L’addestramento dell’intelligenza artificiale può andare d’accordo con la sostenibilità? Questione dibattuta, che merita di essere approfondita. Secondo l’enciclopedia Treccani, con il termine sostenibilità si intende quella “condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Indipendentemente dall’età, il 44% degli italiani non conosce questo concetto. Lo dice l’ultima ricerca dell’Osservatorio della Fondazione per la sostenibilità digitale, presentata martedì 8 aprile a Roma in occasione del quarto Digital sustainability day. Una giornata dedicata al tema della consapevolezza del ruolo che la tecnologia può giocare per promuovere un futuro sostenibile.
Tra consapevolezza e conoscenza
I dati dell’Osservatorio – sviluppati insieme all’Istituto di studi politici San Pio V e analizzati attraverso l’indice DiSI (Digital sustainability index) della Fondazione – sono il risultato di 1804 interviste fatte a cittadini italiani divisi in quattro gruppi: Generazione Z (18-28 anni), Millennial (29-44 anni), Generazione X (45-60 anni) e Baby boomer (61-75 anni). Scopo del lavoro è indagare il grado di conoscenza delle tecnologie digitali, della sostenibilità e del legame tra questi due fattori.
Come prevedibile, l’uso delle tecnologie è più alto tra i cosiddetti GenZ rispetto ai Baby boomer. Tuttavia, non tutti comprendono come la tecnologia possa essere vettore di sviluppo sostenibile. Sentito da Wired, il presidente della fondazione Stefano Epifani spiega: “Essere giovani non basta per essere più consapevoli. Abbiamo creato una generazione di semplici utenti e non di cittadini in grado di riflettere sulle problematiche generate dalle tecnologie che usano”.
Problematiche come il consumo di energia richiesto dai servizi digitali che usiamo quotidianamente o, ad esempio, dai data center, sui quali è intervenuto il direttore generale dell’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) Mario Nobile: “Oggi i data center italiani hanno potenza energetica di 500 megawatt. In Cina, India e Stati Uniti, la potenza è di circa 60 gigawatt. Ma affinché tutta la popolazione mondiale possa usufruire di tutti servizi digitali ai quali siamo abituati, si stima che i gigawatt necessari vadano dai 300 ai 500. E un gigawatt costa 45 milioni di dollari. Nessuno Stato, dunque, è in grado di offrire da sola un’infrastruttura di questo tipo”.
Oltre alle risorse economiche ed energetiche, i data center hanno bisogno di un altro elemento fondamentale e preziosissimo: l’acqua, utile ad attivare i sistemi di raffreddamento dei server in cui vengono stoccati i nostri dati.
Quanta acqua serve per l’addestramento dell’intelligenza artificiale?
Sempre di acqua e tecnologia parla Marco Barra Caracciolo, presidente e amministratore delegato di Bludigit, spa del Gruppo Italgas, spiegando che, a breve, ne serviranno circa 6miliardi di litri per addestrare tutti i sistemi di intelligenza artificiale generativa – la stessa IA, a sua volta, che potrebbe essere impiegata “per regolare in maniera automatica i sistemi di accensione e raffreddamento dei grandi edifici delle nostre città, abbattendo i consumi del 10-15%”, come dice Epifani.