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sabato, Feb 08

Non solo coronavirus: leggende e realtà sulle malattie fuggite dal laboratorio



Da Wired :

Alcune teorie del complotto parlano del coronavirus come di un’arma biologica. Una leggenda che ritorna, ma ispirata a fatti reali e alimentata dalle nostre paure

A Roma, una farmacia avvisa i clienti che le mascherine sono esaurite. Tuttavia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, solo chi ha sintomi respiratori, assiste un malato, o è un operatore dovrebbe indossarle. Non sono indicate per la popolazione generale (foto: Alberto Pizzoli/Afp via Getty Images)

L’epidemia causata dal virus 2019-nCoV è cominciata lo scorso dicembre. Ma solo a gennaio, con l’identificazione del nuovo coronavirus e il superamento dei confini cinesi, è cominciato il delirio mediatico. Non c’è voluto molto perché riemergesse l’ipotesi del virus fuggito dal laboratorio: bioarma o incidente nella preparazione di un vaccino?

Come al solito, bisogna evitare di dare la colpa a internet per la diffusione di queste ipotesi complottiste, per almeno due ragioni. Una è che la voce circola anche sui media tradizionali e in bocca a personalità note (da noi Paolo Liguori su Tgcom24). L’altra è che il genere non è nuovo: precede di molto la rivoluzione digitale e la troviamo aleggiare nella storia di molte epidemie e pandemie, da quella di hiv/aids a Zika. E in realtà ci sono esempi anche più lontani nel tempo. Sofia Lincos del Centro per la raccolta delle voci e leggende contemporanee per esempio ricorda una testimonianza relativa al 1835 dello scrittore Vittorio Bersezio sul colera a Torino, che secondo le voci era somministrato dai medici per eliminare i poveri.

Non solo fantascienza

È importante ricordare che queste teorie del complotto prendono spesso spunto da tecnologie ed episodi reali. Il concetto di arma biologica esiste da secoli, e dal XX secolo siamo effettivamente in grado di usare la ricerca scientifica per modificare e moltiplicare malattie infettive anche per scopi militari. Dal 1975 una convenzione internazionale vieta l’uso e lo sviluppo di queste armi, ma i laboratori rimangono a scopo difensivo. Anche nel settore civile si modificano malattie infettive, per poterle curare, ma c’è un acceso dibattito sui rischi di alcuni studi. Per esempio il caso dell’influenza aviaria H5N1 che nel 2011 è stata modificata per trasmettersi ai furetti, cioè gli organismi modello usati per gli studi sull’influenza. Prima della modifica si poteva diffondere facilmente solo tra gli uccelli, e per alcuni i rischi superano i benefici. La paura che un agente infettivo possa fuoriuscire da un laboratorio militare o civile, intenzionalmente o meno, non è quindi campata in aria. Anche perché è già successo.

Le vere malattie fuggite dal laboratorio

L’epidemia di influenza H1N1 del 1977-78 è l’esempio più famoso. Il ceppo, che emerse in Cina e Russia e si diffuse nell’emisfero settentrionale, era quasi uguale a quello in circolazione negli anni ’50. L’unica spiegazione è che il virus del 1977 derivi da campioni raccolti e conservati decenni prima. A oggi non si sa né quale sia il laboratorio (o i laboratori) da cui è uscito, né cosa sia successo esattamente. L’ipotesi del rilascio volontario è quella giudicata più debole: sembra che H1N1 non fosse molto studiata come arma all’epoca. Ma potrebbe essere stato un incidente durante la preparazione di un vaccino per i militari: l’anno prima H1N1 aveva ucciso una decina di soldati in una base Usa e si temeva l’arrivo di una nuova influenza Spagnola. Oppure può essere stato un incidente causato da una falla nei sistemi di biosicurezza. Per fortuna i danni dell’epidemia H1N1 del ’77 furono molto limitati. Il virus aveva una mortalità stimata inferiore a quella dell’influenza stagionale. Inoltre, siccome era un virus vecchio, colpiva solo i giovani sotto i 26 anni, che non avendolo mai incontrato non avevano sviluppato immunità.

Nel 1979 c’è stato invece l’incidente di Sverdlovsk, nel quale 100 civili (una stima) morirono per la fuga accidentale di antrace (un batterio) da un laboratorio militare in Russia. La causa? Durante la manutenzione di un impianto di scarico non era stato rimesso il filtro, così le spore del batterio si sono disperse. Come a Chernobyl, errori di design e umani hanno creato il disastro. Come a Chernobyl, si cercò di insabbiare. La verità fu ammessa solo nel 1992.

In altri casi il danno è stato ancora più limitato, ma non ha destato meno preoccupazione. Per esempio dopo la fine dell’epidemia Sars del 2003 (un altro coronavirus) ci sono stati alcuni incidenti dove il virus allo studio è riuscito a uscire dai laboratori infettando del personale, anche se non lavorava direttamente al virus. Fortunatamente c’è stata una sola vittima, la madre che aveva accudito una studentessa che si era ammalata all’istituto di virologia di Pechino.

Complotti, propaganda e paure

Questi episodi ci ricordano l’importanza della biosicurezza in un mondo globalizzato, ma di per sé non dovrebbero rendere più credibili le narrazioni cospirazioniste. Per esempio le voci sul nuovo coronavirus come arma o errore nella ricerca di un vaccino sono state rapidamente smentite dalla comunità scientifica mondiale, per la quale non c’è alcuna prova di un’origine artificiale del patogeno. Ma queste teorie hanno successo, non solo per loro loro apparente plausibilità tecnica: se il virus è artificiale, allora esiste qualcuno a cui dare la colpa. Per ora abbiamo un ex-agente israeliano che, dalla testata conservatrice Washington Times, parla (senza prove) di un programma per la guerra biologica cinese. Nel frattempo in Russia diversi siti pro-Cremlino ritengono sia un complotto per indebolire la Cina e vendere vaccini.

Anche in questo caso, non è la prima volta. Negli anni ’80 è si è diffusa la leggenda che la Cia fosse responsabile dell’epidemia di hiv/aids. Oggi sappiamo che si è trattato di un’operazione di spionaggio da parte del blocco sovietico, la famigerata Operazione Infektion. I creatori della teoria del complotto avevano mischiato abilmente verità e finzione, specificando che la nuova malattia era stata sviluppata a Fort Detrick, uno dei centri statunitensi per la guerra batteriologica. Anche il batterio che causa il morbo di Lyme, trasmesso dalle zecche, sarebbe stato creato in questa famosa base (e in altre su suolo americano) durante la guerra fredda. Un’ipotesi che ha poco senso, visto che esistono campioni di fine ‘800 dove il patogeno era già presente. Eppure la scorsa estate un deputato repubblicano ha chiesto al Pentagono, sull’onda di un libro e di un documentario che sostenevano la teoria, di indagare sulle zecche usate come bioarma.

Con l’ultima epidemia di Ebola, invece, tra il 2014 e il 2016, le voci dicevano che servisse per ridurre la popolazione globale. O che, ancora una volta, fosse stata creata per vendere la cura. Una narrazione simile si è sviluppata per il virus Zika. In Brasile e altrove gli scettici davano la colpa dell’infezione a una ditta britannica, che nel 2011 aveva liberato zanzare ogm per contrastare un’epidemia di dengue (quindi sarebbe stato un incidente, ma comunque degli occidentali). Oppure c’era lo scenario fine-di-mondo, con Zika come arma per de-popolare propedeutica all’installazione dei un nuovo ordine mondiale. In pratica la stessa teoria (malattia evasa) può mutare e diventare portatrice di un messaggio (contro ogm, Big Pharma, una potenza straniera, il governo), che trovati gli ospiti giusti viene amplificato. Come ha scritto New York Times nel 2014 a proposito di ebola:

“Le teorie del complotto sono sempre andate di pari passo con le notizie, offrendo spiegazioni ombra per eventi stressanti e complicati. Anche se sono solitamente respinte come un mix distruttivo di menzogne e sciocchezze, spesso riflettono le paure della società”.

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[Fonte Wired.it]