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lunedì, Ott 28

Nextdoor, perché un social network investe sui vicini di casa


Per Nextdoor la promessa è abbattere le distanze anche nei quartieri. Dando rilievo alle conoscenze di vicinato e all’economia locale

Un anno di Nextdoor in Italia (Foto Nextdoor)

Negli anni Ottanta Howard Schultz, il manager che ha comprato e portato al successo planetario la catena Starbucks, era a Milano per un viaggio di lavoro e scoprì che nei caffè italiani si serviva l’espresso e si viveva “la dolce vita”, cioè un momento di socialità che andava oltre l’aspetto utilitario del caffè. Schultz tornò in America e il resto è storia nota a tutti.

È molto meno noto che negli ultimi trent’anni un altro manager e imprenditore sia venuto alcune decine di volte in Italia, soprattutto per vacanza, sempre più affascinato dai nostri quartieri, dalla capacità di socializzare e creare una qualità di vita locale sana e soddisfacente. L’imprenditore si chiama Nirav Tolia, 47 anni di Odessa, in Texas, ma figlio di immigrati indiani arrivati negli Stati Uniti “con soli 100 dollari in tasca”, ed è a tutti gli effetti un uomo di successo. È uno dei fondatori di Nextdoor, il social network “locale” nato 11 anni fa e che in Italia ha appena compiuto un anno.

Nirav ha cominciato nel cuore della Silicon Valley una vita fa: è stato il dipendente numero 87 di Yahoo! e poi ha passato attraverso alcuni dei grandi del tech prima di diventare creatore di aziende. Nel 2008 assieme a Sarah Leary, Prakash Janakiraman e David Wiesen ha creato Nextdoor con l’idea di fare quello che vedeva ogni anno in Italia: uno strumento social rispettoso della privacy delle persone e che funziona a livello di vicinato.

Due anni fa si è dimesso da amministratore delegato dell’azienda, di cui mantiene il ruolo di presidente, e da poche settimane si è trasferito con la moglie e i figli piccoli a Firenze, dove insegna per un anno alla sezione distaccata della prestigiosa università californiana di Stanford (a Firenze, come a Roma e in altre città italiane, sono presenti varie filiali di grandi università americane). Il tema del suo insegnamento? Imprenditoria e Rinascimento fiorentino, perché i due temi nella mente di Nirav vanno molto d’accordo, e sono anche il cuore di Nextdoor. “La connessione con il Rinascimento – spiega a Wired – è legata all’idea di umanesimo. Al centro l’uomo, l’essere umano. Agli studenti di Stanford insegno questo: la tecnologia è un mezzo, gli individui e i loro bisogni sono il fine”.

Nirav Tolia fondatore di Nextdoor (Foto Nextdoor)
Nirav Tolia fondatore di Nextdoor (Foto Nextdoor)

Il social network di vicinato

L’amore per la vita, il vicinato, il campanilismo “sano”, sono alcuni dei valori che secondo Nirav l’Italia può insegnare al resto del mondo. Nextdoor ne è un esempio: per iscriversi bisogna dimostrare di vivere effettivamente in un certo quartiere, dopodiché ci si collega con il proprio nome e si dà visibilità al proprio indirizzo (almeno alla strada). La privacy è garantita dal fatto che solo gli altri membri di zona del social, gli abitanti del quartiere, possono cercarci e trovarci. Il modello di business? La pubblicità locale, cioè quella dei business locali. I quali possono aprire una pagina gratuitamente (in Italia è stata appena avviata questa possibilità) e poi spendere pochi soldi per fare promozione.L’idea – dice Nirav – è che quando i business locali vanno forte, le comunità vanno forte”. E parliamo di idraulici, panettieri, bar, baby sitter, lezioni di chitarra.

Dietro a Netxdoor c’è una filosofia ma anche una analisi della contemporaneità che è molto più sofisticata di quanto non possa apparire. I social media hanno azzerato le distanze, creato un “mondo piatto”, per dirla con Thomas Friedman, che fa da cassa di risonanza per la globalizzazione e la cui ideologia è incarnata dalle piattaforme planetarie del tech come Amazon, Facebook, Google e Qual è l’alternativa? La localizzazione, cioè lo spazio antropologicamente sostenibile e concepibile, in cui la tecnologia aiuta a tracciare ed aggregare la vita di quartiere.

L’Italia ha risposto molto bene a questa idea: in un anno siamo cresciuti venti volte di più di quanto non fossimo cresciuti il nostro primo anno negli Usa”, dice Nirav. Nextdoor è presente in undici paesi, sta crescendo dopo aver raccolto circa trecento milioni di dollari di finanziamenti e ha poche decine di dipendenti, come è tipico delle aziende fortemente orientate alla tecnologia.

Nirav Tolia fondatore di Nextdoor con il community manager italiano Andrea Galano (Foto Nextdoor)
Nirav Tolia fondatore di Nextdoor con il community manager italiano Amedeo Galano (Foto Nextdoor)

Focus sulla privacy

La cosa particolare però è che Netxdoor è nato con il dna di un social locale, che ci tiene alla privacy degli utenti, alla fiducia, all’intimità delle loro conversazioni. Un’idea nata in tempi non sospetti, alla fine degli anni zero, prima di tutte le polemiche e i dibattiti sulla privacy, prima del Gdpr europeo. Un social nato con l’idea della “privacy by design” che all’epoca aveva creato anche molto scetticismo perché l’idea era invece quella della monetizzazione degli utenti (che per Nextdoor sono invece “membri”).

Le difficoltà iniziali, accentuate anche da problemi legati al rischio profilazione razziale degli utenti, sono state superate forse completamente. C’è chi però vede i social media come uno strumento che esacerba la paranoia dei cittadini oppure fa emergere paure neanche troppo latenti sugli “altri”, siano essi stranieri o semplicemente diversi. La collaborazione con la polizia (locale e non) può essere uno strumento utile alle comunità oppure un meccanismo di profilazione e di chiusura delle comunità ricche e bianche su se stesse.

In ogni caso, le difficoltà non hanno fatto chiudere Nextdoor, tutt’altro: in un certo senso hanno favorito un modello di crescita organico, lento, costante, solido – sostiene Nirav – perché sono le aziende cresciute moltissimo in poco tempo quelle che rischiano di precipitare altrettanto velocemente nel disastro, come WeWork, per esempio.

I “locative media”, espressione usata dai sociologi americani per indicare i social media geolocalizzati, fanno parte di tre grandi tendenze. La prima: il fatto che tutti possano avere una voce su internet, cosa questa che permette di avere conversazioni di qualità diversa. Secondo Nextdoor, se a parlare sono meno persone che si conoscono perché abitano vicino la qualità della conversazione migliora. Diventa più favorevole il rapporto segnale-rumore, per dirla come gli ingegneri della Silicon Valley ancora affascinati dalla teoria dell’informazione di Claude Shannon.

La seconda tendenza è quella della valorizzazione della parte local di glocal, parola nata dalla crasi di globale e locale, e che serve per indicare i due lati della rete: avvicinare le lontananze ma anche, potenzialmente, le vicinanze.

Nirav Tolia fondatore di Nextdoor con una iscritta (Foto Nextdoor)
Nirav Tolia fondatore di Nextdoor con una iscritta (Foto Nextdoor)

Affari di vicinato

Infine, il lato del business. “Adesso è facile dire che bisogna investire di nuovi sul locale – dice Nirav – ma la realtà è che il mondo sta diventando sempre più mass market e grande distribuzione organizzata, territorio di Amazon e dei colossi del retail, popolato degli stessi marchi e degli stessi prodotti su tutto il pianeta. Penso invece che ci sia una enorme energia a livello locale che attende solo di essere liberata”.

Dietro questa energia c’è il lavoro dell’azienda: la mappatura dei quartieri di tutto il pianeta, il lavoro di apertura nelle nuove geografie, con calma e scegliendo le persone giuste che dovranno operare. La cura nell’infrastruttura cloud dietro l’app di Nextdoor. Il lavoro per far partire le comunità locali e poi per stimolare le piccole aziende, invogliandole a entrare. Quando si crea un social media in cui si muovono milioni di persone in tutto il mondo le storie, le emozioni e le aspettative diventano enormi.

I numeri del primo anno di Nextdoor sono positivi, le città più grandi vanno forte (Roma, Milano, Firenze, Torino, Bologna) e anche i rapporti con le istituzioni locali vengono costruiti per cercare di fornire una piattaforma che facilità i servizi dei comuni oltre che dei gruppi di persone. L’idea di fondo rimane la stessa del principio: ricucire le piccole distanze, dopo che i social tradizionali hanno gettato ponti attraverso i continenti dimenticandosi di cosa abbiamo davanti a casa. Superare la malattia tipica di internet: la presbiopia sociale, per cui si vedono bene le cose lontane ma non si riesce a mettere a fuoco quel che accade davanti a noi.

Nove anni dopo – dice Nirav – sembra ovvio ma all’inizio tutti erano convinti che avremmo fallito, che stessimo andando contromano. Invece, quel che facciamo è diverso da quello che fanno gli altri social e oggi siamo i soli a farlo: connettere le persone che vivono nello stesso posto. È rivoluzionario come scendere al bar in piazza e prendere un caffè: l’Italia l’ha insegnato al mondo e noi vogliamo essere forti di quella esperienza”.

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