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November, il Bataclan e quei giorni che cambiarono l’Europa | Wired Italia | Blog sulla tecnologia e non solo
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martedì, Apr 18

November, il Bataclan e quei giorni che cambiarono l’Europa | Wired Italia



Da Wired.it :

November appartiene a quella categoria di film che una volta si sarebbero definiti robusti. Ha la giusta lunghezza, il giusto ritmo, la giusta finalità inseguita con coerenza, mentre cerca di darci un punto di vista, uno qualsiasi, su quei drammatici giorni del 2015. Cédric Jimenez guida con mano sicura e intima un film che è un mix tra thriller, spy story e poliziesco, che riesce a donarci con umiltà se non la verità, una traccia di realismo e di atmosfera verosimile sulle indagini con cui la Francia cercò di capirci qualcosa sull’uragano che l’aveva sconvolta. Il risultato è forse un po’ freddo ma sicuramente interessante.

La cronaca di cinque giorni d’inferno

Il 13 Novembre 2015 tutti ci ricordiamo dove eravamo, cosa stavamo facendo, quando venimmo a sapere che Parigi era stata scossa dai più violenti attentati terroristici della storia europea.
Doveva essere una giornata all’insegna del calcio, con la partita tra Francia e Germania, invece quella sera, un gruppo armato dell’Isis insanguinò una giornata diventata il simbolo stesso dell’ondata di attentati che l’islam radicale ha compiuto il decennio scorso. November – I cinque giorni dopo il Bataclan, ci riporta ai quei concitati momenti, a ciò che successe prima e soprattutto ciò che successe dopo, lo fa unendo verità e una fiction poco aggressiva. Nel cast c’è anche lui, Jean Dujardin, protagonista non poi così tanto principale o solo. Perché infatti fin dall’inizio Jimenez opta per un racconto in cui tutto viene visto dall’interno e quindi la pluralità di occhi, idee, anche a livello gerarchico, sono indispensabili.

Siamo a cavallo da quella serie di bombe, raffiche di mitra e kamikaze, che lasciano nel panico una città intera. Fred (Jean Dujardin) uno dei comandanti della divisione antiterrorismo, è reduce da una fallita operazione ad Atene, dove sperava di mettere le mani su uno dei più importanti membri dell’Isis su suolo europeo. Il risultato di quel fallimento è la strage di Parigi, decine e decine di vittime, a cui potrebbero seguirne altre se lui, la sua superiore Heloise (Sandrine Kiberlain) e tutta la divisione non riusciranno a mettere le mani sui colpevoli. Quest’ultimi paiono spariti nel nulla, ma Fred ed i suoi uomini, tra cui la testarda Ines (Anaïs Demoustier) sanno che ci proveranno ancora, che non si fermeranno mai. Comincia così un’estenuante caccia all’uomo in cui l’intuito, la perseveranza, valgono quanto una microspia, ed in cui nessuno può tirarsi indietro o anche solo respirare da fermo.

Il recupero dei resti del pallone spia cinese

Negli ultimi decenni la tecnologia è usata sempre meno a scopo di sorveglianza perché troppo visibile, come dimostra il caso tra Stati Uniti e Cina

November, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, arrivava con un bel po’ di ostacoli di fronte a sé, su tutti il timore di come rappresentare quella tragedia, il dover sempre usare l’equilibrio necessario per creare un racconto immaginifico, che però fosse anche rispettoso e realistico, ma non per questo privo di emozioni o significati narrativi. Si può però tranquillamente dire che il film sia per Jimenez una grande scommessa vinta, in virtù di una stratificazione di significati e di palesi ragionamenti che vanno al di là del singolo episodio, della prova di quanto l’intelligence europea in generale, fosse assolutamente impreparata per far fronte alle offensive dello Stato Islamico. Seguire Fred, guardarlo mentre cerca di districarsi in una ragnatela di piste, testimonianze, piccole briciole versa la verità, è come aggirarsi per un labirinto oscuro, ingannevole. November ha però un piglio talmente tanto semi-documentaristico che risulta però difficile sia lasciarsi completamente andare, che rimanere indifferenti.

L’eccezione è femmina si potrebbe dire, ed è rappresentata da Samia (Lyna Khoudri) una giovane donna musulmana che potrebbe essere la chiave per arrivare ai colpevoli, ma su cui è difficile per gli inquirenti capire quanto ci si possa fidare. November anche per questo, è molto più di una semplice storia di spie e terroristi. Si percepisce l’imprevedibilità, la delicatezza della situazione, la tensione è palpabile, così come anche il senso di colpa che alberga nei protagonisti, incapaci di prevedere o arginare quel dramma, come molti altri del resto. La fotografia di Nicolas Loir è plumbea, oscura, aumenta la sensazione di claustrofobia, ma anche perfetta per valorizzare l’ottima regia di Jimenez, che sa rendere il racconto efficace e accattivante, con frequenti movimenti a seguire o anticipare, primissimi piani, un costante movimento da semi-soggettiva che aumenta la sensazione di realismo. Anche in questo il film si rivela distante dai canoni hollywoodiani, dall’esasperazione dell’estetica fine a se stessa.

Un film privo di emotività ma ricco di realismo

November però fa anche qualcosa di più, nella sua componente di micro narrazione ci parla della vulnerabilità che tutti ci ricordiamo aveva albergato nei nostri giorni, mentre ci arrivavano quasi quotidianamente notizie di furgoni suicidi, attacchi su spiagge turistiche, bombe e quant’altro.
Il Bataclan rimane come un macigno, è importante, è la memoria di un dramma quasi militare, una partita a scacchi ma non è neppure un recinto per un film che cerca in tutti i modi di parlarci di quanto la lotta al terrorismo si sia dovuta modificare profondamente. Perché al contrario di ciò che furono le BR, Ordine Nuovo, Rote Armee Fraktion o Action Directe, fino ai vari gruppi terroristici orientali, da Settembre Nero ad Al Qaeda, lo Stato Islamico era un’ombra fluida, mobile, priva di diretti legami strutturati in modo gerarchico. Prendi un deviante, fallo deviare, spiegagli come fare, poi lascia che sia lui a trovare il modo di fare la strage con ogni mezzo.

Fred ed i suoi colleghi hanno pochissimo tempo, sanno che più i giorni passano più le piste si raffreddano un po’ come succede nei vecchi film western. Qui però le tracce non sono quelle nel fango o nella polvere delle grandi praterie, sono quelle tecnologiche, ma anche dei vecchi strumenti, dei verbali, dei pedinamenti. Auto acquistate, cellulari, foto della metropolitana, abiti indossati, parenti… ogni cosa è importante, ma soprattutto parlare con lei, con quella ragazza di cui molti membri della squadra dubitano. Ines invece vorrebbe fidarsi, capisce che può essere lei la chiave di volta un’indagine che porterà alla fine di un incubo. November diventa quindi anche un racconto al femminile, tra due solitarie, tra Ines e Samia. La prima è un’agente, la seconda appartiene a quel mondo islamico che mai si è armonizzato nel profondo con la Francia incapace di andare oltre le banlieue. Si rende conto che ha il diavolo in casa, che chi pensava di conoscere è diventato un massacratore.

Il reattore nucleare di Flamanville, in Normandia (Francia)

Parigi ha invitato una serie di paesi per coordinare politiche a sostegno dell’atomo in Europa, tra cui Svezia, Polonia e Ungheria. L’Italia, inserita nella rosa, ha declinato l’invito

November ha ritmo, energia, capacità di intrattenere, ma anche di far riflettere. Questo in virtù di una sceneggiatura che sa di non poter evitare delle domande scomode, ma ancora oggi attuali nel momento in cui guardiamo al nostro rapporto con tutto ciò che è al di fuori dei nostri confini.
Questo film ha un qualcosa sia della tradizione europea, scevra di retorica ed esagerazioni, sia dell’energia dell’autorialità americana che fu. Può ricordare ciò che facevano un tempo Friedkin o Zinnemann: non ci sono eroi, non ci sono lieti fine, solo la Storia con la sua corsa.
Certo rimane il problema che i personaggi sono letteralmente ingoiati dall’azione, la loro caratterizzazione è assolutamente in relazione agli eventi, senza essi non esisterebbero.
Questo può essere tanto un limite, quando in realtà una risorsa, ma certamente nel caso di November è coerente con la finalità ultima di farci respirare il puzzo delle strade, delle camicie sudate, della paura che si impossessa di chi sa che tutto questo non è la fine, ma l’inizio, che ci saranno altri attentati se non si fa qualcosa.

Anche per questo, November è soprattutto film sulla paura, in senso razionale e irrazionale, quel qualcosa che forse anche grazie alla pandemia di Covid-19, per così dire, abbiamo rimosso in virtù dell’urgenza. Eppure tutti ci ricordiamo cosa voleva dire guardarsi attorno con maggior tensione agli aeroporti, nei posti pubblici, scartare alcune mete per le vacanze, oppure addirittura fissare con sospetto chi aveva un colore di pelle diverso dal nostro.

Il film di Jimenez diventa quindi anche non solo un modo per parlarci di quanto è cambiata la lotta al terrorismo, ma anche degli effetti collaterali che ha avuto su di noi. Detto questo, a November forse manca qualcosa in più a livello di scrittura per fare veramente il salto di qualità, per andare oltre. Ma anche così il risultato finale è più che soddisfacente e merita la vostra attenzione, non fosse altro per ricordarci cosa è successo, per farci capire che la vera intelligence è molto diversa da quella di un James Bond o Ethan Hunt ci hanno sempre venduto. Purtroppo.



[Fonte Wired.it]