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venerdì, Apr 16

Narciso nero è una storia conturbante e insolita nonostante i difetti



Da Wired.it :

In questa miniserie un gruppo di suore devote ma anche ambiziose fonda un convento in un palazzo alle pendici dell’Himalaya, dove però dovranno fare i conti con gli spettri del passato e del loro animo

Da quando la piattaforma Disney+ ha inaugurato la nuova sezione Star, il suo catalogo si è ampliato con un gran numero di contenuti che vanno oltre l’orizzonte esclusivamente familiare mantenuto finora e soprattutto portando in Italia contenuti rimasti per vari motivi inediti: l’ultimo esempio in questo senso è Narciso nero. Intitolata in originale Black Narcissus, la miniserie prodotta da Fx e Bbc è ispirata al romanzo omonimo del 1939 della scrittrice britannica Rumor Godden, da cui è stato già stato tratto un film cult nel 1947 con Deborah Kerr. I tre episodi che compongono questo nuovo adattamento, scritto da Amanda Coe e diretto da Charlotte Bruus Christensen, sono piuttosto concisi e nemmeno così profondi, a dire il vero, eppure a dominare, assieme a un grande senso di straniamento, sono l’ambientazione originale e un taglio narrativo decisamente insolito.

Nel 1934, mentre l’Impero britannico nel subcontinente indiano si appresta al suo tramonto, un gruppo di suore si trasferisce a Mopu, un castello abbandonato alle pendici dell’Himalaya, per fondarvi un nuovo convento. A guidare il gruppo di donne è Suor Clodagh, interpretata da Gemma Arterton (Gemma Bovery, Murder Mystery), una giovane devota ma anche ambiziosa, con un doloroso passato amoroso lasciato nella natia Irlanda. Quello che né Clodagh né le altre sorelle sanno è che la loro nuova dimora era un tempo un harem, la cui vita dissoluta è stata macchiata da una terribile tragedia le cui atmosfere oscure si riverberano ancora nel luogo. Determinate a superare ogni ostacolo e anche la diffidenza della popolazione locale, le suore si troveranno intrappolate in un luogo in cui i confini del tempo non esistono più e in cui le tentazioni, incarnate soprattutto dall’affascinante tuttofare Dean (Alessandro Nivola), metteranno a dura prova non tanto la loro fede piuttosto la loro psiche.

narciso nero

Nonostante molti degli spunti che la storia mette a disposizione vengano trattati in rapidità, Narciso nero è un racconto convincente perché fatto tutto di atmosfere tesissime e di immagini suggestive. Il tempio himalayano, con i suoi anfratti vertiginosi, si trasfigura a divenire la più classica delle ambientazioni horror ma i brividi vengono non da presenze soprannaturali bensì dai tormenti personalissimi che animano le giovani suore, in particolare sorella Ruth (Aisling Franciosi), afflitta da un’incessante febbre dell’animo. Anche la fede, qui, è quasi più un contesto che non un tema vero e proprio, ma mostra come le costrizioni esterne siano in qualche modo sempre riflesso delle inquietudini interiori. Su tutto poi aleggia una tensione erotica che, dagli affreschi lussuriosi alle pareti, si traduce nei visi arrossati delle suore o nei loro sospiri angosciati.

L’impianto psicologico della serie è intenso e complicato soprattutto nelle sottotrame di dettaglio (come quella di suor Philippa che, stregata dalla bellezza del luogo, usa l’orto per piantare rose al posto degli ortaggi utili alla sussistenza) e il parallelismo fra le vicende del presente e del passato, pur anch’esse portate avanti con una certa frenesia, tengono avvinti fino alle drammatiche scene finali. Lo stillicidio che porta ognuna delle protagoniste a crollare sotto il peso dell’ambizione e della colpa è una metafora fortissima che riconduce l’orrore più grande alla realtà delle aspettative negate e dell’incomunicabilità più sottile. La recitazione delle varie attrici è altrettanto intensa, anche se bastano le poche scene in cui compare Diana Rigg (già Olenna Tyrell in Game of Thrones), nella sua ultima interpretazione nei panni della Madre superiore, per mangiarsi tutto il cast in un attimo.

Narciso nero è tutt’altro che una serie perfetta ma, nel panorama delle produzioni degli ultimi anni, segna quasi un unicuum che è al contempo interessante e godibile: racconta infatti una storia fuori dal tempo, senza espedienti mirabolanti di storytelling, ma affidandosi solo alla forza narrativa più pura di un’ambientazione per così dire esotica e di personaggi che sono messi completamente in gioco e in balia degli eventi. Come quando sorella Clodagh viene illuminata brevemente dai vividi colori cangianti delle vetrate del palazzo di Mopu, anche lo spettatore si ritrova di fronte a un caleidoscopio di suggestioni inusuali per quanto fin troppo fugaci.

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[Fonte Wired.it]