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mercoledì, Ott 21

Palazzo di Giustizia racconta l’altra faccia del palazzaccio



Da Wired.it :

E l’altra faccia è ciò che accade nei corridoi del tribunale. Ma adesso non pensate che questo sia un film sull’attesa, sul senso dell’aspettare una condanna o un’assoluzione. L’opera prima di Chiara Bellosi, da domani 22 ottobre nelle sale,
è inaspettatamente una bella riflessione sulla complicità al femminile

“All’apparenza non bisogna credere”.
Alexandre Dumas (padre)

All’apparenza Palazzo di Giustizia, opera prima di Chiara Bellosi felicemente accolta al Festival Internazionale del Cinema di Berlino e poi alla Festa del Cinema di Roma, sembrerebbe un film sull’attesa, sul senso dell’aspettare. Potrebbe essere anche un bel lavoro di riflessione su un questione di controversa attualità: la legittima difesa in un mondo sempre più facile alla selvatichezza e agli istinti primordiali. E, se volete, potete anche leggerla così, non è vietato. Del resto, c’è un uomo semplice che, da quando ha 15 anni, lavora 12 ore al giorno in una stazione di servizio molto isolata e una sera due balordi (ricettazione, furti, piccolo spaccio… insomma, niente di encomiabile) gli puntano una pistola e pretendono l’incasso. L’uomo semplice consegna loro 2400 euro, li lascia allontanare nel buio, ma poi prende la sua di pistola e spara: per uno dei malviventi è shock emorragico, stabilisce l’autopsia; per l’altro ci sono le sbarre e per l’uomo semplice l’accusa di omicidio volontario.  

Mentre nell’aula 349, sezione 3 settore penale della Corte d’assise, il pubblico ministero mette in fila i fatti di questa storia per l’ultima volta e si può anche respirare un’atmosfera da Un giorno in pretura, fuori si gioca il vero film, bellissimo, originale, autentico. Nei corridoi del palazzaccio, una bambina, Luce (Bianca Leonardi), che vai a sapere perché ma ha qualcosa di Olive Hoover di Little Miss Sunshine, e un’adolescente, Domenica (Sarah Short), che per delicatezza ricorda Matilda De Angeli, devono ingannare la lunga attesa. La prima è la figlia del giovane rapinatore – accompagnata dalla madre (Daphne Scoccia), la seconda del benzinaio derubato. L’una seduta di fronte all’altra, dal loro angolo vedono sfilare donne in manette, cowboy che prendono l’ascensore, toghe che si chiudono porte di legno alla spalle, manutentori in pausa pranzo. Poi, però si alzano e si avvicinano, non solo fisicamente: si scambiano gomme da masticare, recuperano insieme un passerotto senza nome finito in un archivio… E allora Palazzo di Giustizia si svela per quello che realmente è: un film sulla sorellanza elettiva che va oltre la barriera sociale tra il bene e il male, sulla complicità femminile e sulla forza delle donne che, anche se tenute fuori dai giochi (e dalle aule di tribunale), restano il fulcro di tutto.  

Applausi alle giovani interpreti, ad Andrea Lattanzi nei panni del manutentore (che ci fa così dimenticare la debolissima serie Netflix Summertime in cui ha preso parte) e alla regista Chiara Bellosi, che ha avuto l’intuizione di mostrare, per una volta, l’impatto della giustizia su chi non è dietro al banco degli imputati. “È stato proprio quello che mi ha colpito fin da subito del suo progetto: la  cosiddetta struttura topologica, il dramma che si sviluppa per luoghi concentrici e l’esperimento di guardare il punto centrale dall’esterno, dice a Wired Carlo Cresto-Dina, creatore e ceo di tempesta, società di cinema che scommette sui film d’autore realizzati nel rispetto dell’ambiente, come, appunto, Palazzo di Giustizia. “Chiara, poi, ha fatto un lavoro di ricerca incredibile: per otto/dieci mesi ha passato intere mattine nei tribunali di tutta Italia a osservare, a prendere appunti, ad ascoltare, ad assorbire quel mondo, per vederlo come gli altri non riescono. Il risultato è un film credibile, nel senso che c’è coerenza tra storia e regista, e la netta sensazione che solo lei potesse girarlo”.  

Nelle sale da domani, 22 ottobre (distribuito da Istituto Luce Cinecittà), l’ora e mezza scorre via con la paura che la sentenza non ci piacerà o si consumerà troppo in fretta negli ultimi dieci minuti. Meglio che siate preparati: non la sentirete, non saprete come andrà a finire il processo. Chiara Bellosi, classe 1973, fa un altro passo coraggioso: si ferma prima, alla testimonianza del padre benzinaio, che è toccante ed è abbastanza. Credetemi, non vi sto rovinando il (non) finale: vi sto piuttosto preparando a guardare Palazzo di Giustizia nel modo giusto. “Questa scelta retroillumina tutta la storia”, continua Carlo Cresto-Dina: “Non conta la condanna o l’assoluzione, ma la vita attorno che è germogliata. Del resto, la cosa meno interessante di una discussione sono sempre le conclusioni”. 

Godetevi, poi, ogni dettaglio su cui indugia la cinepresa: i respiri carichi d’ansia, le briciole delle patatine prese alle macchinette che restano incollate alle dita, le stringhe logore, le cicche masticate attaccate sotto alle sedie… e un ballo a sorpresa sulle note di Star Spectrum di Horizon Diver. Se, alla fine di tutto, vi verrà voglia di prendere un pezzo di carta, scriverci sopra “Stay Star” e tenerlo in tasca da leggere all’occorrenza, non stupitevi. 

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[Fonte Wired.it]