbita eliosincrona a 700 chilometri dal nostro pianeta, un gran vantaggio rispetto ai telescopi di terra e sarà in grado di inaugurare un vero filone di indagine concentrandosi su 2500 esopianeti fra quelli noti. Abbiamo già un’idea di quanti possano essere i candidati che ci interessano in altri sistemi solari. Qualsiasi informazione aggiuntiva ci consentirà di capire se la nostra ricerca sia sulla strada giusta e suggerirà, per esempio, dove orientare le future osservazioni del James Webb Space Telescope, o quelle delle missioni europee già programmate. Come Plato, che dal 2026 andrà alla ricerca di nuovi esopianeti, oppure Ariel che sarà lanciato nel 2028 e si dedicherà all’analisi atmosferica”.

Il satellite Cheops durante il montaggio (foto: Cnes/Esa)

Intanto Cheops aprirà la sua cover – il tappo – il prossimo 26 gennaio e dopo un periodo di science verification dal primo aprile 2020 comincerà le sue indagini. Frutto della partnership tra la Svizzera e il programma scientifico dell’Esa, cui hanno contribuito dieci paesi diversi, anche il successo di Cheops testimonia l’ottimo lavoro dello Space in Italy: “Cheopssottolinea Negri, “conferma il contributo fondamentale dell’Italia alla ricerca. Siamo un paese che vanta una fiducia crescente da parte dell’Esa per il rispetto delle scadenze e della qualità nella realizzazione degli strumenti: abbiamo già consegnato l’hardware di Euclid, che dal 2022 partira alla ricerca di materia ed energia oscura, così come Solar Orbiter, la missione diretta alla nostra stella che verrà lanciata il prossimo 5 febbraio da Cape CanaveralNon ultimo, la comunità scientifica italiana offre un supporto prezioso anche ai Paesi con cui collaboriamo. Ora la sfida sarà creare una “massa critica” in ambito scientifico, con connessioni anche difficili con gruppi abituati a lavorare stand alone. La scienza, in quanto tale, è senza confini“.

Potrebbe interessarti anche





Source link