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venerdì, Ago 02

Nevermind è la vera chicca italiana dell’estate, un film fuori da ogni definizione


Storie assurde che raccontano frustrazioni, ossessioni e paure condite di umorismo grottesco. Eros Puglielli è tornato con un film pieno di idee rovinato da una realizzazione non sempre all’altezza. Dall’1 agosto al cinema

Un giorno sarà necessario un libro, anche grande, corposo e dalla stesura lunga e travagliata per spiegare l’incredibile carriera di Eros Puglielli. Talento sempre sul punto di esplodere del cinema italiano ma frustrato da mille difficoltà e raramente capito, è l’Antonio Cassano del nostro cinema (senza il carattere da ragazzino). Portatore sano di quella dote rarissima che è il pensiero divergente, capace di numeri che nessuno in Italia nemmeno tenta e in grado di porsi le domande che contano (come possiamo vivere e rimanere sani assieme agli altri?), ha avuto scarsa fortuna al cinema a inizio anni 2000 con Tutta la conoscenza del mondo e Occhi di cristallo, finendo per ripiegare sulla televisione diventando mestierante di lusso per fiction generaliste.

È tornato alla sala nel 2018-2019 con una doppietta che sembra  pensata da uno studio di produzione americano. Ha girato Copperman (che pare in tutto e per tutto un film per la produzione, cioè girato su commissione) e ora esce Nevermind, sempre prodotto da Minerva (che invece è proprio un film 100% Puglielli, con tutte le sue stranezze ed ossessioni). Verrebbe da dire che il suo modello è Storie pazzesche, il film argentino di qualche anno fa, se non fosse che Puglielli raccontava queste storie in questa maniera già nei suoi corti di fine anni ‘90 e che se proprio un’ispirazione c’è, va cercata più in profondità arrivando (almeno!) fino a Ai confini della realtà.

Niente fantascienza però, solo episodi assurdi e storie paradossali, apparentemente slegate tra loro (in realtà blandamente unite da intrecci occasionali). Una segretaria di uno studio di avvocati è ossessionata dalla mania del suo capo di ravanarsi le parti intime e poi toccare tutto; una baby sitter bisognosa di denaro è assunta da una famiglia per badare a un bambino che non riesce a trovare; un imprenditore in crisi va a cercare soldi da un vecchio amico in provincia; un cuoco ossessionato da un rivale insopportabile vuole cancellarlo dalla sua mente; uno psicologo pare perseguitato da un carroattrezzi che lo mette sotto.

In queste cinque storie paradossali (non tutte al medesimo livello) c’è  un momento in cui scopriamo che i protagonisti stessi sono schizzati, piegati  da una società che li fiacca con la blanda costanza con cui le onde sbattono sugli scogli. Finiscono in una spirale di assurdità in cui sembra che il mondo complotti contro di loro ma in realtà sono loro ad avere reazioni da fobici. Non solo il mondo è assurdo, ma lo siamo noi in primis. Molte di quelle narrate infatti sono idiosincrasie quotidiane non difficili da riconoscere (l’ansia della competizione, la paura del fallimento, il terrore dell’essere inadeguati, il disprezzo per un mondo che si è abbandonato, la repulsione).

Purtroppo non tutto quadra in Nevermind né  scorre liscio, spesso si ha l’impressione che la realizzazione non sia all’altezza delle idee, ma quelle ci sono e come! A volte quasi troppe in  poco tempo (la trovata fenomenale dello Spugnetto quasi si perde in un episodio densissimo). Quello di Puglielli è un cinema di ossessioni, persecuzioni, fobie, in cui chi guarda il mondo è prigioniero di se stesso, delle convinzioni con cui sembra nato. Il tutto rivoltato in chiave di commedia nerissima ed esilarante.

Non è quindi quello della presa sul pubblico il problema del film, perché di eventi ce ne sono tantissimi, è semmai  di realizzazione che passa dalle trovate buone se non geniali, a momenti tirati via. La qualità altalenante della recitazione, della scelta degli ambienti e della tenuta della messa in scena impedisce un vero crescendo (anche perché con 5 episodi staccati non può esserci vera armonia). La sua capacità indubbia di flirtare con il grottesco avrebbe potuto salvare Nevermind ma la si intravede a macchia di leopardo. Che dietro ci sia un budget contenuto è evidente e l’impressione finale è che la scrittura sia migliore del prodotto finito. I  limiti del film fanno rabbia solo perché dietro c’è un motore indubbiamente potente.

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