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mercoledì, Giu 26

Non solo l’ l’Europa intera se ne frega dei 42 migranti della Sea Watch


Strasburgo che respinge il ricorso al blocco della nave, è il sintomo di un disinteresse generale alla questione dei migranti (e dei morti) nel Mediterraneo. Intanto la capitana Rakete minaccia di attraccare lo stesso

Da due settimane la nave della ong Sea Watch si trova al largo di Lampedusa. A bordo ci sono 42 persone migranti, a cui viene negato lo sbarco sulle coste italiane a causa della politica dei porti chiusi. Qualche giorno fa, la capitana della nave e i migranti a bordo hanno invocato l’articolo 2 sul diritto alla vita e l’articolo 3 sul divieto di trattamenti inumani e degradanti della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Questo per avere un via libera allo sbarco, ma la Corte europea dei diritti dell’uomo ieri ha deciso di non dare seguito alle richieste.

Anche Strasburgo conferma la scelta di ordine, buon senso, legalità e giustizia dell’Italia. Meno partenze, meno sbarchi, meno morti”, ha esultato Salvini, come se lasciare in mare un pugno di persone possa essere considerata una vittoria. Mentre lo diceva, un peschereccio al largo di Sciacca recuperava nelle sue reti da pesca il corpo di un migrante.

Sea Watch 3 (foto profilo Facebook Sea Watch)

In realtà la Corte, con la sua sentenza, ha comunque chiesto alle autorità italiane “di continuare a fornire tutta l’assistenza necessaria alle persone che si trovano a bordo della Sea Watch 3 in situazione di vulnerabilità a causa della loro età e delle loro condizioni di salute”. Il passo successivo, quello dello sbarco, non è arrivato perché da Strasburgo hanno deciso che non c’erano sufficienti motivazioni per chiedere al Governo italiano di applicare un provvedimento provvisorio in questo senso, di solito concesso “nei casi eccezionali in cui i richiedenti sarebbero esposti a un vero e proprio rischio di danni irreparabili“. La sentenza della Corte, per quanto imponga all’Italia di fornire supporto e assistenza ai migranti in contrasto al menefreghismo salviniano, lascia comunque perplessi. Se neanche uno degli organi internazionali per eccellenza in tema di diritti umani non si prende la responsabilità di difendere questi stessi diritti, viene da chiedersi come si potrà mai uscire dalla deriva di umanità che sta interessando l’Europa in questi mesi. A bordo della Sea Watch 3 peraltro ci sono anche due dodicenni, nemmeno per loro si è pensato di ordinare lo sbarco. “Le condizioni a bordo non sono facili, non siamo su una nave da crociera”, ha sottolineato la portavoce italiana di Sea Watch, Giorgia Linardi. È anche per questo che Salvatore Fachile, l’avvocato che ha seguito il ricorso alla CEDU, ha definito quello dei giudici di Strasburgo “un atto di vigliaccheria”.

Per Salvini la Sea Watch dovrebbe tornare indietro e sbarcare i suoi passeggeri in Libia, in quel porto di Tripoli che si è detto pronto ad accoglierli. Quella stessa Tripoli in cui negli ultimi giorni sono ripresi i combattimenti tra le forze del Governo di accordo nazionale (Gna) e l’Esercito nazionale libico (Lna). L’invasione dell’aeroporto cittadino, i conflitti in strada nei quartieri meridionali e le dichiarazioni di Haftar di voler andare avanti con la guerra fino alla vittoria finale. Era stato lo stesso Salvini, d’altronde, a fare marcia indietro a maggio sulla Libia, definendola “non più un porto sicuro”. Una dichiarazione strategica probabilmente, in un momento in cui gli sbarchi in Italia erano ripresi in modo consistente: era necessario allora dare una giustificazione, che oggi sembra non valere più nonostante il contesto libico sia sempre lo stesso.

In questa situazione, la capitana della Sea Watch 3, Carola Rakete, ha affermato di essere pronta a forzare il blocco italiano, nonostante le conseguenze che potrebbero colpire lei, l’equipaggio e la ong. L’umanità viene prima, anche perché quella dei porti chiusi di Salvini è in realtà una politica-farsa, più che altro una guerra propagandistica alle ong. In questi stessi 14 giorni di guerra istituzionale alla Sea Watch, in Italia sono sbarcati in modo autonomo circa 400 migranti – i cosiddetti “sbarchi fantasma”. I porti insomma sono aperti, tranne per chi salva vite. “Qui sono sbarcati in 120 due giorni fa ma solo per i 42 della Sea Watch si fa un putiferio”, ha denunciato in queste ore il sindaco di Lampedusa.

Quello che sconvolge, in tutto questo, è allora il silenzio assordante dell’Europa. La non presa di posizione della CEDU – che è organo indipendente – ma anche l’immobilismo dell’Unione europea. Da 14 giorni una nave con poche decine di naufraghi a bordo si muove a zig zag davanti alle coste di un continente di oltre 500 milioni di persone, che non vuole accoglierle. La sua unica colpa è aver salvato quelle persone e non averle riportate indietro, in quello stato disastrato da cui esse scappavano, la Libia. Ha ragione Emma Bonino, allora, quando dice che la vicenda Sea Watch non è solo una vergogna italiana, ma un’onta europea.

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