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Nell’antico Egitto gli oppiacei circolavano parecchio

by | Nov 23, 2025 | Tecnologia


Uno studio di follow-up del 2024 ha confermato i risultati, individuando inoltre tracce di pinoli o olio di pino mediterraneo, liquirizia, sali di acido tartarico riconducibili alla stessa bevanda fermentata e residui di fiori di cleome, una pianta nota per le sue proprietà medicinali.

La diffusione degli oppiacei nell’antico Egitto

Adesso possiamo aggiungere anche gli oppiacei all’elenco delle sostanze farmacologiche utilizzate dagli antichi egizi. Gli autori del nuovo studio si sono concentrati su un vaso in alabastro in particolare, conservato al Yale Peabody Museum. Il recipiente è intatto (una rarità) ed è inciso in quattro lingue antiche; tra gli altri contiene un riferimento a Serse I, che regnò sull’Impero achemenide dal 486 al 465 a.C.

Ad attirare l’attenzione dei ricercatori è stato un residuo marrone scuro sulle pareti interne del vaso. In passato gli studiosi avevano ipotizzato che questi contenitori contenessero cosmetici, profumi o addirittura messaggi segreti tra un sovrano e i suoi funzionari. Ma sono note anche numerose ricette di farmacopea tramandate in opere come il Codex di Anicia Giuliana della De materia medica di Dioscoride. Per le analisi, gli autori hanno utilizzato strumenti non invasivi, tra cui analizzatori Xrf portatili (pXrf) e spettroscopi infrarossi a trasformata di Fourier portatili (pFtir).

I risultati hanno evidenziato la presenza di tracce distinte di diversi biomarcatori dell’oppio, tra cui noscapina, idrocotarnina, morfina, tebaina e papaverina. La scoperta è coerente con un precedente rinvenimento di residui di oppiacei in altri vasi egizi in alabastro e in piccole brocche cipriote provenienti da una tomba di mercanti a sud del Cairo, risalenti al periodo del Nuovo regno (XVI–XI secolo a.C.).

Secondo gli autori dello studio, queste conclusioni impongono di rianalizzare i vasi in alabastro dell’antico Egitto rinvenuti nel corso degli anni, che potrebbero a loro volta contenere tracce di antichi oppiacei. Un buon punto di partenza, suggeriscono, sarebbe rappresentato dai vasi rinvenuti nella tomba di Tutankhamon nel 1922 dall’archeologo Howard Carter, molti dei quali presentano lo stesso residuo organico scuro e viscoso. Un primo tentativo di studiarli risale al 1933, quando Albert Lucas condusse uno studio preliminare senza però disporre della tecnologia necessaria per identificare i composti (Lucas riuscì comunque a stabilire che non si trattava né di unguenti né di profumi). Da allora, nessuno ha più tentato un’analisi.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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