Attraverso interviste a familiari delle vittime, agenti dell’Fbi e della polizia coinvolti nelle indagini e altri documenti dell’epoca, la serie mette in fila gli eventi e cerca soprattutto di ricostruire il clima dell’epoca, in cui l’isteria collettiva e diverse piste sbagliate hanno portato a un nulla di fatto. Dopo le morti, infatti, Johnson & Johnson – società la cui divisione farmaceutica produceva il Tylenol – ritirò il prodotto dal mercato ma soprattutto iniziò a commercializzare delle confezioni che non potessero agilmente venire aperte, contaminate e rimesse al loro posto (fu poi dimostrato che gli avvelenamenti erano avvenuti nei negozi e non durante la catena di produzione). Allo stesso tempo le indagini si concentrarono su un principale sospettato, James Lewis, scagionato poi dal dna (il suo non fu mai trovato sulle bottigliette incriminate) e trovato colpevole solo di aver inviato alla stessa Johnson & Johnson una lettera che conteneva un tentativo di estorsione (Lewis disse di voler un milione di dollari per mettere fine agli avvelenamenti ma non fu ritenuto l’effettivo colpevole).
“Per 40 anni le indagini si sono indirizzate in una sola direzione, nei confronti di Lewis”, ha detto Pines: “Quello che abbiamo tentato di fare in questa serie è stato di allargare lo sguardo. Ci sono altre teorie là fuori e alcune hanno molta ragione d’essere”. Cold Case: Gli Omicidi del Tylenol è disponibile su Netflix a partire dal 26 maggio ed è la seconda stagione del franchise noto come Cold Case, che nel primo ciclo di episodi aveva coperto l’altrettanto enigmatico caso della piccola JonBenét Ramsey.