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mercoledì, Giu 17

Nucleare, l’incognita di 119 permessi sullo smantellamento in Italia



Da Wired.it :

Il piano di Sogin soffre di ritardi nelle autorizzazioni. E il governo non si decide ad avviare le consultazioni per identificare il deposito nazionale delle scorie

La centrale nucleare di Garigliano (Sogin)
La centrale nucleare di Garigliano (Sogin)

La prima scadenza è fissata tra due settimane. Entro il 30 giugno i vertici di Sogin, la società di Stato incaricata di smantellare degli impianti nucleari in Italia, contano di presentare l’aggiornamento del cosiddetto piano a vita intera, il programma a lungo termine (2035) per la gestione dell’eredità atomica, che all’ultimo giro di boa valeva 7,2 miliardi di euro.

Sul documento pesano già due incognite. Da un lato il destino del deposito nazionale, l’impianto dove centralizzare le scorie radioattive italiane. È scomparso dai radar del governo, a cui spetta avviare l’iter per scegliere il sito su cui costruirlo. Dall’altro i ritardi con cui Sogin ottiene le autorizzazioni per i cantieri dagli organi di controllo. Lo scorso 21 maggio ha incassato il via libera per l’intervento sulla centrale di Latina. Lo aspettava dal 1997, quando lo aveva chiesto l’allora gestore, Enel. E “alcuni anni di ritardo su processi autorizzativi possono generare un incremento di costi di alcune centinaia di milioni di euro”, ha spiegato l’amministratore delegato di Sogin, Emanuele Fontani, in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo di rifiuti, presieduta dall’onorevole Stefano Vignaroli del Movimento 5 Stelle. Secondo il manager, l’Italia paga anche il prezzo di non aver ancora recepito la direttiva europea 59 del 2013 (Euratom), tema la gestione dell’atomo, che ha provocato tempi più lunghi e spese più alte.

Il nodo dei permessi

Il nuovo piano firmato da Fontani e dal presidente Luigi Perri passerà al vaglio dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera), che scuce a Sogin i rimborsi per il decommissioning nucleare pescandoli dalle bollette. Conterrà undici progetti, ha anticipato l’ad, di cui i sette più grossi valgomo il 75% del budget.

Perché procedano, serve il disco verde dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), l’autorità per la vigilanza dell’atomo in Italia. Che da due anni, però, suona l’allarme della mancanza di risorse umane: dei suoi 54 dipendenti, il 30% è prossimo alla pensione. Il risultato? “Un non adeguato staff dell’ente di controllo introduce ritardi”, è la diagnosi di Fontani. E sul tavolo di Sogin ci sono stime di “119 autorizzazioni nel prossimo quadriennio”, ha aggiunto l’ad. Alcune delle quali, si legge nella relazione consegnata alla commissione (che Wired ha potuto consultare) già partite nel 2012 e 2014 ma non ancora concluse.

Ci sono voluti dieci anni, per esempio, per svincolare il progetto di estrazione a secco di 64 barre di uranio-torio ad alta attività, arrivate negli anni Sessanta dalla centrale statunitense di Elk River a Rotondella, in Basilicata, per motivi di ricerca. Ma i dossier per smantellare gli impianti di Saluggia, Casaccia e Rotondella e per disattivare il reattore Ispra-1, del centro di ricerca europeo in provincia di Varese, attendono ancora l’Isin.

A che punto sono i progetti?

Il piano di Latina, l’ultima delle quattro centrali nucleari italiane (con Caorso, Garigliano e Trino Vercellese) a ottenere l’ok alla disattivazione, vale 270 milioni e dovrebbe chiudere la prima fase tra sette anni. L’obiettivo è smantellare i sei boiler, abbassare l’altezza dell’edificio del reattore da 53 a 38 metri e demolire impianti ausiliari, lasciando sul sito solo la grafite, in attesa di stoccarla nel deposito nazionale.

Una nuova gara è ai blocchi di partenza anche per l’impianto di Saluggia, dove 230 metri cubi di liquidi ad alta attività devono essere cementati. La precedente, vinta da Saipem, è finita in tribunale per accuse di ritardi. La nuova, valore stimato 128,5 milioni, per Fontani dovrà consentire “la realizzazione con prove nucleari entro il 2023 e poi 18 mesi di esercizio per solidificare i rifiuti”. Entro la fine del 2020 Sogin conta anche di avviare il bando per l’impianto di Trisaia. E sono prossime anche le gare per le bonifiche sui siti di Latina e Bosco Marengo e per il trattamento di fanghi e resine a Trino Vercellese, che consentirà, ha anticipato Fontani, di ridurre “il volume dell’85%”.

L’incognita deposito nazionale

La questione dei volumi è cruciale, perché determina quanti rifiuti si potranno stoccare dentro al deposito nazionale, che, secondo le ultime stime, dovrebbe ospitare circa 72mila metri cubi. Di cui circa il 60% dagli ex impianti dell’atomo e il 40% dalle aziende che oggi producono scarti radioattivi. Sogin, ha detto Fontani, ne ha individuate circa “250 in tra laboratori, imprese e ospedali”. Per l’ad “è importante ridurre i volumi che andranno nel deposito”, insistendo su efficienza, processamento innovativo dei materiali e riciclo. “Lo smantellamento degli otto siti nucleari permetterà di riciclare oltre un milione di tonnellate di materiali, pari circa all’89% di quelli complessivamente riciclati”, ha annunciato Fontani in commissione.

L’azienda ha investito anche su gestionale per tracciare i rifiuti, Aigor, e sta trattando il prolungamento dei contratti per mantenere in Francia e nel Regno Unito il combustibile esausto, destinato al deposito nazionale. Così come sta monitorando altri Paesi con una quantità ridotta di scorie, come Spagna, Repubblica Ceca e Ungheria, per consorziarsi nella costruzione di un deposito geologico, dove tombare i rifiuti ad alta intensità. Una soluzione caldeggiata dal Movimento 5 Stelle già nel precedente esecutivo Conte, che premeva per trovare uno Stato disponibile a farsi carico fin da subito delle scorie più pesanti senza passare dal parcheggio temporaneo del deposito nucleare.

Per Vignaroli occorre accelerare: “È emersa l’ennesima conferma che il non decidere ha costi alti per la collettività. I ritardi nella realizzazione del Deposito nazionale e nel recepimento della direttiva Euratom  non sono senza conseguenze, ma anzi comportano un aumento di tempi e di oneri. Proprio riguardo al recepimento della direttiva, ho cercato di dare il mio contributo segnalando alle commissioni consultive le criticità su cui porre attenzione”.

Al momento, però, il progetto del deposito è all’ancora nel porto delle nebbie. A marzo l’Isin ha validato e spedito ai ministeri dello Sviluppo economico (Mise) e dell’Ambiente la revisione numero 8 e 9 della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) effettuata da Sogin. Ossia la mappa delle zone di Italia che hanno le carte in regola per ospitare il deposito. I due ministeri devono dare il nulla osta alla pubblicazione, per avviare una consultazione con i territori prima di arrivare alla lista dei candidati. Una partita che, si sa, provocherà non pochi mal di pancia. Tant’è che, dal 2015, quando la prima versione della Cnapi era pronta, nessuno, salvo Caldo Calenda in uscita dal Mise, si è mai sognato di darla alle stampe.

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[Fonte Wired.it]