Cosa significa moda “sostenibile”? Per rispondere a questa domanda servono almeno quattro dottorati, secondo Matteo Ward. Per ora possiamo almeno “cercare di capire se è fatta in modo responsabile e consapevole, seguendo tutta la filiera dietro ai capi che indossiamo”. Con cinismo e concretezza, nel quinto episodio del Grande Giove, il co-fondatore di WRÅD, studio di design dedicato a innovazione sostenibile e cambiamento sociale, ci accompagna nel mondo della moda.
Vestiti come cibo: vanno scelti sani
Il giro di shopping con Ward non si limita agli scaffali che espongono vestiti e accessori pronti da acquistare e sfoggiare, ma percorre a ritroso tutti i passaggi necessari per la loro produzione. Quelli in cui la moda prende forma e si può davvero capire se sarà sostenibile sia dal punto di vista ambientale che sociale. I due aspetti sono inscindibili, secondo Ward, e ancora troppi sono i progetti e le iniziative che non prestano attenzione a quanto costa, in termini di manodopera, il minimizzare l’impatto ambientale.
Per scardinare questo meccanismo di scelta obbligata tra diritti umani e valori green, secondo il co-fondatore di WRÅD è necessario iniziare a garantire salari equi e giusti per tutti i lavoratori del settore. “La filiera non deve essere costretta a scegliere se guadagnare o inquinare. Se non si mette l’industria in condizioni di essere sostenibile, nulla potrà cambiare” spiega, citando esempi visti con i propri occhi in giro per il mondo, partendo dal Bangladesh.
Un altro tema che sta particolarmente a cuore a Ward è quello della fast fashion. Non ne nega l’esistenza e le responsabilità ma chiarisce che “non è un fenomeno alimentato solo dai giovani, e se i giovani la comprano è perché qualcuno glielo ha insegnato”. Oggi molti capi realizzati con questo tipo di paradigma produttivo continuano ad essere i più comodi e convenienti e, finché non si cambia approccio al consumo, continueranno ad essere i più scelti e offerti. Come cambiarlo?


