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martedì, Ago 27

Ora l’Italia fa la guerra anche alle “ong dell’aria”


L’Enac proibisce il volo a due velivoli che pattugliavano il Mediterraneo centrale. Salvini può essere al capolinea politico, ma le sue idee continuano a fare danni

Uno scatto dal sito di Humanitarian Pilots Initiative (www.hpi.swiss)

Comunque vada a finire la crisi politica di queste ore, Matteo Salvini lascerà il Viminale oltre al suo ruolo di vicepremier. Magari per tornare presidente del Consiglio fra qualche mese – come molti sperano – magari no. Sia nel caso che nasca il cosiddetto governo giallorosso, sia che il Quirinale sciolga le Camere, ci sarà infatti un altro esecutivo che traghetterà il paese verso un eventuale voto anticipato. Eppure, oltre la persona e il politico, rimane da porsi una domanda: se Salvini, per il momento, è finito, che ne è del salvinismo?

La domanda non è un puro esercizio di retorica: i disvalori, la retorica e il linguaggio del leader della Lega hanno segnato la politica italiana, e le sue politiche hanno colpito duramente il settore umanitario e il modo in cui è percepito dall’opinione pubblica. Viene da chiedersi cosa rimarrà del leader anche leggendo le vicende che nel corso dell’ultimo mese hanno tenuto a terra gli aerei leggeri coinvolti nelle operazioni Moonbird e Colibrì che per mesi hanno pattugliato il Mediterraneo centrale per conto della no profit svizzera Humanitarian Pilots Initiative, in collaborazione con Sea-Watch e Pilotes Volontaires. Secondo Repubblica, l’Italia starebbe letteralmente tarpando le ali alle missioni di controllo dei mari che molte volte si sono rivelate centrali per l’individuazione di imbarcazioni alla deriva cariche di vite. Ottenere coordinate precise – e un primo quadro della situazione – per una nave di soccorso significa risparmiare ore se non giorni di navigazione, carburante, provviste e poter salvare più persone facendosi trovare pronti.

Evidentemente la propagandistica e inesistente chiusura dei porti alle ong doveva trovare una sua controparte anche nei cieli. Così, all’improvviso, l’ente preposto ha deciso che i due velivoli non possono decollare da scali italiani. Secondo l’Enac, infatti, “le norme nazionali impongono che quei velivoli possano essere usati solo per attività ricreative e non professionali”. Ogni tanto riescono ancora ad alzarsi in volo, ma non più come prima, cioè non modo utile e continuativo (e, comunque, lo fanno partendo da altri paesi).

Se l’obiettivo era desertificare il corridoio centrale del Mare Nostrum, un anno di governo gialloverde sembra aver ottenuto il risultato. Adesso, proprio mentre fra le solite difficoltà continuano i soccorsi (ieri la tedesca Lifeline ha recuperato circa cento persone al largo della Libia e la Mar Jonio di Mediterranea ha denunciato intromissioni negli apparati di comunicazione), anche le testimonianze dal cielo rischiano di essere ammutolite.

I velivoli oggetto della mancata autorizzazione sono un Cirrus Sr22 (un monomotore ad ala bassa con cinque posti) e un Mcr-4S (monomotore con quattro posti), che  secondo il Giornale avrebbero condotto fra gennaio e gli inizi di giugno 78 missioni, la stragrande maggioranza delle quali partite proprio da Lampedusa. Il cui scalo non è più disponibile.

La battaglia si fa dunque burocratica e dà l’idea di come, anche in assenza di ordini specifici, il clima politico non fatichi a incunearsi nelle pieghe dei funzionari degli enti di stato. Per l’Enac, infatti, Colibrì “non è un aeromobile certificato secondo standard di sicurezza noti ed è in possesso di un permesso di volo speciale che non gode di un riconoscimento per condurre operazioni su alto mare”. Ci sarebbero poi state modifiche significative di cui l’ente per l’aviazione civile dice di non avere contezza e che, in effetti, le ong responsabili dovrebbero notificare al più presto. Per Moonbird il discorso sarebbe più o meno lo stesso. Ma lo stop arriva dopo mesi di sorvoli e quasi 80 missioni: fosse anche tutto confermato, forse per la sicurezza aerea ci si poteva muovere un po’ prima?

Sea Watch ha messo nel mirino proprio questo improvviso zelo: “Ci viene da pensare che dietro a queste complicazioni burocratiche” – ha spiegato Giorgia Linardi, responsabile di Sea Watch Italia – “ci sia la volontà politica di fermare le attività di ricognizione. Evidentemente dà fastidio che gli occhi della società civile siano tanto in mare quanto in aria”. Il punto è in effetti centrale: non solo per le ragioni già spiegate – la rapidità dell’intervento, la possibilità di sapere presto e bene dove si trovino le imbarcazioni alla deriva – ma anche per ragioni etiche.

Verrebbe per esempio da chiedersi se l’Enac sia sempre e comunque così fiscale in tutti gli scali e gli aeroclub del paese per ogni genere di volo che viene effettuato quotidianamente. O se nei confronti di quei due velivoli non vi sia un’attenzione per così dire particolare, legata a doppio filo al clima creato dai decreti sicurezza e in generale dalle politiche dell’esecutivo. Lo spoil system non è solo negli uomini ma anche nelle idee: quanto tempo impiegheremo per sbarazzarci del legalismo securitario del Carroccio e tornare a collaborare affinché, ad esempio, quei mezzi possano essere messi presto in regola, piuttosto che bloccarli a terra e impedire i soccorsi?

C’è di più. Il fallimento dei provvedimenti di questi mesi e dello stesso approccio alle migrazioni è talmente palese che molti elementi, messi insieme, danno l’idea della volontà sia da parte italiana che libica di eliminare ogni possibile testimonianza dal Mediterraneo. Troppi naufragi, troppi morti.

Gli aerei tenuti a terra; le difficoltà di comunicazione denunciate da Mediterranea che parla di un “jamming militare” architettato dalle autorità di Tripoli quando si supera il 12esimo parallelo; le sanzioni milionarie ai capitani e il sequestro delle imbarcazioni per le ong che contravvengono le indicazioni del ministero in pieno contrasto con le convenzioni internazionali sul soccorso in mare: tutto questo ha costruito un quadro che il nuovo governo, e il Pd che sta trattando per dargli vita, dovrebbe mettere al primo posto. La vera discontinuità sarebbe l’abrogazione dei due decreti sicurezza al primo consiglio dei ministri. E se a firmarla fosse lo stesso presidente del Consiglio, il solco sarebbe ancora più profondo e darebbe il via alla decontaminazione da quel cattivismo esibito e orgoglioso che ha segnato l’azione salviniana.

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