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mercoledì, Set 25

No Man’s Sky ed Elite Dangerous: esplorare lo spazio in Vr non è mai stato così bello


Perché la continua evoluzione dei due videogame fantascientifici, ora in realtà virtuale, è il modo migliore di concepire universi paralleli

“No Man’s Sky” (immagine: Hello Games)

Come per i grandi giocatori di carte, l’inizio di una partita dice tutto. E l’inizio di No Man’s Sky è un viaggio di quelli che letteralmente, anzi in maniera fisica, vi fanno sentire come se steste attraversando il cosmo a una velocità smodata, fra galassie, stelle e pianeti che sfilano tutt’attorno. Soprattutto se, la partita, la cominciate con un visore Vr sugli occhi, cosa che solo il più recente aggiornamento gratuito, Beyond, permette di fare.

Vale lo stesso per Elite: Dangerous, non a caso un altro gioco ad ambientazione spaziale e non a caso un’esperienza rigogliosa se vissuta in virtual reality: per Elite: Dangerous l’inizio del match è segnato dal logo, sorta di uccello stilizzato e in tre dimensioni al centro dello schermo nero, a mo’ di monolite kubrickiano, quello che le scimmie di 2001 temono fino all’adorazione.

L’incipit monumantale di “Elite: Dangerous” (immagine: Frontier Developments)

In fondo, No Man’s Sky ed E:D sono già tutti lì: una viscerale esperienza esplorativa di mondi sconosciuti, il primo, e un monumentale simulatore della difficoltà di scorrazzare per il cosmo, l’altro.

Beninteso, i due giochi sono vecchi come il cucco. No Man’s Sky, sviluppato da Hello Games, ha debuttato nel 2016 e le critiche che ne hanno smantellato l’hype della vigilia hanno rischiato di decretarne la fine in maniera prematura. Elite: Dangerous è addirittura del 2014 ed è considerato territorio proibito da chi, in un videogame, cerchi la rassicurante sempliticità dello svago cotto e mangiato. È però una Bibbia per chi trovi il tempo di leggerne ogni pagina.

Dei due titoli scriviamo adesso perché sono, entrambi, in evoluzione continua. E perché tutti e due si sono da poco arricchiti con espansioni che evocano frontiere ancora là da venire. Non è un caso che anche per Elite:Dangerous l’aggiornamento pubblicato settimana scorsa si inserisca nella stagione battezzata Beyond dagli sviluppatori, i britannici di Frontier Developments.

“Elite: Dangerous” (immagine: Frontier Developments)

È una progressione pensata così bene da far sorgere il sospetto che, prevista fin dall’inizio, Hello Games l’avesse rimandata solo per scarsità di risorse. Oppure, nel caso di E:D, così ricca da suggerire che Frontier Developments sapesse da sempre di essere destinata al Bafta cui il gioco, quest’anno, era candidato (per “Best evolving game”, guarda un po’).

Per comprendere la portata dei due videogame, conviene però partire dall’inizio, tralasciando di recensire gli aspetti tecnici o quelli più strettamente ludici. Quel che qui importa è sottolineare come No Man’s Sky ed E:D, oggi, rappresentino il meglio dei game-as-a-service, quei mondi persistenti e in divenire resi celebri da titoli come World of Warcraft. Ma anche, se non soprattutto, come rivelino l’apice di questo approccio, vale a dire la capacità di impreziosire un’esperienza e un mondo di gioco fino quasi a stravolgerli. Ma rendendoli sempre più belli.

Descrivere No Man’s Sky o E:D come “simulatori di volo spaziale” sarebbe riduttivo. Il gioco di Hello Games forse non ha mai avuto nemmeno l’intenzione di esserlo: No Man’s Sky è piuttosto un universo aperto e generato in maniera procedurale in cui 18.446.744.073.709.551.616 pianeti (un numero che per essere esplorato fino alla fine richiederebbe 585 miliardi di anni al ritmo di un pianeta al secondo) vantano ciascuno il proprio ecosistema. Girando a piedi o su astronavi sempre più potenti, i giocatori possono ottenere informazioni sugli ambienti e condividerle online per garantirsi una ricompensa in denaro. Ognuno deve comunque procacciarsi materie prime e schemi per migliorare il proprio equipaggiamento, per acquistare e potenziare le astronavi, o per commerciare e viaggiare sempre più a fondo nel centro della galassia.

Più semplicemente, il giocatore deve attrezzarsi per sopravvivere all’ignoto, costruendosi mezzi, basi e, chissà, prima o poi anche una casa dove rimanere più a lungo. Fra la miriade di migliorie, la possibilità di vivere tutto questo potendoci stare dentro, stricto sensu, in realtà virtuale regala un’esperienza mai provata prima: non è solo la meraviglia di guardarsi intorno, di usare gli attrezzi sulla propria tuta spaziale ammirandosi le braccia digitali (strepitosa la risposta dei controller di Oculus o Vive), o di decollare osservando l’universo dal cockpit della propria navicella; a fare la differenza è la percezione fisica della propria piccolezza dentro l’infinito, la consapevolezza di un isolamento sconfinato. E nell’ignoto è un piacere stupirsi di continuo.

Discorso simile ma diverso per Elite: Dangerous, che pure è una sorta di reboot di Elite, titolo dal 24 settembre disponibile gratuitamente con cui David Braben, titolare di Frontier Developments, nel 1984 creò il genere degli space-simulator, ambienti spaziali in cui, a bordo di astronavi stilizzate, era possibile fare qualsiasi cosa vi venisse in mente: dall’esplorazione alla pirateria, dal contrabbando al commercio legale. Il tutto condito da una fisica capace di riprodurre correttamente le distanze astronomiche e le velocità a cui percorrerle. Questo, limitandosi all’apparenza: ai tempi, infatti, Elite venne giustamente interpretato come un simulatore di capitalismo intergalattico, più che di viaggi interplanetari. Al suo interno tutto era fattibile, a patto di subordinarlo alla pecunia spaziale, che andava accumulata per accaparrarsi navi e attrezzature sempre più performanti.

Se oggi Elite: Dangerous si fosse limitato a riproporre sotto una nuova veste tecnologica la cosa, sarebbe comunque un piccolo capolavoro. Il fatto è che il gioco di Frontier Developments è così stratificato da aver generato non solo una miriade di Han Solo digitali davvero preparati; soprattutto, fra le sue galassie, tessere legami più o meno estesi con giocatori veri è possibile, consigliato e, soprattutto in realtà virtuale, è la cosa più divertente possiate fare.

La nuova espansione non solo, con la New Starter Experience, punta ad arrotondare la ripida curva di apprendimento, quella che per cominciare a pilotare discretamente richiedeva ore di fallimenti e bestemmie cosmiche. Il dlc anticipa, per ogni giocatore, la possibilità di comandare navi gigantesche, le Fleet Carrier, in grado di trasportare fino a 16 altri velivoli e comandanti (veri). Il sistema di alleanze e di riconoscimenti ufficiali delle comunità spontanee di gioco – presente da tempo, ma via via implementato – insieme con la nuova valuta digitale, i crediti Arx accumulabili in game per acquisti cosmetici, fanno il resto: giocare intensamente a E:D significa immergersi ben oltre universi sconosciuti, dentro dinamiche sociali peculiari, fra gigantesche gilde o gruppi formatisi al solo scopo di rifornire i giocatori persi nel cosmo o depredarne il cargo. È una vita parallela, di cui lo spazio è solo il simbolo dell’estrema libertà di azione e collaborazione.

Le stazioni orbitanti di “Elite: Dangerous” (immagine: Frontier Developments)

Questo sono, oggi e anni dopo il loro debutto, No Man’s Sky ed Elite: Dangerous: la trasposizione digitale di sensazioni fisiche di fronte all’immenso, il primo, e l’ipotesi in pixel di una socialità più umana dell’umano, perché avulsa dalla culla e dalla responsabilità terrestre, il secondo.

È vero: i menu di No Man’s Sky sono in alcuni casi difficili da comprendere prima ancora che da gestire, e per essere goduta appieno l’esperienza in vr obbliga ad avere un pc muscoloso. Ed è altrettanto vero: Elite: Dangerous potrebbe lasciare ancora i cercatori di svago orfani di un binario preciso cui affidare il proprio destino.

Ma vista l’evoluzione di questi anni, siamo solo alle prime mani. Conta di più ricordarsi che proprio su queste i grandi giocatori impostano la vittoria.

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