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lunedì, Lug 15

Nel caso Mihajlovic-Zazzaroni la ragione è tutta da una parte


(foto: Marco Canoniero/LightRocket via Getty Images)

Sinisa Mihajlovic ha la leucemia. La notizia è questa, è forte, arriva potente, annunciata implicitamente dalla mancata partenza del tecnico serbo per il ritiro del Bologna, squadra della quale – la dirigenza rossoblu lo ha detto chiaramente – rimane l’allenatore nonostante la vita gli sia stata stravolta e nonostante, ovviamente, abbia oggi ben altre priorità.

I social network si sono riempiti di messaggi di incoraggiamento per l’ex centrocampista di Inter, Lazio, Roma e Serbia: nessun tifo – se non per lui – e tanto affetto. Moltissimi hanno usato le metafore calcistiche per dare forza all’allenatore. E lo stesso Mihajlovic ha utilizzato quella della battaglia:“Questa la vincerò per la mia famiglia e per tutti quelli che mi sono stati vicini, da sempre”. A commuovere è stata innanzitutto la sua lucidità di pensiero, il suo lessico diretto, senza formalismi. Il solito.

E poi c’è la storia di Zazzaroni. Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, che ha messo in pausa il proprio profilo Twitter dopo aver dato la notizia in anteprima. Le cose sono andate così: Zazzaroni conosce la verità – come tanti – e interpella Mihajlovic, il quale non risponde ai suoi messaggi e a quelli di altri (ha scoperto di aver la leucemia, come non comprenderlo). Zazzaroni decide di scrivere poche righe sul Corriere dello Sport, non dà i dettagli, non dice il nome della malattia. Ma la notizia la dà. Mihajlovic dice chiaramente in conferenza stampa che l’amicizia di vent’anni è rovinata, perché comprensibilmente avrebbe voluto – dovuto – dire lui a tutti del perché non era partito per il ritiro.

Giornalisticamente parlando, Zazzaroni non ha espressamente violato le regole deontologiche. Nel 1995, l’Ordine dei giornalisti emanò la Carta dei diritti del malato di Perugia, contenente indicazioni importanti su come il giornalista debba trattare l’argomento malattia. L’articolo 1 della Carta dice: “Sono pregiudiziali in ogni processo di comunicazione la valutazione dell’interesse generale, il rispetto del diritto del cittadino-paziente alla tutela della propria dignità personale, il diritto del cittadino-utente a un’informazione corretta e completa”. Zazzaroni non ha diffuso dettagli, è vero, ma ha tradito la volontà di una persona, peraltro sua amica.

Il punto infatti qui è personale, umano, non tanto professionale. C’è un uomo colpito dalla più grande sciagura che possa colpire, che indice una conferenza stampa e chiede riserbo. E un altro che decide di dare la notizia per primo, senza tener conto di un desiderio espresso esplicitamente. “Ognuno fa come vuole” è la frase di Mihajlovic: ed è proprio così. È tutto racchiuso in due parole: umanità e opportunità. Lo stesso Zazzaroni ha dichiarato che non lo rifarebbe. In questo momento, però, restano solo gli occhi di Mihajlovic, e quella frase: “Non sono lacrime di paura, io la malattia la rispetto”. Rispetto per tutti, paura di nessuno, per tornare a una frase del calcio che solitamente sembra fatta e stavolta non lo è. Tante volte accusiamo il calcio di essere artefatto, eppure qui c’è qualcosa che arriva nella vita vera, che ci dice che tutto quel che sembra finzione può diventare realtà da un momento all’altro.

Il calcio, sì, quello sport che sposta gli equilibri di un’intera nazione, dove la vita si mischia con il gioco, dove esiste il coraggio di calciare da fuori anche se la distanza tra palla e porta sembra incolmabile, dove si fa fallo, si chiede scusa, ci si aiuta a rialzarsi. Esiste la paura di non farcela a vincere, a pareggiare i conti: sotto di un gol, all’inizio del secondo tempo, con le lancette che girano sempre più veloci quando si è in svantaggio. Quella paura lì. La paura che Sinisa non ha.

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