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Movimento Lgbtq+, perché la sua storia passa anche da Palermo

da | Ago 12, 2025 | Tecnologia


Nel 1977 aveva manifestato per due mesi contro le continue aggressioni delle forze dell’ordine ai danni degli omosessuali. Celebre l’organizzazione di quello che oggi potrebbe essere definito un flashmob: decine di persone in fila davanti alla pretura di Palermo per consegnare una rosa all’allora pretore della città, Vincenzo Salmeri, che aveva accusato Di Salvo di atti osceni. Pretore che si defilò dal retro del palazzo pur di non affrontare la folla. È stato sempre il Fuori! ad aver trainato le proteste che nel 1980 seguirono l’omicidio di Giorgio e Toni: una giovane coppia di Giarre, nel Catanese. Massimo e Gino erano vicini al movimento, ma non condividevano tutte le idee dei radicali. In particolare, Gino era cattolico, “anche se critico”, precisa Massimo.

Da qui l’unione con Bisceglia e la nascita del primo circolo Arcigay del paese. A Palermo, nel 1980. Per Di Salvo è stata anche un’operazione politica: “Fino a quel momento il partito comunista era stato ostile verso i diritti degli omossessuali, un bacino elettorale che non poteva più essere trascurato”, sostiene. Ma Milani smentisce questa ricostruzione: “Volevamo solo che le nostre battaglie fossero sposate dalla sinistra. Nell’Arci siamo stati un cavallo di Troia, non uno strumento”. Prima di un’irreparabile scissione, il nucleo originario dell’Arcigay e gli attivisti del Fuori! sono persino riusciti a realizzare il primo pride, nel 1981. Così il capoluogo siciliano è stato ancora una volta anticipatore. Ecco perché, secondo Lorenzo Canale, insegnante e studioso della comunità Lgbt+, “merita di essere ricordato come una città chiave nella storia del movimento”.

Eravamo poche decine di persone, a Villa Giulia – ammette Massimo -. Non avevamo né risorse, né il supporto del Comune, e quello che doveva essere un evento di una settimana, è durato solo un giorno. Poi ci sono voluti più di trent’anni per portare il pride nazionale a Palermo. La città non era pronta”.

Intanto Massimo e Gino hanno sempre cercato di premere sull’acceleratore. Nel 1993, quando Palermo era piegata dalle stragi di mafia, hanno scelto di celebrare l’amore con un matrimonio simbolico davanti al Comune. Una festa che per caso quel giorno sposò una manifestazione di precari, come a voler rimarcare che la lotta per i diritti o è trasversale o non lo è. Quando volevano etichettarli, Massimo e Gino si sono sottratti. Uno disegnando nuovi modelli di borse, Massimo. L’altro dietro la macchina da cucire, Gino. Il laboratorio di Ballarò è sempre stato più di un negozio.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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